46. Parigi
Sebastiano era senza parole.
Quella mattina Léon lo aveva svegliato alle 4:00 e lo aveva trascinato, ancora mezzo addormentato, in aeroporto; era rimasto vigile giusto il tempo di fare il check in, poi era nuovamente crollato appoggiato alla sua spalla, mentre aspettavano che il loro volo venisse annunciato. Si era svegliato giusto in tempo per seguirlo in aereo e si era di nuovo appisolato non appena erano decollati.
Era una persona curiosa, di norma, ma in quelle notti aveva dormito talmente poco, che la stanchezza aveva avuto la meglio e l'aveva fatto agire come un automa.
E ora era senza fiato, mentre Léon gli teneva le braccia attorno alla vita, facendo aderire la schiena al suo petto, e i suoi occhi erano incantati sul meraviglioso Arc du Triomphe.
Erano a Parigi; Léon ce lo aveva portato per davvero, alla fine. Aveva mantenuto quella promessa fatta pochi mesi prima, in macchina, mentre guardavano una piccola riproduzione della Tour Eiffel.
E ora gli bastava spostare lo sguardo leggermente a destra per scorgere la punta di quella vera.
Era tutto incredibile.
Si girò verso il biondo e allacciò le mani al suo collo, prima di travolgerlo in un bacio che sperava potesse trasmettere al più grande tutta la sua gratitudine.
Non era tanto per la città in sé -anche se Seba doveva ammettere che era già da tempo che avrebbe voluto visitarla- era più una questione di "onore", se così si poteva chiamare.
Léon era stato di parola, nonostante tutto quello che era successo negli ultimi giorni.
Nonostante entrambi sapessero che la loro storia sarebbe potuta finire da lì a poco.
Nonostante Parigi, in quel momento, avesse un'aria decisamente malinconica.
Lui lo aveva preso e l'aveva portato nella sua città.
In quella città dove sicuramente si sentiva soffocare dai ricordi.
Era troppo, Léon, per uno come Sebastiano; di questo era convinto.
Si staccò dalle sue labbra e lo guardò negli occhi per cercare di capire il suo umore.
«Sto bene, tranquillo» lo rassicurò l'altro.
Seba sorrise e intrecciò le dita alle sue, mentre insieme si incamminavano nella splendida capitale francese.
Passeggiarono per una decina di minuti, poi Léon si fermò di fronte a un hotel che aveva tutta l'aria di essere decisamente troppo costoso per le loro tasche.
Quando il più grande fece un passo in direzione dell'ingresso, Seba lo bloccò afferrandolo per un braccio.
«Non è un po' troppo... elegante?» domandò leggermente in imbarazzo.
Léon mise su il suo solito ghigno, poi gli arruffò leggermente i capelli.
«Parigi è la mia città, sei mio ospite» disse con tono gentile ma fermo, arcuando un sopracciglio per assicurarsi che l'altro non si azzardasse a ribattere.
Seba appiattì le labbra in una linea dritta, imponendosi di non contraddirlo, data l'espressione che aveva messo su.
Si registrarono alla reception e salirono in camera, mentre il castano si guardava intorno con aria sempre più meravigliata.
Dio, quel posto era stupendo.
Già da fuori lo aveva conquistato, con quello stile barocco che lui adorava, ma gli interni erano ancora più belli.
La hall lo aveva incantato non appena erano entrati: pavimenti in marmo lucido e vasi di fiori enormi ad ogni angolo; lampadari che scendevano dal soffitto come pioggia di diamanti e rifiniture in oro.
Anche l'ascensore che avevano appena usato gli sembrava lussuoso.
E la camera... Quella camera era veramente bellissima: un piccolo salotto con mobili antichi li aveva accolti, e attraversando un arco si arrivava alla stanza vera e propria, che ospitava un enorme letto a baldacchino e addirittura una cabina armadio!
I tendaggi e la biancheria, sui toni chiari e del beige, davano alla stanza ancora più luce di quanta già non ne entrasse attraverso le quattro finestre presenti.
«Vuoi vedere il pezzo forte?» sentì chiedere da Léon.
Seba annuì con l'aria sognante e lo guardò mentre si dirigeva verso le tende, iniziando a scostarle lentamente.
Era incredibile, la loro camera aveva una meravigliosa vista sulla Tour Eiffel!
Quello scorcio sembrava proprio come uno di quelli che aveva visto in tantissimi film: vetri alti e stretti, decorati da tendaggi bianchi che svolazzavano nella stanza e abbelliti da una piccola ringhiera in ferro battuto, con un panorama mozzafiato su una delle città più belle del mondo.
Era tutto perfetto.
«Lo sai che fino a domani non ho intenzione di uscire da questa camera, vero?» domandò a Léon, che scoppiò in una delle sue rare e meravigliose risate.
Dio, com'era bello quando stringeva gli occhi così e buttava la testa all'indietro tenendosi addirittura la pancia.
Mozzava il fiato, come la vista su Parigi.
«Beh, potevamo restare anche a casa, allora» rispose il biondo, il sorriso ancora sulle labbra e gli occhi più chiari del solito.
«Okay, andiamo via subito o cambio idea e rimango qua tutto il tempo» affermò Seba deciso, incamminandosi a malincuore verso la porta.
«Ti porto in un posto che ti piacerà di sicuro!»
Léon sembrava così convinto, che al più piccolo non rimase che seguirlo, fidandosi delle sue parole.
I ragazzi erano seduti a uno dei tavolini presenti nella pasticceria, mentre aspettavano che l'ordine fatto al banco poco prima fosse pronto.
Quel posticino era incantevole: i toni pastello, l'arredamento in stile provenzale, i piccoli quadri che ritraevano mazzolini di lavanda appesi alle pareti.
E il banco... Dio, Sebastiano aveva seriamente temuto di strozzarsi tanto gli era aumentata la salivazione mentre guardava quell'esplosione di colori e profumi.
C'era di tutto dietro quella vetrina, ma ciò che più lo aveva colpito era l'enorme distesa di macarons. Tutti meravigliosamente disposti in file da tre, con lo stesso colore ripetuto in diverse gradazioni.
«Potrei spenderci un patrimonio in un posto come questo» affermò, intanto che si guardava attorno con gli occhioni d'ambra spalancati di meraviglia.
«Lo so» rispose il francese facendogli un occhiolino.
Una ragazza con la divisa azzurrina a righe bianche arrivò al loro tavolo e gli lasciò il piattino con i dolci che avevano ordinato e le due tazzine di caffè.
Seba ne bevve un sorso, e il suo volto si sfigurò in una smorfia.
«Avevo dimenticato quanto facesse schifo il caffè qui.»
Léon sorrise, mentre addentava il suo pain au chocolat, e scosse la testa.
«Con i dolci siamo imbattibili, però.»
Sebastiano sbuffò a quell'affermazione e diede un morso al suo macaron socchiudendo appena gli occhi.
Era davvero paradisiaco.
«Potresti rifarli se ti piacciono così tanto» buttò lì il francese facendo spallucce.
«Questi,» spiegò il castano indicando quel poco che gli rimaneva in mano, «Sono assolutamente dei bastardi! Se non trovi l'equilibrio giusto non gonfiano, le ganaches devono essere della giusta consistenza per creare il contrasto perfetto con i gusci esterni, è praticamente impossibile fare due pacche della stessa dimensione e in più è difficilissimo ottenere dei colori decenti. Sono davvero dei perfidi, perfidi dolcetti» asserì con un cipiglio sul viso.
«Quante volte hai provato a farli?»
«Ho perso il conto.»
«E quante volte ti sono venuti?»
«Mai.»
Il biondo rise di gusto, probabilmente vedendo la sua espressione afflitta, poi prese un altro pasticcino e lo portò alle labbra.
«Possiamo provare a farli insieme, una volta, mia zia è abbastanza brava.»
Gli occhi di Seba si spalancarono nel sentire quella notizia, e si immaginò tra montagne di macarons colorati e perfettamente gonfiati.
Allargò le labbra in un sorriso entusiasta, mentre annuiva con vigore.
«Magari! Dici che mi insegna?»
«Certo» rispose l'altro con tranquillità, «potresti venire mercoledì, ha il giorno libero e sarebbe sicuramente contenta di vederti.»
Le loro espressioni tornarono serie in un attimo non appena si resero conto di non sapere se si sarebbero potuti vedere, mercoledì.
Chiara avrebbe fatto il test quel lunedì, e Léon aveva detto che loro due avrebbero chiuso se fosse risultato positivo.
Lo stomaco di Sebastiano si chiuse immediatamente, come se qualcuno avesse preso qualche organo e gli avesse fatto un bel nodo.
Giocherellò col cucchiaino, girandolo nella tazza che aveva di fronte, senza avere il coraggio di guardare negli occhi Léon.
«Sébastien-»
«Andiamo? Insomma, siamo a Parigi, ho voglia di camminare un po' e vedere la città.»
Il sorriso che si era appiccicato con forza in volto resse giusto il tempo di alzarsi, prendere il giaccone e incamminarsi fuori dal locale.
Non voleva parlare.
Non voleva discutere di nuovo con Léon di cosa sarebbe successo se Chiara fosse stata davvero incinta.
Voleva rimanere in quella meravigliosa bolla di incertezza, in cui tutto era possibile e la felicità sembrava essere proprio a portata di mano.
Che buffo, pensò mentre aspettava che anche Léon lo raggiungesse all'esterno, di solito la gente odia il dubbio.
Lui, invece, avrebbe pagato per restarci in eterno.
Avere una risposta significava avere il cinquanta per cento di possibilità che questa fosse pessima.
E un cinquanta per cento di possibilità di perdere Léon era davvero troppo, troppo alto.
Per Sebastiano, anche il dieci per cento sarebbe stato troppo, ma il cinquanta no. Quello non era decisamente sopportabile.
Il francese lo affiancò dopo pochi secondi, l'aria seria e i soliti occhi di tempesta.
«Dove andiamo?» gli domandò Seba cercando di usare un tono di voce tranquillo.
Quello era il loro week end e niente avrebbe potuto rovinarlo.
Non esisteva Chiara, non esistevano i loro amici, non esisteva la sua famiglia e nemmeno il passato di Léon.
Per quelle poche ore che gli erano concesse, sarebbero stati solamente due ragazzi a spasso per Parigi, con un dolcetto in mano e gli occhi pieni di quella bellissima città.
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