34. San Valentino
Dopo essersi girato e rigirato per almeno mezz'ora, Sebastiano decise di alzarsi e fare una bella doccia calda.
Si era innervosito tremendamente in quel letto: aveva sonno eppure non riusciva ad addormentarsi.
Voleva vedere Léon, questa era la realtà; smaniava per avere la possibilità di stare un po' di tempo con lui da solo, senza la paura che qualche loro conoscente arrivasse da un momento all'altro, senza l'angoscia di non poterlo guardare troppo a lungo per non destare sospetto negli altri.
Si infilò sotto il getto caldo dell'acqua e lasciò che i nervi si distendessero.
Quando ebbe finito tornò in camera e aprì l'armadio in cerca di qualcosa da mettere: faceva freddo fuori, ma in casa di Léon si moriva sempre di caldo.
Optò per un paio di pantaloni da tuta e una felpa, sotto la quale indossò una semplice maglietta a maniche corte.
Aggiustò i capelli in fretta e furia, tanto la macchina quel giorno non era a disposizione e avrebbe dovuto usare il motorino, ergo, i capelli si sarebbero rovinati col casco.
Diede un'ultima controllata al suo riflesso nello specchio, afferrò le chiavi e uscì di casa.
Non si era neanche preoccupato di avvisare il francese che sarebbe arrivato prima del previsto, e sperò che non fosse un problema, ma una gradita sorpresa.
Parcheggiò proprio davanti casa di Léon e affrettò il passo per arrivare al cancelletto pedonale e suonare.
«Chi è?» sentì chiedere dal citofono qualche secondo dopo.
«'Sto cazzo» rispose allegro.
La serratura scattò e Sebastiano guardò il portone aprirsi e mostrare a poco a poco la figura di Léon, mentre avanzava verso l'ingresso.
Gli sorrise, anche se aveva notato l'espressione confusa sul viso del più grande, che si fece da parte per lasciarlo entrare.
«Che ci fai già qui?»
Seba fece spallucce mentre iniziava a levarsi giaccone, sciarpa e guanti.
«Ero preoccupato per quel povero brodo.»
«Ah-ah, che ridere.»
Appese il giaccone all'appendiabiti e si voltò finalmente verso il biondo, che aveva messo su un'aria fin troppo soddisfatta nel frattempo.
«Ti mancavo?» chiese con un mezzo sorrisetto sulle labbra.
«Ma figurati! Mi mancava tua sorella, piuttosto. È una bambina adorabile... È in casa?»
Léon scosse la testa lentamente, gli occhi grigi illuminati di malizia e carichi di lussuria.
«No, mi spiace, siamo solo io e te...»
Seba si ritrovò a sorridere, prima di prendere la mano del francese e posarvi sopra un leggero bacio.
«Vorrà dire che dovremo trovare un modo per passare il tempo, allora.»
«Cazzo!»
Quell'imprecazione detta ad alta voce e con urgenza fece svegliare Seba.
Aprì gli occhi di scatto, preoccupato dal tono usato da Léon, e fece appena in tempo a vederlo correre fuori dalla sua stanza.
Avevano passato due ore buone ad aggrovigliarsi tra le lenzuola, poi erano crollati in un sonno profondo.
Seba si alzò di corsa, infilò al volo i pantaloni e scese al piano di sotto.
Andò in cucina e trovò Léon a testa china con l'aria sconsolata vicino ai fornelli.
«Ho bruciato il brodo» disse con voce afflitta.
Serrò le labbra tra loro per evitare di scoppiare a ridere, poi si avvicinò al pentolino che stava fissando il biondo.
L'acqua era completamente evaporata e le verdure sul fondo avevano iniziato a bruciacchiarsi, facendo impregnare la stanza di un odore disgustoso.
La patata attaccata al fondo del pentolino, le due zucchine completamente prosciugate e la cipolla ormai ridotta a marmellata furono troppo per Seba: scoppiò in una fragorosa risata che fece voltare di scatto il più grande.
«Non dovresti ridere delle disgrazie altrui!» lo rimbeccò incrociando le braccia al petto.
«Oh, scusami, davvero, ma bruciare il brodo è qualcosa di surreale! Com'era il fuoco?»
«Acceso.»
«E grazie al cazzo. Intendo com'era la fiamma, alta o bassa?»
«Alta, doveva cuocere.»
Seba sorrise per l'aria mortificata che continuava ad avere il più grande.
«Il brodo va cotto a fiamma bassa e per molto tempo. Lo sai per la prossima volta» cercò di confortarlo.
«Col cazzo, la prossima volta faccio fare tutto a mia zia!»
Sebastiano spense il gas, poi aprì la finestra della cucina e andò vicino a Léon, allacciandogli le braccia in vita e tirandolo più vicino a sé.
«Posso darti un consiglio?»
Il biondo annuì appena.
«La prossima volta, quando vedi che hai bruciato qualcosa, spegni subito la fiamma... Sai, non è che tenerla accesa possa risolvere qualcosa, anzi...» disse, senza riuscire a trattenere un risolino.
«Mi stai prendendo in giro?»
Seba non riuscì a trattenersi e di nuovo una risata si impadronì di lui.
«Ah, ma sul serio?» chiese in un finto tono seccato Léon, prima di provare a divincolarsi da quella stretta.
Sebastiano rafforzò la presa, poi gli posò un bacio leggero sul naso e mise il pentolino nel lavello.
Sentì lo stomaco brontolare e diede un'occhiata all'orologio appeso alla parete. Erano quasi le 19:00 e lui iniziava ad avere una fame tremenda.
«Cosa ci cuciniamo, quindi? Non ho nemmeno pranzato oggi.»
Léon fece spallucce guardandosi intorno.
«La dispensa è a tua completa disposizione.»
Seba iniziò a controllare sportelli e frigo, ormai si sentiva di casa tra quei mobili, e alla fine optò per una semplice pasta al pomodoro.
Léon gli aveva dato libero accesso a tutti gli ingredienti, ma evidentemente non aveva controllato prima di farlo: i pensili erano praticamente vuoti, era già un miracolo che Seba avesse trovato qualche verdura in frigorifero.
Mise sul fuoco una pentola con l'acqua e prese un tagliere, sul quale iniziò a tagliare a dadini i pomodori.
Uno spicchio d'aglio con un po' di olio in padella, ed ecco che in casa si espanse un profumino incredibile.
«Ti posso aiutare a fare qualcosa?» si sentì chiedere dal più grande.
«Sì, controlla che l'acqua nella pentola non si bruci, per favore.»
Sentì due dita conficcarsi nelle costole e scoppiò a ridere, voltandosi verso Léon che aveva un'aria divertita in volto.
«Ti vedo bello carico oggi! A cosa devo tutto questo buonumore?»
Sebastiano ci pensò un secondo: sapeva perfettamente cosa fosse a renderlo così allegro, ma non sarebbe mai riuscito ad ammetterlo ad alta voce. Così alzò le spalle con nonchalance e mischiò il sugo nella padella.
«La mancanza di sonno. Ad alcuni li rende irascibili, io invece mi sfogo con l'ironia.»
Fu il turno di Léon di ridere.
«E io che speravo fosse merito mio» disse con un finto tono dispiaciuto.
«Ma per favore! Non potrebbe mai rendermi felice uno che brucia il brodo. Siamo realisti, su.»
Léon allargò il sorriso, cinse i fianchi di Seba da dietro e parlò ad un soffio dal suo orecchio.
«Ma io ho un ottimo insegnante privato.»
La voce bassa e calda sembrò arrivare direttamente al suo sesso, e i baci lenti che gli stava lasciando per tutto il collo non aiutavano di certo la situazione.
Seba sospirò appena, mentre il più grande aveva preso ad accarezzarlo ovunque. Alternava tocchi leggeri a piccoli graffi, mandandolo in una sorta di tilt.
Lo fece voltare piano, e il castano poté leggere nei suoi occhi tutta la malizia di cui si stavano imbrattando quei gesti.
Continuò la sua tortura di lingua, denti e labbra scendendo sempre di più, finché non arrivò all'orlo dei pantaloni, che abbassò con una lentezza estenuante.
Dal basso Léon fece incastrare lo sguardo con quello di Sebastiano, che lo osservò attentamente mentre prendeva in bocca la sua erezione già pronta.
Dio, le sue labbra lì attorno erano qualcosa di spettacolare.
Léon era nato per fare sesso con lui, ne era certo.
Avevano una sintonia incredibile, sembrava sapere esattamente cosa fare per mandare il suo piacere alle stelle.
Seba arcuò la schiena in avanti quando la sua lingua percorse un po' più duramente la sua lunghezza, e si ritrovò a soffocare un gemito affondando i denti in un braccio.
Léon aveva un ritmo sempre più serrato e lui ormai stava faticando a trattenersi.
Artigliò capelli con una mano e tirò appena per fare capire al biondo che quello era l'esatto momento in cui si doveva fermare, se non voleva che gli esplodesse in bocca; eppure Léon parve aumentare ancora di più la foga con cui gli stava facendo quel maestoso pompino.
«L-Léon, fermati» disse con voce strozzata, mentre vedeva la testa del compagno muoversi sempre più velocemente.
«Sto per... Cazzo!»
Era bastato lo sguardo sollevato del francese su di lui per farsi sconquassare da un orgasmo che Seba difficilmente avrebbe dimenticato.
Brividi di piacere continuavano a corrergli sulla pelle, mentre Léon si era rialzato e lo aveva travolto in un bacio mozzafiato.
Il suo sapore misto a quello del più grande doveva essere messo nella lista delle cose più erotiche del mondo.
«Dovresti stare più attento. Certe distrazioni potrebbero farti bruciare il sugo» disse Léon strizzandogli un occhiolino.
Sebastiano rise e lo attirò ancora a sé, bisognoso di un altro bacio; di ancora un po' del suo sapore.
Dio, stava definitivamente perdendo la testa.
Radunati davanti all'entrata del cinema, i ragazzi stavano aspettando il ritardatario per eccellenza, ovvero colui che aveva deciso come avrebbero dovuto passare la serata di San Valentino.
Sebastiano era andato a prendere Chiara quella mattina e l'aveva portata a fare colazioni fuori. Avevano passato la giornata insieme e Seba era stato in una sorta di nebbia per tutto il tempo.
Gli sembrava di avere i sensi ovattati, era come se non fosse completamente presente con la testa. Passava dal sentirsi in colpa nei confronti di Léon, al sentirsi una merda nei confronti di Chiara. Quella situazione andava avanti da pochissimo ed era già stata in grado di creare enormi danni nella sua testa.
Andrea sbucò dal parcheggio e raggiunse i suoi amici.
«Buon San Valentino, amori miei!» celiò con un sorriso a trentadue denti.
«Ma vaffanculo!»
La risposta secca di Alex fece scoppiare a ridere tutti quanti e insieme si avviarono alla biglietteria.
Neanche a dirlo, il film che voleva vedere Andre era un horror. Giada era impallidita non appena aveva letto il titolo sulla locandina, e aveva giurato di non ricordare assolutamente di aver promesso di passare San Valentino con tutti gli altri, l'anno precedente.
Andrea l'aveva zittita in pochissimi secondi, ricordandole che Luca -uno di quinta B per cui Giada aveva un debole da anni- l'aveva invitata al luna park all'ultimo minuto, e sottolineò con voce greve che lei avesse accettato, pur sapendo di aver un impegno con lui e il resto del gruppo.
Aveva abbassato i suoi occhioni da cerbiatta, Giada, e aveva bisbigliato a Chiara che doveva assolutamente starle vicino in quelle due ore difficili.
I ragazzi si erano fermati a prendere qualche schifezza al bar e, mentre Seba stava scegliendo quale dolcetto portare in sala, sentì la voce di Léon dietro di sé.
«Il y a du chocolat.»
«Oui, j'ai vu.»
«Pourquoi tu ne l'achètes pas?»
«Je l'achète, je choisissais le goût.»
«Ehm... fate capire anche a noi?»
I ragazzi si voltarono verso Chiara.
«Cosa non hai capito?» chiese Seba in tono sorpreso.
«Vediamo... Tutto? Se parlate in francese...»
Sebastiano spalancò gli occhi. Avevano parlato in francese? Davvero? Lui non se n'era nemmeno accorto. Era capitato altre volte?
«Scusami, hai ragione. Gli ho solo chiesto se avrebbe comprato la cioccolata, e mi ha detto che stava scegliendo il gusto» sorrise Léon.
Era vero, non c'era stato niente di male in quella conversazione, eppure Sebastiano ora si sentiva estremamente a disagio, come se un'insegna luminosa lampeggiasse sulla sua testa e lo indicasse come il colpevole della situazione.
Chiara, dal canto suo, non sembrava essersi accorta di nulla, sorrideva e aveva preso a chiacchierare con lui di quali fossero le cioccolate più buone a suo avviso.
Seba pagò in fretta e furia il suo cibo spazzatura e andò a sedersi sui divanetti con Alex e Andrea, che stavano aspettando il ritorno di Giada dai bagni.
Poveretta, quelle due ore sarebbero state una tragedia per lei.
Quando tornò, con appena un po' più di colore in viso, il gruppo si avviò nella sala che avrebbe proiettato il film e tutti presero posto sulle poltroncine.
Neanche farlo apposta, il più piccolo si ritrovò tra Léon e Chiara.
Non riusciva a crederci.
Per una serata che avrebbero potuto passare insieme senza imbarazzi, perché impegnati a guardare lo schermo, lui si era ritrovato comunque in mezzo alle due persone che più lo turbavano in quel momento.
Si sporse oltre la sua ragazza per poter parlare un attimo con Alex, e le luci si abbassarono.
Tornò in posizione e si impose di calmarsi; in fondo erano in un cinema, è vero che aveva Léon di fianco, ma, insomma, poteva pur trattenersi per due misere ore.
Non sarebbe successo niente di sconveniente, aveva Chiara al suo fianco e nessuno stava sospettando nulla, stava andando tutto bene.
Ma poi la mano di Léon sfiorò il palmo della sua, appoggiata sul bracciolo, e di nuovo tutte le finte certezze di cui si era cosparso crollarono.
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