19. Incontri E Scontri

Il pomeriggio della vigilia Seba lo aveva organizzato con Alex.
Era da un po' che non si vedevano solo loro due, e lui ancora era frustrato per le parole che gli aveva detto Giulio.

I ragazzi se ne stavano spaparanzati sul divano mentre i titoli di coda scorrevano, annunciando la fine di un film che non era stato nemmeno un granché.
Quella sera avrebbero ordinato delle pizze, poi il resto del gruppo li avrebbe raggiunti lì, a casa del rosso, per aprire i regali tutti insieme, come da tradizione.

Sebastiano era stato distratto per tutto il tempo: pensava e ripensava a come poter iniziare quel discorso che gli girava in testa da ormai dieci giorni.

Così se ne uscì con un commento sul film per provare a rompere il ghiaccio, mentre seguiva Alex che faceva avanti e indietro dal salotto alla cucina nel tentativo di riordinare un po'.

«Beh, non è stato bellissimo, ma neanche malvagio, no?» buttò lì.

«Mh, caruccio, ma niente di straordinario, in effetti.»

«Già... beh, la protagonista era una gran figa!»

Alex mise su un'espressione perplessa a quell'affermazione, poi però annuì.
«Sì, in effetti era una bella ragazza.»

«Infatti! Beh, anche il protagonista era un gran bel... gnocco?» chiese incerto.

Il rosso scoppiò in una fragorosa risata, tanto che quasi gli caddero i bicchieri che teneva in mano.
«Ma che cazzo dici?»

«Perché? Voglio dire, parliamo di Zac Efron, non è mica da buttare! Quando faceva High School Musical era carino, ma adesso è proprio bello, ammettiamolo!»

Alex continuava a guardarlo con quell'espressione stranita in volto e ogni volta che Seba parlava, lui si ritrovava a scuotere la testa incredulo.
«Se lo dici tu...»

«Lo dico io, infatti. E sai chi altro è un gran pezzo di ragazzo? Giancarlo Commare!»

«Chi?»

«Dai! Quello di Skam Italia! Chiara mi ha fatto vedere tutte le stagioni...»

«Ma chi? Belli capelli

«Seh, belli capelli! Piacerebbe anche a me avere un belli capelli così, nella mia vita» disse con tono convinto. 

Era così agitato per quel discorso, che stava addirittura cercando di parlare come pensava che avrebbe voluto fare Alex, se non avesse temuto un suo giudizio. Ormai quell'idea si era radicata in lui, e si era sentito così in colpa negli ultimi giorni che aveva deciso che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di far sentire il suo amico a suo agio.

«Seba, ma che cazzo hai fumato oggi?»

Per tutta risposta, il castano si lasciò cadere sul divano, sconfortato ed esausto per quel siparietto che aveva tentato di mettere su.
«Scusa... È che l'altro giorno sono andato al centro commerciale con Giulio...»

«Il fratello di Chiara?»

«Sì.»

«E ti ha contagiato con la sua omosessualità dirompente?»

Fu il turno di Seba di scoppiare a ridere. Poi si riprese e continuò il discorso.
«No... È che ha fatto un commento su un ragazzo, e io gli ho risposto che non c'ero abituato, e lui ha detto che se tu non li fai con me, è perché hai paura di un mio giudizio.»

«Seba, ma-»

Non gli lasciò il tempo di finire la frase, aveva bisogno di dirgli tutto, e di farlo subito.
«Non voglio che tu non faccia i commenti che vuoi fare solo perché pensi che ti giudicherei, perché io non lo farei mai! Ecco, magari non sarò io il primo a dirti che qualcuno è figo, ma ti ascolterei, se volessi essere tu a farlo. E non ti giudicherei. Mai!»

Alex iniziò a scuotere la testa e andò a sedersi accanto a lui, con un sorriso che sembrava essere incoraggiante.
«Non faccio commenti perché non ho voglia di farli e, soprattutto, perché a scuola non ci sono ragazzi che mi attirano. Cosa ti ho detto l'anno scorso sul prof di educazione fisica?»

Seba ci pensò un attimo... In effetti ne aveva dette parecchie su di lui, chissà a quale si stava riferendo in quel momento.
«Che ti saresti fatto trovare a quattro di bastoni sulla sua cattedra, prima o poi?»

Alex mise su un aria sognante nel ricordare quella fantasia erotica che aveva confessato al suo amico, poi ricevette una gomitata proprio da quest'ultimo.
«No, non mi riferivo a quello, anche se comunque poi l'ho fatto per davvero» disse facendogli un occhiolino, «Ma va bene anche il tuo esempio. È o non è una cosa detta su un altro ragazzo?»

Seba ci pensò su un attimo.
In effetti, ora che si sforzava di ricordare, era capitato qualche volta che Alex facesse qualche commento sul loro professore.
E allora perché il commento di Giulio lo aveva sconvolto così tanto? Perché si era sentito così in difetto nei confronti del suo migliore amico?

«Quindi non ti senti giudicato da me? Perché io davvero non l'ho mai fatto.»

L'altro alzò gli occhi al cielo e riprese a scuotere la testa.
«Seba, se avessi avuto un piccolissimo sentore di giudizio o pregiudizio, ti avrei scassato di botte!»
Si lasciarono andare entrambi ad una risata liberatoria e tornarono a fare zapping sulla tv.

Si poteva mangiare una pizza senza che questa fosse accompagnata da una birra?
Alex pensava di no, ed ecco perché aveva spedito il suo migliore amico a comprarne un cartone.

Seba stava cercando di camminare velocemente nel tentativo di scaldarsi dal vento gelido che sembrava trapassargli i vestiti.
Fortunatamente Alex abitava poco lontano dal centro, altrimenti col piffero che sarebbe uscito solo per comprare della stupida birra.

Le vie della città erano state addobbate agli inizi del mese, e risuonavano nell'aria note di canzoni natalizie provenienti da ogni negozio.

Seba odiava il Natale.

I suoi genitori erano sempre impegnati con i pranzi e le cene in albergo, e a lui toccava starsene alla reception per tutto il tempo.
Figuriamoci se suo padre avrebbe fatto lavorare uno dei suoi dipendenti!
Erano anni che nei giorni di Natale e Pasqua si premurava di chiamare ditte esterne che si occupassero dei pasti e della pulizia giornaliera delle camere: il suo amato staff doveva restare assolutamente di riposo nelle giornate di festa.
Lo stesso non si poteva dire dei suoi figli, ovviamente.

Per fortuna, almeno quell'anno, Seba avrebbe potuto risparmiarsi di stare solo come un allocco a quello stupido bancone: suo padre -sotto insistenza di Giorgio- aveva deciso che i suoi figli potevano stare a casa e passare la giornata come meglio credevano.

Peccato che suo fratello avesse insistito solo per un motivo, ovvero quello di stare tutto il giorno coi suoi stupidi amici a bere e fumare chissà che cosa.

Pazienza, Sebastiano si sarebbe accontentato di poter dormire fino a tardi e di avere il divano tutto per sé.

Stava per raggiungere il minimarket, quando si sentì strattonare per un braccio e venne portato in uno dei vicoletti che c'erano in centro.

Un paio di braccia forti lo spinsero indietro e la sua schiena impattò violentemente contro il muro sudicio di quel corridoio cieco.
Quando riaprì gli occhi, si ritrovò davanti la brutta faccia di quell'idiota di Alessio, l'amico di suo fratello.

Eccolo con uno dei suoi stupidi scherzi, pensò.
Quel ragazzo non aveva mezze misure, non sapeva dosare la forza e, soprattutto, non aveva ancora capito che lui e Sebastiano non avevano una confidenza tale da potersi permettere di fare certi stupidi giochetti.

«Ma sei cretino?» sputò fuori velenoso Sebastiano, «Mi hai fatto male!»

Ad una seconda occhiata, però, si accorse che non aveva la solita faccia da idiota che metteva su quando lo prendeva in giro.
La sua bocca era tirata su solo da un lato, e gli occhi sembravano cattivi, arrabbiati.

«Ti diverti a girare coi frocetti, adesso?»

Seba sbiancò. Di chi stava parlando? Di Alex? Possibile che avessero scoperto che era gay? Eppure lui era sempre stato attento a non far capire nulla a nessuno, diceva sempre che ne avrebbe parlato quando si sarebbe sentito pronto. E poi perché Alessio, nel chiederlo, aveva usato un tono così sadico?

«Ma di chi parli?»

«Del fratellino frocio della tua ragazza. Com'è che si chiama? Giulio!»

Giulio, ma certo. Sicuramente li aveva visti al centro commerciale. Anche se... Seba doveva ammettere che non capiva quale fosse il problema.

«E quindi?» chiese mettendo su l'espressione più strafottente che riuscì a fare, «Sono per caso cazzi tuoi con chi esco io?»

Dio, Sebastiano non aveva mai sopportato i bulletti come Alessio. Gli si vedeva proprio in faccia quando avevano voglia di litigare, e un pretesto l'avrebbero sicuramente trovato.

Proprio come in quel momento: in quale maniera, a un coglione come quello che aveva di fronte, poteva interessare quali fossero le sue amicizie?
In nessuna, ecco in quale, eppure aveva trovato comunque il motivo di fare il prepotente.

«Sono cazzi miei, invece, dato che quelli come lui non li sopporto.»

Seba annuì, come se avesse preso coscienza della stronzata appena partorita da quell'essere.
«Capisco. Beh, hai ragione in fondo... Sai che potresti fare, ad esempio? Non uscirci, ed ecco che hai risolto il problema» disse mettendo su un faccino angelico che non avrebbe ingannato proprio nessuno.

Alessio portò l'avambraccio al collo di Sebastiano e iniziò a fare pressione, tanto che lui iniziò a sentire l'aria venirgli meno pian piano.

«Vedi, Sebby, non è facile come la fai tu. Perché se mai dovessi venire a sapere che il fratellino del mio migliore amico è un cazzo di pervertito, le conseguenze non le pagherebbe solo lui... e noi non vogliamo che a Giorgio capiti niente di male, non è così?»

La voce del più grande sembrava calma e tranquilla, eppure Seba aveva percepito benissimo l'odio di cui quelle frasi erano intrise.

La rabbia iniziò a montargli nel petto, ma faticava a respirare e non riusciva a ragionare lucidamente.

Che cosa voleva dire che le conseguenze le avrebbe pagate anche suo fratello? E poi perché mai fare una minaccia del genere, quando sapeva benissimo che lui aveva una ragazza? Ma quale razza di coglione avrebbe mai potuto fare un collegamento così assurdo?

Si sforzò di parlare, Sebastiano, anche se la voce venne fuori a stento e graffiata.
«Ti sei dimenticato che io sto con Chiara? Tu, piuttosto, da quant'è che non scopi? Forse è il caso che ti sfoghi un po'.»

Gli era costato un immenso sforzo pronunciare quella frase così lunga, ma l'espressione ancora più incazzata di Alessio lo aveva ripagato di quel dolore che sentiva in gola.

«Che cazzo fate?»

Seba voltò immediatamente lo sguardo non appena riconobbe quella voce.

La figura di Léon si stagliava tra le luci della città alle sue spalle e il buio del vicoletto in cui era stato trascinato da Alessio.

Fu proprio quest'ultimo ad allentare la presa, non appena si accorse di una terza presenza non gradita.

Fece un mezzo sorrisetto e sistemò il collo del giaccone di Sebastiano.
«Oh, niente di ché... Volevo solo fare gli auguri di buon Natale al fratellino del mio amico. Vero, Sebastiano?»

Gli occhi di quel bastardo erano ancora carichi di quella luce cattiva che Seba aveva visto pochi attimi prima, e lui si voltò nuovamente verso Léon. Erano quelle le iridi che voleva scorgere, eppure il buio non lo stava permettendo.

Voleva capire se il francese avesse intenzione reagire a quell'atto di bullismo che aveva fermato giusto in tempo, e si ritrovò a sperare che non fosse così.

Non voleva che le mani di Léon si sporcassero con quello schifo di Alessio.

Quelle mani erano destinate a creare magie su di un violino, non certo ad essere ricoperte di lividi e sangue.

«Bene, se glieli hai fatto allora Sebastiano può venire con me. Dobbiamo andare a comprare delle cose.»

Seba tirò un sospiro di sollievo quando udì le parole di Léon.
Alessio lo strattonò appena per spostarlo dal muro, e gli diede una piccola spinta verso il francese.
«È tutto tuo» disse con fare strafottente.

Un'ultima occhiataccia al più piccolo, e poi si avviò per tornare in centro.

Léon lo seguì con lo sguardo finché non lo vide sparire in mezzo alla gente che passeggiava tranquilla, poi si voltò verso Sebastiano.

Gli stava scrutando il viso, centimetro dopo centimetro, per verificare che non avesse nessuna ferita, e Seba sentiva bruciare la pelle dove lui posava gli occhi.

Si stava vergognando.

Quel prepotente di Alessio gli aveva fatto male e lui non era stato in grado di difendersi.
In palestra avrebbe sicuramente iniziato a seguire un corso di boxe.

«Stai bene?» si sentì chiedere.

Annuì appena, poi portò d'istinto le mani al collo con l'intento di massaggiarlo un po'.

«Fa' vedere» gli alzò di poco il mento e si avvicinò per poter controllare meglio.

Seba si sentì inondare da quell'odore strambo che ormai associava solamente a Léon.

Chiuse gli occhi solo per un attimo, solo per godersi quel momento di pace dopo lo spavento subìto.
Quando li riaprì trovò il francese così vicino a lui, che per un attimo si perse in quelle iridi di tempesta, che ora apparivano solamente preoccupate.

«Andiamo a prendere le birre» sentì dire dal più grande, e insieme si incamminarono verso il minimarket.

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