29. La Volta In Cui Si Arresero

Sebastiano era teso come una corda di violino; odiava quel paragone, perché il violino lo faceva pensare allo stupido francese.

Quella mattina il loro itinerario prevedeva una visita a Kreuzberg, il quartiere dedicato alla street art.

Era un posto meraviglioso, ovunque ci si girasse c'erano disegni, graffiti, murales, colori.
Nonostante l'esplosione cromatica che Seba aveva davanti agli occhi, non riusciva a rilassarsi e a godersi quella meraviglia su mattone.

Qualche ora prima, poco dopo la colazione in albergo, aveva di nuovo sentito Léon al telefono.
Parlava sempre in francese, per non farsi capire dagli altri probabilmente, e c'era stata un'altra frase che lo aveva messo in allerta.
Una frase che sicuramente si riferiva a lui: "è quasi tutto pronto, sarà lo scherzo del secolo, vedrai".

Così aveva detto.
Erano quasi le 11:00 e ogni volta che il biondo si avvicinava, lui inevitabilmente iniziava a irrigidirsi e a guardarsi attorno.

Era diventato paranoico, cazzo.
È che proprio non lo riconosceva più, e non sapeva cosa aspettarsi da lui.

Lo avrebbe umiliato?
Avrebbe fatto qualcosa che lo avrebbe messo in ridicolo davanti ai suoi compagni?
Lo avrebbe ferito?

Gli sarebbe bastata la certezza che dopo lo avrebbe lasciato in pace, e si sarebbe fatto fare qualsiasi stupido scherzo.

Si fermò davanti a un murales che lo colpì particolarmente: il volto di una ragazzina con gli occhi lucidi di lacrime e una papalina a righe rosa sulla quale campeggiava la scritta "...I have to go to Paris".
Devo andare a Parigi.

Già, anche lui ci sarebbe dovuto andare, e chissà se ci sarebbe mai riuscito.

«Bello, vero?»

Di nuovo la voce di Léon lo fece spaventare, ma quella volta si impose di non voltarsi, di non rispondergli nemmeno.

«Devo andare a Parigi... Ti assomiglia quella ragazzina» lo beffeggiò il biondo.

«Ti sembro una femminuccia con la berretta fucsia, per caso?» rispose inacidito.

Ed ecco che era caduto nella trappola.
Poteva vederlo dall'espressione soddisfatta che aveva in volto quello stupido mangia baguette, ora che lui gli aveva risposto in modo così piccato.

Léon lo squadrò bene, come se non lo avesse mai guardato prima, poi alzò un indice verso di lui a indicargli di aspettare un attimo; andò da Francesca -la sua compagna di classe- le rubò la papalina di un rosa acceso e tornò da Sebastiano.

Avanzò piano, avvicinando un po' troppo il viso al suo, guardò un attimo la papalina e gliela mise in testa calcandola bene, poi fece il suo solito ghigno.

«Ora sì.»
Il ghigno si era trasformato in sorriso nella frazione di un secondo, e il francese era tornato dai suoi compagni senza aggiungere altro.

E Sebastiano, come al solito, era rimasto immobile e frastornato.

Era quasi ora di cena, durante la giornata avevano camminato tantissimo e Sebastiano era stanco morto.

Era dal pranzo che non vedeva Léon.
Sembrava essersi volatilizzato.
Le due classi si erano divise in sei gruppi diversi e avevano avuto la possibilità di gironzolare ognuno per conto loro durante tutto il pomeriggio.

Alla fine i ragazzi erano interessati più o meno tutti alle stesse cose, quindi si erano incontrati e scontrati spessissimo in quelle ore libere.

Eppure Léon non era mai con nessuno degli altri gruppi.
Stava architettando qualcosa, se lo sentiva.

«Bello, stasera stai tu in camera?»

La voce di Andrea lo riscosse da quei pensieri che iniziavano a essere davvero invadenti.
«Certo. Degli altri chi resta?»

«Degli altri, chi?»

Già, degli altri chi? Erano due classi, circa una cinquantina di studenti, quindi sedici camere su per giù.

Seba spalancò gli occhi quando si rese conto di quello che aveva chiesto, ma per fortuna Andrea non sembrava essersi accorto di nulla.

«So che Giada e Léon resteranno di guardia domani sera, se ti riferivi agli altri del gruppo. Per il resto non saprei...»

Seba annuì appena.
Figurarsi se Giada avrebbe perso l'occasione per fare qualcosa insieme al suo francesino.

Che poi, era stata una vera stupida.
Dovevano stare ognuno nella loro stanza, mica potevano vedersi e fare una chiacchierata al chiar di luna!

Alex stava finendo di vestirsi, mentre Andre era spaparanzato sul letto, le mani dietro la nuca e un'aria sognante in volto.

«Ma vi rendete conto? Siamo in una città dove non mi conosce nessuno! Finalmente potrò rimorchiare a dovere. Ho visto delle fighe pazzesche oggi, in centro.»

Il rosso uscì dal bagno scuotendo la testa e Seba riuscì a fare la prima risata sincera del giorno.

Si avviarono insieme alla sala ristorante e presero posto insieme ad altri ragazzi della loro classe.

Iniziarono a chiacchierare del più e del meno, quando l'entrata in sala di una figura attirò l'attenzione di Seba.

Era Léon.
Certo, chi altri poteva essere?
Con quella camminata sempre un po' scazzata e i capelli sparati per aria, le guance scavate e quegli occhi di tempesta.

Léon, sempre e solo Léon.

Aveva indosso il maglioncino che gli aveva regalato Giada a Natale, e Seba sentì una fitta contorcergli lo stomaco.

Vide la scena come a rallentatore: Léon che camminava sicuro in mezzo ai tavoli, Giada che spalancava gli occhioni nocciola e arrossiva visibilmente, e il francese che le schiacciava un occhiolino.

I pugni serrati sotto il tavolo e i denti digrignati del castano non facevano altro che aumentare la rabbia che sentiva dentro.

Non doveva importargliene nulla di quell'idiota.
Nulla.

Continuò a chiacchierare con quelli del suo tavolo, o almeno fece finta di farlo; in realtà si sentiva lontano anni luce da quelle conversazioni.
Si limitava ad annuire ogni tanto o a dire qualche parola in qua e in là.

Sentiva gli occhi di Léon addosso e, ogni volta che si girava per verificare se fosse vero o meno, quel deficiente gli sorrideva.

Ed era un sorriso che non era né il suo solito ghigno, né quello che a volte gli aveva visto spuntare sulle labbra; quello sincero, quello bello.

L'irritazione di Seba continuava a crescere, ma si irrigidì di colpo quando lo vide alzarsi e avanzare verso il loro tavolo con un vassoio colmo di avanzi nelle mani.

Ci siamo, pensò, adesso viene e me lo butta addosso, poi sarà finalmente finita.
Sarò libero.

Invece il francese prima andò a svuotarlo in un bidone, poi lo appoggiò in un carrello apposito e alla fine andò a sedersi su una sedia libera, di fianco ad Alex.

«Dove si va stasera di bello?» chiese guardando Sebastiano.

Lui non rispose, si limitò a giocherellare con quello che aveva ancora nel piatto, ovvero praticamente tutta la cena.

«Non chiedere a lui, stasera è di guardia. Però ho dato un'occhiata su internet, ieri, e ho trovato un pub veramente figo» rispose Andrea.

«Bene! Ci vediamo all'angolo, allora. Poi vi racconterò una cosa molto divertente che ho escogitato...» sorrise, schiacciò un occhiolino a Seba e si avviò nella hall, insieme agli altri che avevano già finito di cenare.

Era la serata dei tic all'occhio, quella?

E poi perché aveva guardato proprio lui dopo aver detto della "cosa divertente"?
Ma cosa c'era di divertente nel tenere sulle spine una persona in quella maniera?
Era così comica tutta quella faccenda?
No, perché, Seba non ci trovava proprio nulla da ridere.

Era stato per i fatti suoi tutto il pomeriggio, quel coglione, chissà cosa aveva avuto il tempo di elaborare!

Seba si scusò coi suoi compagni, andò dal professore e gli disse che sarebbe rientrato in camera perché era stanco, e si avviò con l'ascensore al quarto piano dell'albergo, quello in cui parte delle due classi alloggiava.

Quei corridoi erano veramente inquietanti.
Tanto per iniziare, avevano una moquette di un verde scuro che sembrava avere cent'anni.
E poi, giusto per non farci mancare nulla, ogni tre porte avevano piazzato un armadio a due ante alto, largo e in legno scuro. Ovviamente quella splendida mobilia era solo dal lato sinistro del corridoio, ovvero quello dove Seba aveva la camera.

Ogni volta che usciva dalla stanza si dimenticava di quei cazzo di armadi, li vedeva con la coda dell'occhio e sobbalzava.

Tirò fuori la chiave magnetica, la passò nel lettore e infine entrò in stanza.

Si risvegliò con quello scemo di Alex che saltava sul suo letto.
Ma quando si era addormentato?
Ricordava di essersi fatto una doccia, aver infilato una tuta ed essersi steso sul letto con la musica di Léon nelle cuffie.
Doveva essersi rilassato un po' troppo.

«Cosa ascolti?» gli chiese il rosso, dopo avergli strappato un auricolare dalle orecchie.

Seba lo riafferrò al volo, chiuse il piccolo portatile che si era portato in gita e sorrise.
«Musica... Siete pronti per la serata?»

«Oh sì, puoi scommetterci! Noi siamo pronti... Tu, Alex?»

I ragazzi guardarono Andre con aria confusa.
«Scusa ma... Siamo, chi?»

Andrea alzò e abbassò le sopracciglia in quella che voleva essere un'espressione ammiccante.
«Io e il mio amico» disse indicandosi il pacco.

Il rosso si buttò una mano in faccia e Seba iniziò a ridere.
«Controllalo, non vorrei che spargesse il suo seme qui in Germania!» ordinò al rosso.

«Sarà fatto!» rispose quello.

Entrambi guardarono l'orario: erano quasi le 22:00, momento perfetto per sgattaiolare fuori.

«Mi raccomando, state attenti e tenete i telefoni sott'occhio, se c'è qualcosa vi avviso» disse ai suoi amici, sorridendo.

I ragazzi lo salutarono e, dopo aver guardato a destra e sinistra con la testa fuori dalla porta, se la chiusero alle spalle.

Seba mise di nuovo le cuffiette, e ancora una volta si perse in quel turbinio di note.

Guardò l'orologio di sfuggita: era passata poco più di mezz'ora da quando i suoi amici avevano lasciato la camera e lui aveva tutta l'intenzione di mettersi a dormire.

Si era già lavato i denti ed era pronto a infilarsi sotto le coperte, quando iniziò ad avere sete.

Aveva finito tutta l'acqua che avevano in camera e non poteva scendere nella hall per comprarne una bottiglietta, dato che era di guardia.

Iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza.

Di spendere cinque euro per mezzo litro d'acqua presa dal frigo bar non se ne parlava, e quella del bagno non era certo che fosse potabile; l'unica soluzione sensata che gli venne in mente fu quella di andare a bussare ai ragazzi che alloggiavano nella camera accanto alla sua e chiedere se ne avessero un po'.

Prese la chiave magnetica e se la infilò in tasca, aprì appena la porta del corridoio per controllare che fosse tutto tranquillo e uscì.

Una voce che canticchiava alle sue spalle lo spinse ad appiattirsi contro il muro, col cuore che gli era salito in gola e le mani che avevano iniziato a sudare.

E se fosse stato un professore?
Beh, poteva sempre dire che voleva scendere a prendere qualcosa al bar, in fondo era in ciabatte, non avrebbero avuto motivo per dubitare.

Si sporse di poco oltre l'armadio e vide una massa di capelli sparati in aria avanzare verso di lui.

Era Léon.
Che cazzo ci faceva in giro per i corridoi a quell'ora?
Non doveva uscire con gli altri?

Un moto di rabbia gli invase il petto.
Sicuramente stava andando verso la sua stanza per mettere in atto quello scherzo idiota di cui aveva tanto parlato.
Magari voleva pure riprenderlo col cellulare e poi mostrarlo ai suoi compagni di classe.

Seba voleva rientrare in camera e prenderlo in contropiede facendo saltare il piano dello stupido francese, lo voleva davvero.
Eppure non ci riuscì.

Lo sentiva avanzare, era sempre più vicino, poteva capirlo dalla sua stupida vocetta allegra che aumentava di volume a mano a mano che camminava.

Uscì dal nascondiglio che gli aveva fornito l'armadio nell'esatto momento in cui Léon gli passò davanti, lo afferrò per il maglione e ce lo sbatté contro.

«Che cazzo stai escogitando?»
I pugni che stringevano quella stupida lana azzurrina sempre più stretti, il cuore che sembrava come impazzito per la rabbia e il fiato corto.

«Come, prego?»

«Dove cazzo sei stato tutto il pomeriggio?»

L'espressione del più grande cambiò in un secondo: da sorpreso a... Cosa stava facendo? Gongolava?

Anziché spingerlo via, Léon mise le mani sui suoi fianchi e lo attirò più verso di sé.
«Perché? Ti sono mancato, Sébastien?» chiese con un sorrisetto sul volto.

Seba strinse la presa sul suo maglione ancora di più e alzò il viso per cercare di essere alla sua stessa altezza, di portare gli occhi nei suoi.

«Non fare il coglione. Tu devi spiegarmi perché all'improvviso hai iniziato a tormentarmi così. Mi odi così tanto? Che cazzo ti ho fatto?»

Negli occhi di Léon passò un lampo di tristezza, ma forse Seba l'aveva solo immaginato.

Le alzò, quelle iridi del colore del cielo in tempesta, ed evitò di riportarle da lui, le mani ancora sui suoi fianchi.
«Non capisci proprio un cazzo» decretò.

Era quella la sua risposta? Seba non capiva? Certo che non capiva, lui non gli aveva mai spiegato niente!
Non sapeva se aveva fatto qualcosa di sbagliato nei suoi confronti, se qualcuno gli aveva riferito qualche stronzata, se era solo un periodo in cui non aveva voglia di averlo attorno.
Come poteva capire qualcosa?

«Allora spiegami!» ringhiò.

Léon tornò con gli occhi nei suoi, Seba lo sentì stringere appena la presa sui suoi fianchi, e la tempesta si fece leggermente meno intensa.

Aveva un'espressione rassegnata sul volto, mentre lo avvicinava a quello di Sebastiano, che rimase immobile, con gli occhi spalancati, mentre Léon appoggiava le sue labbra su quelle del più piccolo.

Era stato un tocco veloce, leggero, che però aveva mandato una scarica dritta al petto di Seba; scarica che si era propagata per tutto il corpo in un millesimo di secondo.

Léon era tornato alla sua posizione iniziale, a qualche centimetro da lui, e il più piccolo vagava nei suoi occhi con le iridi come impazzite.

Strinse ancora di più la presa su quell'orrendo maglione che gli aveva regalato quella stronza di Giada, le mani ormai gli dolevano da quanto le stava serrando.

Il respiro affannato si infranse sulla bocca di Léon, sulle sue labbra rosee e piene rimaste socchiuse.

Seba ci si fiondò sopra senza riuscire nemmeno a capire se l'avesse deciso o meno.

Era stato puro istinto.

Sentì le mani di Léon stringergli la carne e infilarsi sotto la felpa che indossava, e portò le sue tra i capelli biondi del francese.

Li tirò appena, come avrebbe voluto fare a Natale, quando si era ritrovato di nuovo col viso così vicino al suo.

Era un bacio urgente, bisognoso, arrabbiato.

Seba sentiva i polpastrelli di Léon salire verso l'alto, sul suo torace, mentre lui cercava di attirarlo ancora più verso di sé.

Trovò la forza di togliere una mano dai suoi capelli solo per infilarla in tasca e cercare la tesserina magnetica.
La prese e iniziò a passarla a caso vicino al lettore, con la speranza di trovare quella stupida fessura.

Si staccò appena dalle labbra del francese che approfittò del momento per iniziare a baciargli il collo, il mento, ogni centimetro di pelle disponibile.

Quando riuscì ad aprire, Seba spinse Léon all'interno, e appena chiuse la porta alle sue spalle si sentì spingere a sua volta contro essa.

Le loro mani erano dappertutto mentre le lingue si cercavano, bisognose e avide.

I brividi che Sebastiano stava sentendo in ogni parte del corpo non erano paragonabili a null'altro che avesse provato in tutta la sua vita.
Mai, mai si era sentito così impaziente, così eccitato.

Léon si staccò un attimo, il respiro affannato e gli occhi lucidi di eccitazione.
«Sei sicuro che-»

Ma Seba non gli lasciò finire la frase.
«Non farmi pensare. Se mi fermo a pensare è finita» ansimò, per poi fiondarsi di nuovo su quella bocca che era diventata nel giro di pochi minuti come una droga.

Era il loro sapore, quello creato dalle loro salive, che creava dipendenza.
Seba era certo che non sarebbe mai riuscito a dimenticarlo.

Ma il francese si staccò di nuovo da lui e lo guardò negli occhi.
«Forse è proprio per questo che dovresti chiederti se è questo quello che vuoi.»

Seba scosse la testa con foga.
«No, tu non capisci! Se mi fermo a pensare io penso a Chiara, ai miei genitori, a tutte le cose razionali di questo mondo, e non è ciò che voglio. Questo», affermò prima di baciarlo in modo rude e bisognoso «È quello che voglio. Questo», e gli passò la lingua sul collo in modo lento, prima di lasciargli un piccolo morso, «E questo» concluse, posando le sue mani sul fondoschiena del francese, strizzandolo e saggiandone la consistenza soda.

Léon si buttò di nuovo sulla sua bocca e Seba invertì le posizioni, facendo sbattere la schiena del biondo contro la porta e portando i loro bacini a scontrarsi.

Erano entrambi duri, entrambi eccitati.
Si abbassò appena e prese Léon dalle cosce prima di alzarsi e andare verso il letto.
Era più alto di qualche centimetro, ma le gambe del francese stavano a meraviglia attorcigliate a lui.

Finirono sul materasso e fu un miracolo se riuscirono a non cadere, tanta era la foga dei loro movimenti.

Il più grande aiutò Sebastiano a sfilare quella felpa ingombrante e si perse ad ammirare la sua pelle nuda.

Iniziò a baciarla piano, prima il collo, poi la clavicola, la spalla, il petto, i capezzoli.

Cristo santo, Seba non aveva idea che farsi leccare i capezzoli potesse essere una cosa tanto eccitante.

L'erezione che aveva tra le gambe iniziava ad essere quasi dolorosa, tanto pulsava.
Ma non voleva affrettare le cose; voleva godersi ogni secondo insieme a Léon, ogni bacio, ogni morso, ogni movimento.

La piccola lampada accesa sul comodino creava una luce soffusa che, però, gli permetteva di godere di ogni espressione del più grande, dagli occhi lucidi ed eccitati alle labbra bagnate della sua saliva. 

Era una visione meravigliosa e Seba avrebbe voluto possedere cento occhi per guardare tutto insieme nello stesso momento.

Aiutò Léon a togliere il maglione e iniziò a lasciare una scia di baci e morsi su ogni centimetro di pelle possibile, mentre aveva iniziato a far strusciare leggermente le loro intimità per darsi un po' di sollievo.

Nulla sembrava essere abbastanza, entrambi avevano il fiato corto e sembravano quasi sofferenti.
I pantaloni raggiunsero presto gli altri vestiti sul pavimento e Seba si prese un secondo per ammirare Léon dall'alto.

Se ne stava lì, sdraiato sul letto, coi capelli sparsi ovunque e gli occhi pieni di voglia, proprio come immaginava fossero i suoi. 

Léon, mani verso l'alto e sguardo pieno di lussuria, lo accarezzava piano, e ogni tocco era un brivido di piacere che si propagava in tutto il corpo e andava a concentrarsi proprio nelle sue mutande.

Era bellissimo.

Seba guardò la sua pelle chiara e cercò di imprimersi nella mente ogni dettaglio, ogni neo, ogni particolare; anche quelle cicatrici che l'avevano sorpreso. 

Si era ritrovato il petto invaso da un altro moto di rabbia: quelli non erano segni di una persona che si era fatta male in un qualsiasi modo; sembravano più lo sfogo di qualcuno che aveva voluto rovinare un'opera meravigliosa come quella che era Léon. 

Stava per aprire bocca, ma le mani del francese gli circondarono il viso.
«Non adesso, ti prego.»

Il più piccolo annuì appena e ricominciarono la loro danza di carezze e spinte.

Quando Léon iniziò a scendere pericolosamente verso il basso, con la sua scia di baci umida, Seba pensò davvero di essere vicino alla follia più totale.

I boxer vennero sfilati piano, con mani sapienti e senza la minima esitazione.
Sentiva il respiro del più grande infrangersi sulla sua pelle dura, tesa, e non sapeva più come fare per riprendere a respirare normalmente.

Una carezza di Léon gli fece uscire un gemito, che si premurò di camuffare portando una mano alla bocca, poi fu il paradiso: Léon aveva baciato la sua erezione, prima con labbra leggere e delicate, poi con la lingua.

Quando Seba si sentì completamente dentro la sua bocca, pensò di morire.

Léon faceva su e giù con quelle labbra divine, accompagnando il movimento con la mano, e Sebastiano non sapeva più come fare per trattenersi, per non venire lì e subito. 

Alzò di poco la testa, ma fu un errore madornale.
L'immagine di Léon sul suo sesso, che si impegnava a succhiare così bene, era qualcosa che Seba non avrebbe mai potuto immaginare, né dimenticare.

Gli ci volle parecchia forza di volontà per farlo staccare dal meraviglioso lavoro che stava facendo; per ripotarlo da lui, di nuovo occhi negli occhi, di nuovo labbra contro labbra.

Si baciarono ancora e Seba iniziò a scendere a sua volta, mentre lasciava morsi e baci lungo il torace di Léon.

Agganciò gli slip del francese con i pollici e li fece scendere giù, lungo le cosce slanciate e sode.

Quando si trovò davanti la sua erezione, si prese un attimo per ammirarla.
Non aveva idea che potesse fargli quell'effetto trovarsi un membro davanti.

Era bello, pensò, e lui si sentì spiazzato dal desiderio di assaggiarlo.

Cercò di ripetere i movimenti che aveva fatto prima il francese, e gli ansimi che stavano venendo fuori proprio dalla sua bocca gli fecero intuire che non se la stesse cavando poi tanto male.

Sentì la mano di Léon afferrargli i capelli e stringerli appena e si ritrovò talmente eccitato da quel gesto, che iniziò a masturbarsi per darsi un po' di sollievo.

«Non ti toccare» lo ammonì il più grande, e lui gemette frustrato, mentre tornava su e ricominciava una lenta tortura fatta di labbra e denti.

Il più grande si alzò dal letto e andò a rovistare nei pantaloni, tirò fuori un preservativo e lo aprì.

Seba lo vide avanzare verso di lui e allungare le mani, per poi srotolarglielo sull'erezione, mentre ne approfittava per fargli un massaggio che fece gemere il più piccolo.

Era bravo, pensò.
Lui si sentiva impacciato quando doveva metterlo per sé, figurarsi farlo a un altro, come aveva appena fatto Léon.

Il francese tornò a stendersi di fianco a lui, iniziarono di nuovo a baciarsi, come se non riuscissero a stare più di due minuti con le labbra staccate, e Seba portò un dito alla bocca del più grande.

Non lo aveva detto a nessuno, ma dalla sera in cui Léon l'aveva beccato a guardare quel porno, ne aveva visti altri, e ognuno gli aveva fatto lo stesso identico effetto: indifferenza assoluta.

Ora invece si trovava nudo con lui e aveva paura di venire nel preservativo prima ancora di riuscire a farci l'amore.

Léon che leccava il suo dito e lo guardava con quegli occhi carichi di desiderio era una visione troppo eccitante per il suo povero sesso.
Portò piano la mano al sedere del francese e, mentre massaggiava l'apertura disegnando cerchietti astratti, con la mano libera iniziò a masturbarlo.

Il primo dito fece gemere Léon, che si stava mordendo il labbro inferiore pur di non urlare.
«Ancora» lo implorò.

Dio, sentirlo mentre usava quel tono era uno strazio.

Ne aggiunse un altro e sentì Léon respirare pesantemente sul suo collo, mentre aveva ricominciato a leccarlo ovunque.

«Sébastien, ti prego...»

Seba lo voltò e fece aderire la schiena al suo petto, gli sollevò appena la gamba e cercò di penetrarlo con calma, un centimetro alla volta.

Quando fu completamente dentro fu costretto a fermarsi, sentiva l'anello di muscoli pulsargli attorno al sesso ed era certo che sarebbe venuto dopo una sola spinta, se non si fosse calmato un po'. 

«Dio, sei così... È perfetto» ansimò nell'orecchio del compagno.

Sentiva la carne stretta di Léon avvolgerlo completamente e cercò di regolarizzare il respiro meglio che riuscì.

Diede il tempo anche a lui di abituarsi all'intrusione, e capì che poteva iniziare a muoversi quando l'altro iniziò a ondeggiare leggermente col bacino.

Cazzo, essere dentro di lui era qualcosa di inspiegabile.

Seba diede qualche stoccata, cercando di mantenere tutto l'autocontrollo di cui aveva bisogno per non venire immediatamente.

Voleva godersi tutto... Le mani intrecciate a quelle di Léon, i loro respiri affannati, i gemiti che entrambi cercavano di soffocare.

Un ansimo più forte degli altri gli fece capire di aver colpito il punto giusto, quello che avrebbe portato Léon al punto di non ritorno.

«Sì, lì, proprio lì» gli sentì dire mentre stringeva ancora di più le mani alle sue.

Seba cercò di ritrovare l'angolazione giusta per beccare di nuovo il punto esatto, e il respiro sempre più affannato di Léon gli fece capire che ci stava riuscendo.

Non ci fu bisogno di dire nulla, Seba sentì il compagno irrigidirsi completamente e diede libero sfogo a quell'orgasmo che stava trattenendo già da troppo tempo.

Arrivarono al culmine insieme, stravolti, e Sebastiano si accasciò senza fiato sulla spalla di Léon, che aveva voltato la testa all'indietro per baciarlo piano.

Erano state stelle e fulmini, tempeste e uragani. Tutto insieme, mentre ancora tremava per l'esplosione di cui era appena stato parte.

«È stato perfetto. Tutto fottutamente perfetto» disse Sebastiano, mentre tornava a baciare quelle labbra e quel volto.

Léon gli sorrise, uno di quei sorrisi che gli illuminavano anche gli occhi, e annuì, mentre una mano andava ad accarezzargli il volto.

E Seba si sentì finalmente in pace, finalmente appagato.

Cercò di godersi il momento nei minimi particolari, nei minimi dettagli, perché sapeva bene che i sensi di colpa non avrebbero tardato ad arrivare.

Spazio S.

Lo so che avrei dovuto aggiornare domani, ma questo è IL capitolo, e io non vedevo l'ora di farvelo leggere 💞
Finalmente Seba ha fatto pace col cervello e si è arreso... Quanto durerà questa quiete?
Ci rileggiamo domani con un nuovo pezzetto di questa storia e di questi due amorini 😍
Un bacio, S.

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