48. Non Lo Devi Dire

Il mattino seguente Sebastiano aprì gli occhi in maniera lenta, per darsi il tempo necessario ad abituarsi alla luce che inondava la stanza.

Era ancora abbracciato a Léon, che quella notte sembrava aver dormito sonni tranquilli, senza nessun incubo arrivato a fargli visita.

Aveva il volto del francese appoggiato sul petto, mentre con un braccio gli circondava le spalle, e il suo respirare lento e regolare lo metteva in uno stato di totale tranquillità.

Iniziò ad accarezzargli i capelli, spingendosi col volto verso il basso per lasciargli qualche bacio qua e là, e sentì il più grande che iniziava a mugugnare qualcosa.

Quando gli occhi grigi di Léon furono nei suoi, Seba aprì le labbra in un sorriso e gli diede il buongiorno.
Rimasero a guardarsi così per qualche minuto, persi nei lineamenti uno dell'altro, poi decisero di alzarsi e preparare gli zaini per tornare a casa.

Il loro tempo era quasi giunto al termine, e Sebastiano non riusciva a fare molto per quel nodo che gli si era piantato in gola.
Si tirò a sedere, e immediatamente sentì una fitta alla base della schiena che lo fece imprecare a denti stretti e tornare sdraiato.

«Muoviti con calma» si sentì dire dal francese, con un tono che cercava di nascondere l'ilarità presente nella sua voce.

Si girò a guardarlo e in effetti lo trovò con un sorrisetto di scherno sulle labbra.
«Ti fa ridere?» chiese con un mezzo broncio.

«Beh, un po' sì, a dire il vero. Tranquillo, le prime volte è normale... Cerca di fare movimenti lenti e vedrai che presto sarai come nuovo. La prossima volta farà meno male.»

Sebastiano abbassò lo sguardo, il nodo a farsi ancora più difficile da ignorare, e parlò a voce bassa.
«Non ci sarà una prossima volta.»

«Non ti è piaciuto? Pensavo che-»

«No. Non ci sarà una prossima volta perché non voglio che ci sia, se non è con te. Adesso andiamo» disse in fretta, e si alzò stando attento a non fare movimenti bruschi, lasciando Léon con uno sguardo triste nella camera da letto.

«Isabelle è da sua nonna?»
Erano scesi dall'aereo quasi venti minuti prima e ora stavano tornando a casa. Nella macchina di Léon l'unica cosa che spezzava il silenzio era la radio, messa su una stazione a caso, che passava qualcuna delle canzoni del momento. Sebastiano aveva parlato per la prima volta, nonostante non fosse dell'umore per farlo.

«Sì, dovrei andarla a prendere tra un po'» rispose il biondo dando una veloce occhiata all'orologio.

«Andiamoci insieme. Potrei preparavi la cena e poi torno a casa.»
Vide sorridere il più grande e lo guardò mentre annuiva, svoltando sulla strada che portava alla villa dov'era la sua sorellina.

La prossima domenica non ci sarebbe stato lui al suo fianco, mentre incontrava quella donna che gli faceva tornare in mente stralci del suo passato che ancora gli facevano male, e non se lo sarebbe mai perdonato.

Arrivarono davanti alla grande cancellata che recintava l'abitazione e Sebastiano vide il colore degli occhi di Léon cambiare in modo repentino. C'era di nuovo la tempesta in quelle iridi.

Come la prima volta che si erano trovati insieme davanti a quella casa, mise una mano sulla sua e cercò di rivolgergli un sorriso d'incoraggiamento.
Léon annuì appena, e insieme scesero dall'auto.

L'enorme portone si aprì poco dopo, mostrando l'esile figura di Maria avvolta in uno dei suoi soliti completi eleganti.
Stavolta gli occhi di Sebastiano la guardavano in modo diverso, però. Vedeva in lei la madre del dolore che Léon aveva dovuto subire, l'origine del male che gli aveva lacerato la pelle e l'anima.

Si sforzò di non seguire quell'onda d'odio che lo stava travolgendo: chissà quante volte quella donna aveva perso il sonno sapendo quale essere abominevole aveva messo al mondo.

Sebastiano aveva imparato, con gli anni, che non è sempre vero che i figli sono il frutto di ciò che i genitori hanno insegnato loro.
Capita, a volte, che le persone nascano col marcio già impregnato nelle vene.

Ad esempio, lui conosceva benissimo la famiglia di Alessio, l'amico di suo fratello.
I suoi genitori e quelli di quel cretino erano amici sin dai tempi dell'università, ed entrambi avevano parole piene di ammirazione verso la coppia che aveva generato quel piccolo demente.

In più conosceva bene anche l'altro loro figlio: aveva qualche anno in meno di lui, e gli era capitato spesso di farci quattro chiacchiere in tutta tranquillità, quando capitava che le due famiglie si riunissero per una cena tra amici.

Alessio, però, l'aveva sempre ritenuto un grandissimo pezzo di imbecille e gli ultimi avvenimenti che lo vedevano protagonista ne erano decisamente la prova. E che colpa mai avrebbero potuto avere i suoi genitori? Non l'avevano forse cresciuto come avevano fatto col fratello minore? Eppure lui era venuto su diverso, cattivo, sbagliato.

Sebastiano si schiarì la voce e cercò di sorridere meglio che poteva, mentre rispondeva al saluto che la signora Maria gli aveva appena rivolto.

«Siete venuti presto, oggi. Isabelle sta facendo merenda, entrate a farle compagnia, su.»

Negli occhi dell'anziana c'era una piccola scintilla di speranza, Seba la poteva vedere brillare sotto le palpebre ormai segnate dalle rughe.

Guardò Léon cercando di capire quali fossero le sue intenzioni, e quando lo vide tentennare, capì che quella volta avrebbe superato uno dei suoi blocchi, entrando in una delle case che probabilmente gli faceva più paura in assoluto.

Entrò subito dietro di lui, afferrando la sua mano e intrecciandovi le dita mentre seguivano Maria in quella villa enorme. Sebastiano non fece nemmeno caso all'arredamento o ai colori che prevalevano attorno a lui, era concentrato solo sul francese, ed era pronto a trascinarlo fuori di lì, se fosse stato necessario o se lo avesse visto stare troppo male. 

Contro ogni aspettativa, però, Léon sembrava abbastanza padrone di sé stesso in quel momento, e addirittura sorrise quando arrivarono nel salone in cui Isabelle si stava strafogando con torte e dolcetti.

«Ti farà male la pancia, stasera!» la rimproverò in modo bonario il fratello, e la piccola scattò subito con gli occhi sulla sua figura, aprendosi in un sorriso allegro e felice.

«Léon!» gridò prima di correre tra le sue braccia, e Seba non poté fare a meno di godersi quella scenetta così tenera.

«Fate merenda con me? La nonna dice che i dolci alla sua età non li può mangiare.»

La signora Maria portò una mano alle labbra per coprire la risata, e la piccola tornò verso il tavolo prendendo due fette di torta e portandole ai due ragazzi.

«Non state in piedi, su. Accomodatevi pure.»

I ragazzi presero posto uno a fianco all'altro, entrambi seduti di fronte ad Isabelle e a sua nonna, e insieme iniziarono a mangiucchiare il dolce che gli era stato servito dalla piccola.

«Come stai, tesoro?» domandò Maria, e Seba poté vedere nei suoi occhi stanchi tutto il rimorso che portava dentro di sé.

Le spalle di Léon si irrigidirono appena, e lui appoggiò una mano sul suo ginocchio, stringendolo appena nel tentativo di confortarlo.

«Abbastanza bene, grazie.»
La voce gli era uscita abbastanza ferma da ingannare chiunque non lo conoscesse bene, ma Seba aveva imparato a distinguere ogni più piccola sfumatura di quel ragazzo, e aveva capito che non era tranquillo come voleva far sembrare.

Quella risposta, tuttavia, sembrò sollevare Maria, che ora sorrideva in un modo un po' più sereno di prima.
Il silenzio che era calato nella stanza non durò per molto, fortunatamente Isabelle era una chiacchierina provetta e iniziò presto a elencare tutte le cose divertenti che aveva fatto quel giorno con la nonna.

Erano in quella casa da un quarto d'ora al massimo, ma quando Seba vide Léon iniziare ad agitarsi sulla sedia e sentì il ginocchio sul quale aveva appoggiato la mano cominciare a tremare, cercò subito un modo per svignarsela da lì dentro. In fondo Léon aveva accettato di entrare, e quello era già un enorme passo avanti, Seba non voleva che si obbligasse a rimanere per non ferire la nonna di Isabelle. 

Certe cose avevano dei tempi da rispettare, e il tempo di Léon era qualcosa per cui lui aveva un enorme riguardo.

«Scusatemi, non vorrei fare il guastafeste, ma io dovrei essere a casa tra poco perché i miei genitori mi aspettano. Léon, ti dispiace se iniziamo ad andare?»

Gli occhi del più grande si riempirono di una gratitudine che sicuramente non sarebbe stato in grado di esprimere a parole, e i ragazzi si alzarono subito dopo che il francese annuì con un leggero accenno di sorriso sulle labbra.

Di nuovo sulla porta d'ingresso, Sebastiano salutò la signora Maria e la ringraziò per l'ospitalità, una mano appoggiata sulla spalla della piccola Isabelle e l'altra al riparo dal freddo, in una tasca del giubbotto.

Si avviarono insieme alla macchina, mentre la piccola saltellava qua e là per il giardino e loro due la seguivano.
Ripartirono verso casa dei due fratelli, la musica in sottofondo e le chiacchiere della bambina che rendeva quel tragitto un po' meno pesante.

«Che profumino! Dove sei, Sebastiano?»
Lui e Isabelle scoppiarono a ridere, mentre Léon metteva su la sua solita espressione offesa.

«Siamo in cucina» rispose allegra la piccola, mentre continuava ad apparecchiare il tavolo.

Il biondo passò allo chef una ciotola di pecorino romano grattugiato e continuò ad osservarlo mentre, con un po' d'acqua di cottura, lo faceva sciogliere.
Lisa apparve sulla soglia della cucina e il più piccolo si girò per salutarla, mentre controllava che la pasta non passasse i minuti esatti di cottura.

Scolò gli spaghetti e li mise nella padella in cui aveva fatto tostare il pepe, aggiunse il formaggio et voilà: una deliziosa cacio e pepe era pronta per essere servita.

Presero posto a tavola, mentre Isabelle ripartiva nuovamente col racconto di tutte le attività svolte a casa della nonna quella domenica.
Cielo, era simpaticissima, ma davvero logorroica.

«Lo sai che giovedì ti aspetto a cena per il mio compleanno, vero?»

Sebastiano abbassò lo sguardo sul piatto e iniziò a punzecchiare con la forchetta gli ultimi avanzi di pasta. Nel programma che aveva fatto Léon, la settimana prima, lui sarebbe dovuto andare lì nel pomeriggio e aiutarlo con la preparazione della torta, prima di mettersi a cucinare i piatti preferiti di Lisa.

In quello attuale, invece, non sapeva nemmeno se Léon lo avrebbe voluto rivedere più, e non poteva nemmeno biasimarlo.

«Sebastiano non c'è giovedì» disse infatti il francese, che nel frattempo si era alzato e aveva portato il piatto nel lavello.

«Oh.. Beh, possiamo festeggiare anche nel fine settimana, non c'è problema» propose allegra Lisa, che quasi sicuramente non aveva notato le loro espressioni fattesi improvvisamente serie.

«No. Non può neanche nel week end.»
E quella frase sancì la fine dell'atmosfera leggera che si era respirata per tutta la cena.

Sebastiano vide Lisa con una smorfia dispiaciuta in volto, mentre osservava suo nipote, e lui pensò che non l'aveva mai vista così. Non che la conoscesse poi tanto bene, ma una delle sue caratteristiche principali era quella di avere il sorriso perennemente stampato in viso; sorriso che ora non vedeva più, e la colpa era solo ed esclusivamente sua.

«Esco a fumare una sigaretta e poi torno a casa, si è fatto tardi. Mi accompagni?» chiese rivolgendosi a Léon, che annuì appena e lo seguì.

Si sedettero entrambi sul dondolo sotto al porticato e Sebastiano tirò fuori il pacchetto di Marlboro accendendone una, per poi passarla a Léon.

«Comunque non c'è ancora niente di sicuro, no? Magari ti stai fasciando la testa prima di cadere ed è solo un semplice ritardo, e giovedì puoi venire qui e festeggiare con noi» buttò lì il francese, mentre ripassava la sigaretta a Sebastiano.

«Già, magari sì... O magari potrei venire lo stesso» replicò lui. 

Quella storia che avrebbero chiuso nel caso Chiara fosse davvero stata incinta ancora non gli andava giù. Capiva le motivazioni di Léon, le capiva davvero, ma non aveva senso mettere da parte tutto quello che avevano vissuto insieme.

«No, in quel caso direi che è meglio che noi due non ci vediamo più.»

«Siamo nello stesso gruppo, ci vedremo continuamente.»

«Non da soli, però.»

«Léon-»

«Sebastiano, per favore... Non riguarda solo te.»

E aveva ragione.
Lui continuava a ragionare pensando solo ai propri sentimenti; egoisticamente continuava a credere di poter tenere il piede in due scarpe, senza rendersi conto che in quella maniera avrebbero sofferto in tre: lui, Léon e Chiara.

Annuì appena, buttando fuori l'ultima boccata di fumo, e spense la sigaretta nel posacenere accanto al dondolo.

«Credo che dovrei tornare a casa, adesso» disse a testa bassa, la voce incrinata e quel nodo tornato prepotente a bloccargli il respiro.

«D'accordo. Ci vediamo domani a scuola, allora.»

Sebastiano guardò Léon come probabilmente non aveva mai fatto prima. La luce della luna illuminava la sua pelle candida rendendola ancora più chiara; sembrava fatto di porcellana quel ragazzo. I capelli erano scompigliati come sempre, e gli occhi grigi ora sembravano ancora più cupi del solito.

Gli prese il viso tra le mani e appoggiò la fronte contro la sua, sentendo la miscela che i loro respiri fusi insieme andavano a creare e inspirandone il più possibile.

«Léon, io-»

«Lo so, ma non lo devi dire, altrimenti diventa troppo difficile.»
Sul volto del francese c'era un'espressione triste, la stessa identica che si rifletteva negli occhi di Sebastiano.

Appoggiò le labbra sulle sue e lo travolse in un bacio che non avrebbe mai dimenticato, lento e carico di uno strazio che lo avrebbe accompagnato per tutti i giorni a venire.

Gli sorrise appena, Sebastiano, poi tornò in casa per prendere la sua roba, salutare le ragazze e uscire definitivamente da quelle mura.

E Léon rimase lì, su quel dondolo, con le labbra umide di lui e gli occhi in tempesta.

Spazio S.

E così, domani avremo il risultato del test di Chiara 🙈
Domani, sì, perché da ora in poi, anziché pubblicare due capitoli un giorno sì e uno no, inizierò con la pubblicazione di uno soltanto, ma tutti i giorni 💞
Chi è pronto per sapere se Sebastiano diventerà padre oppure no?

Buona giornata a tutti,
Un bacio, S.

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