15. Lezioni Di Guida
«Che vuol dire che non hai ancora fatto nessuna guida?»
Sebastiano e Andrea si stavano dirigendo verso gli spogliatoi della palestra.
Aveva deciso di ricominciare a fare sport, e quale migliore occasione per passare anche un po' di tempo col suo amico? Ecco perché aveva scelto proprio quella frequentata da Andrea.
Avevano appena finito la scheda pensata per loro da uno dei personal trainer, e ora potevano finalmente concedersi una bella doccia calda.
«Vuol dire che i miei genitori sono sempre impegnati con l'albergo, e quindi ancora non mi hanno dato nessuna lezione» rispose Seba con un po' di rammarico. Era inconcepibile, per lui, che nessuno dei due avesse trovato una briciola di tempo da dedicare al figlio.
Ricordava bene che, quando era stato il turno di Giorgio, suo padre lo aveva portato più volte nei parcheggi dei vari centri commerciali per fargli prendere dimestichezza con la macchina.
«Assurdo. E tuo fratello?»
Seba scrollò le spalle facendo vagare lo sguardo qua e là.
«Lui è sempre all'università, la sera esce con quegli idioti dei suoi amici e spesso neanche rientra, si ferma direttamente a dormire da loro.»
Andrea scosse la testa per la disapprovazione.
«Ti aiuterei io, ma sono neopatentato...»
«Tranquillo, vorrà dire che farò qualche guida in più con l'istruttore, non c'è problema.»
In realtà, il problema c'era eccome. Per quanto Seba fosse un ragazzo sicuro di sé, aveva sempre avuto difficoltà nell'affrontare le cose nuove. Ecco perché avrebbe voluto fare un po' di pratica prima di salire sull'auto dell'istruttore: voleva avere un minimo di sicurezza, un minimo di esperienza.
Il suo compleanno si stava avvicinando, a breve avrebbe potuto sostenere l'esame teorico di guida e si disse che, con un po' di fortuna, magari i suoi genitori sarebbero riusciti a ritagliarsi qualche ora per lui, per farlo esercitare.
Sapeva che era una possibilità remota, ma in quel momento era sotto la doccia e l'acqua calda lo metteva sempre di buon umore, gli faceva tornare l'ottimismo. Sì, in qualche modo sarebbe riuscito a trovare qualcuno che lo aiutasse.
Se c'era una cosa che Seba detestava, era la poesia.
A scuola stavano studiando Leopardi, e lui aveva cercato per tutta la sera di memorizzare i versi de L'Infinito e di capirne il significato. Ma perché dovevano sempre parlare per metafore? Il poeta era incerto sul suo futuro, lo vedeva come un qualcosa di ignoto e imprevedibile, c'era proprio bisogno di scriverlo in modo così complesso? Non poteva esprimere il suo pensiero in modo semplice e chiaro? Che nervi!
Chiuse il libro di fronte a sé e fece per lanciarlo contro il muro, quando due colpi alla porta lo interruppero.
Giorgio fece capolino dal corridoio e, con aria scocciata, gli disse che c'erano visite per lui.
Seba controllò il telefono: nessun messaggio e nessuna chiamata.
Strano, pensò.
Si diede un'occhiata allo specchio prima di uscire e cercò di sistemarsi i capelli alla meno peggio, poi si avviò per andare in salotto con un bel sorriso stampato in volto.
Era certo che fosse stata Chiara a presentarsi senza preavviso; in fondo, il giorno dopo avrebbe compiuto i famosi diciotto anni, e Seba era sicuro che la sua ragazza volesse aspettare lo scoccare della mezzanotte insieme a lui per poter essere la prima a fargli gli auguri, proprio come l'anno precedente.
Il bel sorrisone che aveva invaso il suo viso si smorzò in fretta, quando in salotto riconobbe la figura alta e slanciata di Léon.
«Mi hanno mandato a prenderti.»
Esordì così, senza saluti né cerimonie. Dio, Seba odiava quando aveva quel modo di fare scazzato.
«Non è ora che prendi la patente? Oppure puoi andare col motorino, sempre meglio che girare con certi frocetti...»
Fantastico! C'era anche Alessio a casa loro, e non aveva perso tempo per fare una delle sue pessime uscite. Ora capiva anche il tono nervoso che aveva usato il francese nel rivolgersi a lui.
Seba guardò suo fratello arcuando un sopracciglio; possibile che non facesse niente per far tacere quel cretino del suo amico? Per tutta risposta, Giorgio diede un pugno amichevole sulla spalla del suo ospite e lo invitò ad andare in cucina per prendere una birra.
Era mortificante avere un essere così idiota che girava in casa sua; Seba sapeva perfettamente di non avere nessuna colpa per il comportamento misero di quell'elemento, eppure sentiva l'esigenza di scusarsi con Léon.
«Scusa per Alessio, lui non-»
Non fece in tempo a finire la frase che il più grande lo interruppe.
«Ti aspetto fuori, muoviti» girò i tacchi e uscì di casa.
Sebastiano afferrò una felpa e il cappotto, memore del fatto che il riscaldamento in quel trabiccolo guidato dal francese fosse rotto, e seguì i passi del più grande.
Una volta in macchina, incredibile a dirsi, un piacevole calduccio invase il suo corpo.
«Hai fatto riparare il clima?» chiese, con la speranza di allentare un po' la tensione.
Léon lo guardò un secondo, poi riportò gli occhi davanti a sé e iniziò a guidare.
«Sì, la settimana scorsa. Rischiavo di diventare un ghiacciolo ogni volta che entravo qui dentro» rispose tranquillo.
Seba finalmente rilassò le spalle e affondò nel sedile. Doveva ammettere che, nonostante quell'auto fosse davvero vecchissima, era veramente comoda.
«Dove sono gli altri?»
«Gli altri chi?»
«Il gruppo... hai detto che ti hanno mandato a prendermi.»
«Oh... non ci sono gli altri, l'ho detto solo per fare in modo che il tuo amico non prendesse per il culo anche te.»
«Alessio non è mio amico, è amico di mio fratello, ed è un emerito coglione.»
Léon alzò appena un angolo della bocca e non replicò nulla.
Seba era contento di aver specificato quella cosa, non voleva che persone come Alessio venissero associate a lui; nemmeno a Giorgio, a dire il vero, ma in fondo era proprio suo fratello che se l'era scelto come amico, lui non poteva di certo farci nulla.
In tutto questo ragionare, un piccolo dettaglio era sfuggito al suo controllo: che voleva dire che ci sarebbero stati solo loro due? Dove diavolo stavano andando a quell'ora? Erano quasi le 23:00!
«Dove stimo andando, quindi?» azzardò a chiedere.
«Qua vicino.»
Qua vicino. Che razza di risposta era? Gli sembrava di avere a che fare con uno di quei poeti ermetici che aveva studiato -e odiato!
Non poteva specificare qualcosa anziché dire le parole col contagocce?
Dopo circa dieci minuti, trascorsi in religioso silenzio, Seba si accorse che erano finiti nella zona industriale della città.
Non c'era nulla lì intorno, solo decine e decine di strade che portavano a edifici e fabbriche. Che avessero aperto un pub e lui non ne sapesse nulla? Impossibile! Andrea era quello sempre super informato del gruppo sull'apertura di nuovi locali, e non aveva mai accennato a niente.
Léon fermò la macchina a lato della strada, poi scese e fece il giro andando ad aprire lo sportello dalla parte di Sebastiano.
«Hai dimenticato la macchina accesa» gli disse proprio quest'ultimo.
Il francese alzò gli occhi al cielo, poi lo prese per un braccio e lo trascinò fuori dall'auto.
«Non ho dimenticato proprio niente. Avanti, sali dall'altra parte.»
Seba sgranò gli occhi. Possibile che quel coglione avesse dimenticato che lui non aveva la patente? Non aveva neanche diciotto anni, ancora.
«Sei stanco di guidare? Possiamo stare fermi un po', se hai sonno.»
Léon si accomodò sul sedile del passeggero e chiuse lo sportello senza nemmeno degnarlo di una risposta.
Seba fece il giro della macchina e prese posto dalla parte del guidatore con l'intento di spegnerla fino a quando il francese non si sarebbe di nuovo sentito in grado di guidare.
Dio, era stato fuori una manciata di secondi e già tremava di freddo. Portò le mani a una delle bocchette che sparavano aria calda e tentò di scaldarsi un minimo, prima di spegnere l'auto.
Léon si voltò verso di lui col suo solito ghigno strafottente.
«Ti sei scaldato abbastanza?»
«Sì, scusa, ora spengo.»
Portò la mano alle chiavi inserite nel cruscotto, ma quella di Léon lo fermò.
Era calda, al contrario della sua, e Seba si stupì nel constatare che fosse anche molto ruvida.
Probabilmente era così per la pressione che doveva esercitare sulle corde, quando suonava il violino.
Ci aveva posato un attimo gli occhi, su quella mano che ricopriva interamente la sua, poi li aveva riportati in alto, in quelli di Léon.
Era durato un secondo, forse meno, ma il brivido che corse lungo la schiena di Sebastiano sembrava avere la forza di un terremoto.
Si schiarì appena la voce e fece di tutto per non dare a vedere quanto fosse in difficoltà in quel momento, senza sapere neppure perché, oltretutto.
«Devi guidare.»
Era stato il più grande a rompere quel silenzio carico di tensione che si era venuto a creare.
«Andre mi ha detto che non hai nessuno a casa che ti insegni, quindi ora facciamo qualche prova. Non c'è nessuno in questa zona a quest'ora, puoi stare tranquillo.»
Seba si ritrovò a sorridere senza nemmeno accorgersene; regolò il sedile e gli specchietti, allacciò la cintura di sicurezza e mise le mani alle dieci e dieci sul volante.
«Cristo, sembri uno di quei vecchi di novant'anni, ti manca solo il cappello e siamo a posto.»
«Spiegami come fare e non rompere» rispose, senza perdere la sua espressione entusiasta e quella postura rigida.
«Okay, hai tre pedali: sinistra frizione, centro freno, destra acceleratore. Ci sei?»
«Ci sono.»
«D'accordo, per prima cosa spingi a fondo la frizione, e ricorda che il piede sinistro lo userai solo per quello, a meno che tu non voglia buttarti giù tutti i denti davanti. Capito?»
«Capito.»
«Inserisci la prima, poi cerca di coordinare bene i movimenti: col sinistro lasci la frizione, col destro inizi a dare un po' di gas. Non troppo, altrimenti ti parte con uno scatto e si spegne, ma neanche troppo poco, altrimenti si spegne e basta.»
Seba annuì con convinzione, poi guardò un attimo Léon.
«Parto?»
«Aspetta, fammi mettere la cintura, non si sa mai.»
«Grazie per la fiducia!»
«Ti pare? Ora vai, parti.»
Sebastiano si concentrò, spinse a fondo sul pedale della frizione come gli aveva detto il più grande, poi tentò di inserire la marcia, ma la macchina fece un rumore così fastidioso, che lasciò di scatto anche il volante, oltre ai pedali.
«Oddio, te l'ho rotta?» chiese allarmato.
Il francese si portò una mano al viso, segno di evidente preoccupazione, poi scosse la testa.
«Questa macchina ha più anni di noi due messi insieme, non credo sia facile romperla. Dai, riprova.»
Seba serrò le labbra in una linea dura, convinto che stavolta sarebbe riuscito a fare almeno qualche metro.
Riuscì a inserire la marcia e si sentì piuttosto soddisfatto, fino a che non tentò di partire e la macchina si spense.
«Stavolta l'ho rotta.»
Si voltò di scatto quando sentì l'altro esplodere in una risata. Era un evento così raro, che Seba rimaneva sempre stupito quando accadeva davanti a lui.
Gli si rimpicciolivano gli occhi, prendendo la forma della mezza luna, e gli si formavano delle piccole rughette ai lati. Quasi non si vedeva più il colore, tanto li stringeva, ma rimanevano comunque bellissimi. Seba amava le persone che quando ridevano lo facevano anche con gli occhi.
«Gira la chiave, poi metti in moto di nuovo. Hai la prima inserita, ricordati di spingere la frizione.»
Cosa aveva detto Léon?
Seba se l'era perso.
Era rimasto affascinato da quel suono caldo che era uscito dalla bocca del francese, andando a colpire direttamente il suo stomaco.
Era semplicemente contento che Léon sembrasse finalmente essersi rilassato un po', non c'erano sicuramente altre ragioni per essere felici della risata di qualcun altro.
Girò la chiave per spegnere i contatti, poi accese di nuovo l'auto, che scattò nuovamente in avanti.
«La frizione, te l'ho appena detto.»
«S-sì, scusa» farfugliò.
Tra rumori strambi, partenze a scatto e arresti improvvisi, Sebastiano era riuscito a guidare per la prima volta. Aveva addirittura raggiunto la velocità di venti chilometri orari! Incredibile...
Léon gli aveva insegnato qualche trucchetto per evitare di far spegnere la macchina, e lui doveva ammettere che si era rivelato un ottimo insegnante di guida.
Sicuramente sarebbe andato alla prima lezione molto più tranquillo, adesso.
Il francese stava guidando da una decina di minuti, e non certo in direzione di casa, ma Seba non aveva voluto fare nessuna domanda.
Si ritrovarono nella parte alta della città, e Léon si fermò in prossimità di una vallata; spense la macchina e restò così, fermo a guardare davanti a sé.
Sebastiano, dal canto suo, faceva rimbalzare lo sguardo dal suo vicino al panorama, dal panorama al suo vicino.
«Perché siamo venuti qui?»
Non avrebbe voluto chiederlo, in realtà, ma c'era qualcosa nello sguardo del più grande che lo indusse a fare quella domanda. Aveva rimesso su quell'aria malinconica, triste, che ogni tanto Seba gli vedeva addosso.
«Quando mi manca Parigi, vengo quassù.»
Seba guardò di nuovo davanti a sé. Amava la sua città ma, davvero, non poteva avere nulla a che fare con Parigi.
«Non ci sono mai stato di persona, ma tutte le foto che ho visto ti posso assicurare che non avevano nulla a che fare con... questo» disse indicando davanti a sé.
«Non ci sei mai stato? E perché? Non passi le estati in Francia?»
Léon pareva oltraggiato da quella mancanza.
«I miei nonni vivono a quasi mille chilometri da lì, e non sono mai stati dei gran viaggiatori. Non volevano nemmeno che mio fratello si prendesse la responsabilità di un minorenne, quindi...» concluse facendo spallucce.
«Ti ci devo portare, un giorno. Parigi è una delle città più belle del mondo intero. Tutti dovrebbero vederla almeno una volta.»
«Beh, se il panorama da qui è simile...»
Léon sbuffò una mezza risata e negò con la testa.
«Non è il panorama ad essere simile, guarda bene.»
Sebastiano tornò con lo sguardo davanti a sé. Non c'era nulla di nuovo in quello che vedeva, erano le stesse vie, le stesse fabbriche, le stesse case che vedeva tutti i giorni.
Poi, finalmente, la focalizzò.
Davanti ad uno degli edifici della zona industriale c'era una piccola riproduzione della Tour Eiffel, completamente illuminata da lucine che brillavano alternandosi tra loro. Era una delle fabbriche siderurgiche presenti in città, Seba l'aveva riconosciuta dall'insegna luminosa, e probabilmente quella doveva essere una creazione messa lì fuori per farsi pubblicità e attirare i clienti.
Era bellissima, nonostante sembrasse minuscola vista da quella distanza.
«Ti manca molto casa tua?» azzardò a chiedere.
«Molto, sì» rispose l'altro assottigliando appena lo sguardo.
«Perché non torni?»
«Perché non sono ancora pronto.»
Solo questo. Nessuna spiegazione, nessuna parola in più. Solo quella frase che era rimasta ad aleggiare in quella macchina ormai fredda, e gli occhi di Léon che erano diventati un po' più lucidi.
«Ho sentito dire che a molti francesi non piace la Tour Eiffel. Che è solo un grosso pezzo di ferro buttato in mezzo alla città» aveva deciso di provare ad alleggerire l'atmosfera così, con una sorta di battuta che sperava aiutasse Léon a tornare da lui.
Sembrava aver funzionato, pensò, perché ora il biondo aveva rimesso su il suo solito ghigno.
«Chi lo dice è solo uno stupido. Sarebbe come dire che il Colosseo non è bello perché è un ammasso di mattoni messi in tondo.»
Seba scoppiò a ridere pensando a quanti italiani avrebbero rischiato il carcere dopo un'affermazione del genere.
«Grazie per avermi fatto fare qualche guida, stasera.»
Ci aveva messo un po' a dirlo, ma era certo che l'altro sapesse quanto in fondo gli fosse riconoscente.
«Figurati.»
Passarono altro tempo lì, in quella macchina che ormai era riscaldata solo dai loro respiri, guardando entrambi quella riproduzione luminosa che sembrava stare tanto a cuore al francese.
Chissà se davvero un giorno lo avrebbe portato a vederla dal vivo.
«Sébastien?»
«Mh?»
«Buon compleanno.»
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