07. Ti Preoccupi Per Me?

I genitori di Seba erano rientrati in casa in pianta stabile da ormai una settimana, e lui stava cercando di riprendere la solita routine con non poca fatica. 

Era difficile, dopo mesi passati in quasi totale autonomia, dover tornare a rendere conto di ogni spostamento che faceva. Non erano cattive persone, Maurizio e Serena, solo un po' troppo rigide per i gusti di Sebastiano. 

Con suo fratello avevano certamente avuto vita più facile: era il ragazzo perfetto, o meglio, era perfettamente in grado di farsi passare per uno studente modello ed un responsabile giovanotto. 

Seba era diverso... lui era più caotico, si metteva a studiare sempre all'ultimo minuto, gli piaceva stare fuori fino a tardi con gli amici e non sopportava andare in chiesa la domenica mattina.

Cercare di destreggiarsi tra il suo vero essere e quello che avrebbero voluto i suoi genitori non era affatto facile, ma ormai gli veniva quasi naturale.

Proprio perché Giorgio era più bravo di lui a nascondere la sua vera natura, Seba si stupì quando trovò gli amici del più grande a casa loro, una volta rientrato da scuola.
I genitori non erano amanti dei festini in casa, e per loro anche invitare più di un ospite poteva considerarsi "festino".

Luca e Alessio erano i migliori amici di Giorgio sin dalle elementari e, uno alla volta, erano stati spesso a casa loro. Nonostante Seba li conoscesse da tanto tempo, non era mai riuscito a simpatizzare molto nei loro confronti e, quando aveva avuto quella discussione col maggiore riguardante l'orientamento sessuale del fratello di Chiara, lui non aveva potuto fare a meno di pensare che ci potesse essere lo zampino di quei due dietro quelle idee tanto retrograde.

Seba ne era ancora convinto: Giorgio non poteva essere tanto ottuso e stupido.

Il più grande e i suoi amici erano spaparanzati sul divano, tutti intenti a mangiucchiare patatine e guardare chissà cosa in tv. Seba salutò tutti in maniera educata poi, con un cenno del capo, invitò suo fratello a seguirlo in cucina.

«Come mai ne hai invitati due? Mamma e papà?» gli chiese una volta che furono soli.

«Sono partiti stamattina. Ce l'hanno detto ieri sera, a tavola. Ma dove sei ultimamente con la testa?»

Giusto. Dov'era ultimamente con la testa? Seba non avrebbe saputo dirlo.

Stavano succedendo così tante cose nella sua vita che gli era difficile trovare la concentrazione, una volta a casa.

Tanto per cominciare era metà ottobre, e lui non aveva ancora idea di cosa fare per Halloween! Era sempre stato il primo ad organizzare feste o serate per quell'occasione, perché l'aveva sempre amata, anche quando in Italia ancora non era tanto celebrata; era sempre riuscito a coinvolgere i suoi amici in qualche attività divertente, fosse anche solo guardarsi un film horror tutti insieme e mascherati. Ma Léon sembrava non apprezzare particolarmente quella ricorrenza, e il resto del gruppo era sembrato apatico a qualsiasi iniziativa proposta da Sebastiano.

Dio, che nervoso! Bastava che quel francesino dicesse che qualcosa non gli interessava, ed ecco che tutti gli altri diventavano a loro volta disinteressati. Ma che razza di comportamento era? Non era mica scritto da nessuna parte che si dovesse fare ogni minima cosa insieme! Per una sera Léon poteva starsene anche per i fattacci suoi, no?

A quanto pareva, no.

Per non parlare poi dei primi test!
Era difficile rimettersi a studiare dopo aver passato l'estate a cazzeggiare, e invece i suoi professori avevano già iniziato con verifiche a destra e a manca, per vedere quanto si fossero impegnati nei mesi di vacanza. 

Ma chi mai si sarebbe potuto impegnare nelle uniche settimane in cui ci si poteva godere un po' di dolce far niente?

E la sua ragazza aveva anche ricominciato a fare da aiuto catechista ai bimbi della parrocchia, il che voleva dire che tutti i sabati pomeriggio era impegnata, e nei week end non si poteva uscire fino a tardi perché il giorno dopo c'era messa.
Che palle!

«Ah, già... mi era passato di mente. Allora invito Chiara.»

«Seba...»

«Che c'è? Ce ne staremo in camera e non daremo fastidio a nessuno. E poi non puoi decidere di invitare qualcuno e vietare a me di fare la stessa cosa! Pari diritti in questa casa, bello!» disse con tono scherzoso, per cercare di non tornare a litigare sull'argomento.

«Fai come ti pare» rispose Giorgio con un cenno della mano che sembrava invitarlo ad andare in un certo posticino di sua conoscenza.

Stupido, stupido troglodita.

Quando sentì suonare il campanello, Seba controllò l'orario. 

Erano da poco passate le 20:00, ed era sicuro che fosse la sua ragazza; si alzò dal letto e fece per uscire dalla sua stanza, pronto ad andare ad accogliere Chiara. 

Giorgio non avrebbe di certo scomodato le sue stupide chiappe dal divano solo per farla entrare; con quegli altri due stupidi poi, figuriamoci!

Passando nel corridoio si diede una rapida occhiata allo specchio: i capelli erano leggermente arruffati, ma a Seba piaceva il modo in cui stavano quando non li tirava troppo col phon; l'abbronzatura aveva quasi completamente lasciato la sua pelle -ora più rosea che dorata- e in più c'era quello stupido brufolo che aveva fatto capolino sul suo mento durante la notte. 

Seba era certo che la colpa fosse della cioccolata mangiata la sera prima ma, andiamo, chi poteva resistere a quelle tavolette tanto invitanti?
Lui no di certo.

Andando verso il salotto si stupì nel constatare che il volume della tv fosse stato abbassato, e che i ragazzi stessero parlando con qualcuno la cui voce risultava particolarmente familiare. Una voce calda che Seba avrebbe potuto riconoscere ovunque, tanto gli suonava ostile.

«Quindi sei francese, eh? Ma non sono tutti froci, lì?»
Era la voce di Alessio; l'aveva sempre detto Seba che gli sembrava un vero e proprio coglione.

«Beh, non potrei giurarci, ma sono quasi certo di no» stava rispondendo Léon in tono abbastanza tranquillo.

Quando entrò nella stanza li trovò tutti in piedi ad accogliere il nuovo arrivato.
Certo, bella accoglienza del cazzo gli avevano riservato! Seba non simpatizzava certo per quello stupido biondino, ma non si sarebbe mai sognato di dirgli una cattiveria simile.

«Dici? Eppure io sono convinto di sì» replicò Alessio con un ghigno strafottente in volto.

«Se lo dici tu non ho certo motivo di contraddirti... D'altronde non sei laureato in minchioneria

Il volto di Alessio si fece immediatamente più serio e, dopo aver contratto visibilmente la mascella, fece uno scatto verso Léon che, per tutta risposta, rimase immobile sul posto con quel sorrisetto stronzo sempre ben piantato sulle labbra. 

Seba si buttò immediatamente verso l'amico di suo fratello, e dopo averlo bloccato per le spalle lo fece ritornare al suo posto.

«Ma quanti anni hai?» gli chiese rabbioso.

«Abbastanza per gonfiare di botte quello stronzo.»

Seba scosse la testa e si mise in mezzo ai due.
«Come mai sei qui?» chiese rivolto al francese.

«Siamo tutti da Alex, mi hanno mandato a prenderti perché ha iniziato a piovere.»

Il più piccolo annuì appena e, dopo averlo afferrato per la manica della felpa nera che indossava, se lo trascinò dietro fino alla porta d'ingresso.

Pescò un giacchetto dall'attaccapanni, lo infilò e fece un cenno del capo a suo fratello per salutarlo.
Ad Alessio, invece, riservò solo la più truce delle sue espressioni.

«Andiamo» sussurrò appena.

Una volta fuori di casa si voltò di scatto verso il più grande e diede libero sfogo alla rabbia che gli era montata nel vedere quella stupida scenetta:
«Ma sei deficiente, per caso?»

Per tutta risposta Léon spalancò la bocca e inarcò le sopracciglia talmente tanto che sembravano quasi toccare l'attaccatura dei capelli.

«Cos- io? Io sarei deficiente? E a quel tuo amico, là dentro, vogliamo dare un oscar magari?!»

«Certo che no! Lui è il re dei coglioni, ma perché cazzo gli hai dato corda? Non lo conosci neanche, poteva essere un tipo pericoloso, ma che ne sai?»

Léon mise su un sorrisetto furbo e si chinò appena verso Sebastiano.
«Ti preoccupi per me, per caso?»

Seba sgranò gli occhi e rimase a bocca aperta per qualche secondo di troppo.
Ma come gli era saltata in mente un'idea tanto stupida, a quel francese? Certo che non era preoccupato per lui. Perché mai si sarebbe dovuto preoccupare per lui? Chi era quel cretino che andava a preoccuparsi per una persona conosciuta da appena un mese? 

Pff, certamente non Sebastiano! Ma figuriamoci, che idee assurde!

«Ma che cazzo dici? Anzi, la prossima volta mi faccio gli affari miei e ti lascio gonfiare di botte da quel cretino. Preparo anche i popcorn, guarda.»

Léon fece spallucce e mise su uno dei suoi soliti sorrisetti, poi fece cenno a Seba di seguirlo in macchina.

Arrivati davanti all'auto il più piccolo mise su un'espressione confusa.

«Perché non sali?» gli chiese il biondo.

«Questa è la macchina, o solamente il bidone che la contiene?» domandò Seba con tono di scherno.

Era una vecchissima Ritmo, all'incirca di fine anni '70, rosso fiammante e con qualche bozza qua e là.

«Ah-ah, molto divertente. Vorrei informarti che questo bidone, non solo funziona ancora a meraviglia, ma è anche uno degli ultimi e rarissimi esemplari rimasti in Italia.»

«E nel mondo, spero.»

«Senti, vogliamo andare con la tua? Ah già, tu non hai nemmeno la patente. Dimenticavo che sei il cucciolo del gruppo.»

Cucciolo del gruppo.
Cucciolo del gruppo.
Ma come osava quello stupido mangia baguette chiamarlo cucciolo? Capirai, avevano solo due anni di differenza. Non era mica un bambino, Sebastiano!

Assottigliò gli occhi e cercò di inviargli lo sguardo peggiore del suo repertorio, borbottò un "fanculo" e si decise a salire in macchina.
La pioggia aveva iniziato a scendere leggermente più forte da quando erano usciti di casa, e quel battibecco appena avuto aveva fatto sì che i due ragazzi avessero i vestiti umidi e freddi.

«Dio,» si fregò le mani Seba, nel tentativo di scaldarle un po', «Funziona il riscaldamento in questo coso, almeno?»

«È rotto» ghignò Léon.

«E figuriamoci!»

Seba continuava a battere i denti, mentre l'altro sembrava tranquillo nonostante fosse stato sotto la pioggia tanto quanto lui. Chissà, forse quegli stupidi capelli sparati ovunque avevano funto da ombrello!

Léon portò il braccio destro all'indietro, verso i sedili posteriori, e passò una felpa al più piccolo.

«Tieni. Ci manca solo che ti ammali.»

Seba accettò di buon grado, visto che stava davvero morendo di freddo in quell'istante.
Slacciò la cerniera e se la posò sopra a mo' di coperta, e subito l'odore forte di Léon gli fu addosso.

Cercò di concentrarsi, quella volta; voleva riuscire a trovare quel secondo aroma che aveva percepito anche la volta precedente addosso al biondo.

«È vaniglia» se ne uscì fuori il più grande a un certo punto.

«C-cosa?» chiese Seba, che si sentiva stranamente colto in fallo. Era così? Léon aveva capito che lui stava cercando di riconoscere la fragranza che sprigionava la sua felpa? Impossibile!

«Il profumo. Anche l'altra sera hai cercato di riconoscerlo. È mischiato alla liquerizia, per questo non ci sei riuscito.»

Aveva parlato guardando fisso davanti a sé; non si era voltato nemmeno una volta per guardarlo, e lui proprio non avrebbe saputo dire quale espressione avesse il suo volto. Sembrava tranquillo, in realtà, ma Seba era convinto che fosse una sorta di maschera.

Però, perché mai avrebbe dovuto fingere tranquillità? Per nascondere cosa? Probabilmente gli aveva dato fastidio che Sebastiano stesse annusando i suoi vestiti.

Ma cosa credeva?
Che lo facesse per un qualche interesse particolare? Che idea idiota!
Idiota proprio come quel francesino.

E poi, chi cazzo abbinava la liquerizia alla vaniglia? Ma quando mai si era sentito un accostamento tanto assurdo? 

Anche se, Seba doveva ammettere che in realtà non era così malvagio come poteva sembrare. Anzi, in effetti era quasi gradevole, a dire il vero.

E comunque non era di certo questo il punto della situazione!

«Io non ho tentato di decifrare proprio un cazzo!» replicò stizzito.

«Ah, okay... Mi era solo sembrato. D'altronde è la caratteristica dei cuochi cercare di riconoscere tutti gli odori, no?»

«Sì, beh, si dà il caso che io non sia un cuoco.»

«Chef?»

«Vaffanculo!»
Léon scoppiò in una risata che meravigliò il più piccolo. Non era così scontato sentirlo ridere di gusto; a Seba, per esempio, non era ancora capitato. Solitamente metteva su quel mezzo ghigno, quel sorriso strafottente, e quello era il massimo della felicità che poteva mostrare (almeno in sua presenza). Quella volta invece era diverso, era come se non fosse proprio riuscito a trattenere l'ilarità.

Aveva una bella risata, pensò Seba, di quelle contagiose, che fanno venire voglia di ridere anche a te.

Lo aveva capito dal sorrisino che sentiva spuntare dalle labbra, e che stava cercando di trattenere per non dare soddisfazione al più grande.

Visto il buonumore di Léon, Sebastiano azzardò a fare una domanda che gli vorticava in testa da almeno tre settimane, ma che non aveva mai trovato il coraggio di porre.

«Senti... Quando hai suonato il violino, per il tuo compleanno... Come si chiama quella canzone?»

Il volto del maggiore, per fortuna, non perse l'espressione allegra che lo stava caratterizzando.

Chissà perché, Seba aveva l'impressione che il violino fosse un argomento un po' tabù per Léon.

«Non è una canzone, ma una composizione. E ancora non gli ho dato un titolo.»

Seba sbarrò gli occhi e si voltò di scatto verso di lui.
«L'hai scritta tu, quindi?»

Léon annuì soltanto e ripropose uno dei suoi ghigni furbi.
«Perché? Ti è piaciuta?»

Altroché se gli era piaciuta! Sebastiano aveva passato ore e ore al pc, cercando esibizioni di violino a destra e a manca, sperando di imbattersi in quella meravigliosa melodia. 

Ricordava ancora perfettamente le sensazioni che avevano scaturito in lui quel susseguirsi di note, e ricordava ancora meglio ogni espressione e movimento compiuti dal più grande.

«Sì, era molto bella» si decise a confessare. D'altronde che senso avrebbe avuto negare una cosa così ovvia? 

Quando Seba, quella sera, era riuscito a ricacciare indietro le lacrime che si erano affacciate improvvise ai suoi occhi, Léon lo stava già guardando; sicuramente aveva percepito la sua emozione, quindi sarebbe stato inutile cercare di sminuire il talento così evidente del più grande.

«Grazie» rispose sincero Léon; e poi fece una cosa strana.

Sorrise.

Seba lo stava guardando in quel momento, e proprio davanti ai suoi occhi vide sbocciare il primo sorriso sincero -e dedicato a lui- di Léon.

Era bello anche quello, pensò. 

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