Vulnerabilità e balli silenziosi.
I giorni successivi si susseguirono con rapidità, scanditi dagli impegni a cui Manuel e Simone erano ormai abituati e dai tentativi di riconquista di quell'indipendenza che, per troppo tempo, era stata negata a Simone.
Ognuna di queste riconquiste era per Simone un tassello di cui essere felice e da condividere con Manuel.
E se le prime erano rappresentate dal riuscire ad arrotolare gli spaghetti intorno alla forchetta e portarli alla bocca senza farne cadere nemmeno uno, chiudere la cerniera di un jeans senza l'aiuto di Manuel o svitare il tappo di una bottiglietta senza rovesciarne la metà per terra; esattamente come le radici di una pianta che si allargano nel terreno per trovare il loro posto, gli obiettivi da raggiungere si facevano più grandi.
Aveva stilato una piccola lista, Simone, degli obiettivi che intendeva raggiungere.
Aveva scelto con cura quel piccolo blocco note e perfino la penna con la quale avrebbe annotato su quei fogli i traguardi raggiunti e quelli che ancora parevano lontani.
E capitava spesso che li rileggesse, per tenerli bene a mente.
Tornare a scuola, tornare sul campo, rimuovere il tutore; erano tutti obiettivi accanto ai quali Simone aveva apposto una grande spunta blu di cui andare orgoglioso.
«Guarda amore, ne mancano sempre meno. » aveva detto con fierezza a Manuel, quella mattina, durante la loro colazione.
Manuel aveva buttato giù l'ultimo sorso di latte macchiato, scottandosi un po' la lingua nel tentativo di fare in fretta.
Si tamponò gli angoli della bocca con le dita e si avvicinò a Simone per poter guardare insieme a lui quel mucchio di parole scritte sul foglio.
«Mh. Che manca?» chiese, strofinando nervosamente i pollici contro i polpastrelli delle altre dita per far cadere le piccole briciole di biscotto ancora attaccate alla pelle.
«Vorrei riprendere a guidare.»
«Da solo?»
«Manuel, tu guidi in compagnia?» sbottò Simone, sarcasticamente.
«Intendo dì le prime volte Simò.»
«mh- no. Le prime volte ci puoi essere tu- se vuoi.»
«Certo che ce voglio esse! Me sta a piglià male solo a immaginarti sopra 'n motore, pensa se non ce voglio stà la prima volta che ce risali su!»
«Manuel.»
Al quel richiamo il maggiore schizzò in piedi, allargando le braccia esasperato.
Iniziò a camminare nervosamente su e giù per la stanza, spostando indietro i ricci che, come piccole molle, tornarono uno ad uno alla loro posizione iniziale, ricoprendogli la fronte.
«Sò paranoico, va bene!? Me- me prende male! Me stà a venì l'ansia, me fa-»
«-Paura?»
La voce di Simone, per quanto flebile, risultò tagliente.
Squarciò il silenzio, come una lama che squarcia un velo, rivelandone la realtà nascosta.
«Paura.» ripeté mesto, Manuel.
Si rimise a sedere, accanto al compagno. Gli occhi bassi e pieni di vergogna per la reazione appena avuta.
«C'ho paura di perderti, Simò.» sussurrò. «Tanta, troppa.»
Gli occhi si riempirono di lacrime appesantite dal dolore che riaffiorava.
«Dovesse succederti qualcosa mentre io sto a lavoro, io- non me lo potrei mai perdonà.»
«Amore, sarà una cosa graduale, lenta. Te lo giuro.» disse Simone, nel tentativo di rassicurarlo.
«E poi, voglio dì. Non me metto mica a fà le impennate in mezzo alla strada 'co na mano sola!»
Si sentì più leggero nel vedere Manuel sorridere.
Rendere Manuel inquieto e farlo preoccupare era l'ultima cosa che voleva.
O - per meglio dire - era una delle cose che avrebbe voluto davvero non si verificasse mai.
«Io non te voglio fermà in niente, Simò. Non voglio esse n'ostacolo- non voglio che 'sta paura mia te possa incatenare o farti rinuncià a-» le parole parvero spegnersi, lentamente, arrestando quel flusso confuso di pensieri.
Simone incorniciò il viso di Manuel tra le mani, per guardarlo negli occhi.
«Manuel, tu sei la mia spalla. Sei il mio complice, il mio supporto e più grande amore.»
Scandì bene quelle parole, come la più sentita delle dichiarazione d'amore.
«Non esiste un singolo aspetto di te che mi danneggi. Niente. Tu sei arricchimento, sempre.»
Le labbra di Manuel si schiusero in un sorriso e rimase ad ascoltare.
«Tu sei l'unico ad avermi fatto stare bene quando stavo davvero male.
L'unico che ha saputo prendermi, senza giudicarmi, senza farmi sentire un peso.»
Quelle parole, cariche della più pura delle emozioni, scivolarono via come seta.
Le mani giunte scorrevano lente l'una sull'altra, riempiendo la stanza del tintinnio degli anelli che si scontravano tra loro.
«Manuel, io non ce l'avrei fatta, se tu non ci fossi stato.»
Fu un attimo il tempo necessario affinché le loro labbra s'incontrassero.
Un bacio leggero, simbolo dell'amore e della riconoscenza che provavano l'uno per l'altro.
Si staccarono lentamente, accarezzati da uno strano imbarazzo che coinvolse entrambi.
Sbuffarono una risata, chinando entrambi il capo, incapaci reggere i loro stessi sguardi.
Le mani di Manuel cercarono e strinsero quelle del più piccolo, prima di schiarirsi la voce.
«Lo sai, Simò? Io non me sò mai sentito così.» disse. «Ed è strano. È bello. »
«Così come?»
Manuel spostò lo sguardo verso un punto vuoto, alla ricerca del termine più adatto.
«Vulnerabile.»
Gli occhi grandi di Simone intercettarono i suoi.
«Credo ce se senta così quanno te innamori, davvero, de qualcuno.» disse, con un filo di voce.
«Quando il bene dell'altro sta davanti al tuo.»
«Sei tanto prezioso, Manu.»
Bastarono quelle tre parole a far sì che un leggero rossore si estendesse rapido dalle guance fino alla punta delle orecchie.
«Abbiamo finito di fare colazione.» fece notare, per sfilarsi via da quell'imbarazzo, indicando la tavola.
«E io ti amo, Manuel.»
«E io ti amo, Simone.»
Si sorrisero ancora una volta, prima di alzarsi e vestirsi rapidamente per raggiungere scuola.
L'ennesima serie di interrogazioni a tappeto nelle ore di latino non li colse sorpresi, anzi.
Riuscirono entrambi a rispondere, seppur con qualche solita incertezza e qualche suggerimento di troppo che costò ad entrambi sonori rimproveri, alle domande poste e a rimediare la sufficienza.
Al suono della campanella del cambio ora, tutti scattarono in piedi come loro solito.
Simone rimase al posto, sistemò i quaderni nello zaino e tirò fuori quelli dell'ora successiva, disponendoli già aperti sul banco, perfettamente in bilico tra il suo e quello di Manuel.
Gli era stato concesso solo da alcuni docenti, di poter dividere i libri e seguire dallo stesso durante le lezioni.
Simone adorava le ore in cui gli era permesso, come quelle di biologia.
Lui e Manuel finivano con lo stare vicinissimi tra loro, le loro spalle a contatto e le mani segretamente intrecciate tra loro.
Ai bordi delle pagine, tra le parole chiave segnate da Manuel come unico appiglio da utilizzare, dei disegni, realizzati da Simone nei suoi innumerevoli momenti in cui, nascondendosi agli occhi del docente dietro chiunque gli fosse seduto davanti, si ritrovava chinarsi sul banco e a strusciare il viso contro il petto di Manuel, come un piccolo gatto in cerca di attenzioni che cercava di ripagare con piccoli baci silenziosissimi e disegni che li rappresentassero.
Non erano disegni precisi, spesso erano semplici cuoricini con le loro iniziali incise al loro interno.
M + S
E per quanto Manuel fosse poco incline al prendere, a sua volta, sua matita in mano e provare anche solo a scarabocchiare qualcosa, non riusciva a non sorridergli, incurvando le labbra verso l'alto quel secondo che bastava per rivolgerlo al più piccolo.
Il brusio che si sollevò in aula durante quei pochi minuti che precedettero l'ingresso della professoressa Girolami, non fu diverso dal solito.
Alcuni studenti erano già alle prese di sommarie e rapide revisioni dei concetti spiegati nelle lezioni precedenti, altri si godevano quegli attimi di serenità, stravaccandosi sulle sedie, totalmente non curanti di eventuali richiami.
Lo sguardo di Manuel saettava da Simone ai suoi compagni e fu naturale per lui, passare un braccio intorno alle spalle del più piccolo per tirarlo a sé quando vide avvicinarsi Matteo ai loro banchi.
«Simò, come se vede che te trattano diverso rispetto agli altri!» disse il biondo riccioluto, indicando Simone.
«Che- che vuoi dire?»
«Che vojo dì.. che Lombardi ce massacra tutti, tranne te!»
«Che, Mattè? Te rode?» ringhiò Manuel, allargando le dita della mano sul petto di Simone.
«E me rode sì che me rode, qua ce stiamo a fà tutti un mazzo tanto e poi ce sta 'sto che cò due parole te porti 'a sufficienza mentre noi stamo a patì. Non è che niente niente ce stai a marcià su sta storia che te sei annato a schiantà solo pe farte trattà bene?»
Non ebbe la prontezza di rispondere, Simone, limitandosi ad abbassare lo sguardo e a scuotere la testa.
Manuel, al contrario, scattò in piedi, già furioso.
«Ripeti un po' quello che hai detto!» urlò, allungando le braccia dritte al collo di Matteo.
Le gambe si mossero in automatico, urtando i banchi che tremarono vistosamente sotto il loro tocco. Penne e matite, sparse sulla superficie piana, traballarono fino a cadere per terra.
«Manuel.» sussurrò Simone, per richiamarlo.
Una mano andò subito a cercare il suo braccio, avvolgendolo.
«Non ne vale la pena.» tagliò corto.
Manuel non parve ascoltarlo, accecato com'era dalla rabbia.
«Chiedigli scusa!» urlò contro Matteo. «Chiedigli scusa o giuro che vengo lì, te faccio piagne.»
«E te che sei? L'avvocato suo!? Non se sà difende da solo?»
Con un balzo in avanti, Manuel si gettò su Matteo, caricando un destro che non arrivò a sfiorare il compagno di classe solo grazie a Simone che lo afferrò dalle ascelle trascinandolo e ad Aureliano che fece lo stesso, trattenendo Matteo.
«Ma cosa state facendo!?»
La voce della professoressa Girolami venne annunciata da un tonfo sordo dato dai libri che cadevano rovinosamente sul pavimento, sfuggendole dalle mani.
Osservò la scena che le si presentava davanti.
Manuel con una mano ancora a mezz'aria, stretta in un pugno.
Simone con entrambe le braccia strette, come due ganci, intorno a quelle di Manuel.
E Matteo, trattenuto da Aureliano, semidisteso per terra.
«Balestra e Ferro mi seguano in presidenza! Subito!» urlò, talmente forte da sovrastare le voci dell'intera classe.
«Ma è stato lui!»
«Con me in presidenza, ho detto!»
Simone sospirò rumorosamente, allentando la presa dalle braccia di Manuel.
«Manuel, andiamo.» mormorò, sconfitto, prendendo per mano il compagno e avviandosi, a testa bassa, verso la porta dell'aula.
La professoressa si spostò per far loro strada e fu un viaggio lento, fatto di passi stanchi e strascinati, quello che li condusse nel grande ufficio della preside.
Dovettero sedersi nelle due grandi poltrone rosse poste di fronte la scrivania.
«Manu, mi prendo io la colpa. Hai capito? Sono stato io.»
«Sei scemo Simò? Sò stato io a scattare e manco me sò preso la soddisfazione de fallo piagne. Perchè mi hai fermato?»
«Volevo - evitare tutto questo»
«È servito Simò?» lo schernì il maggiore, allargando le braccia e lasciandole ricadere sugli ampi braccioli della poltrona.
Portò entrambe le mani sul volto
«Me dispiace d'averti trascinato in 'sto casino.»
Simone si strinse nelle spalle, non gli importava davvero, delle possibili conseguenze che avrebbe subito.
Più preoccupato per Manuel che per se stesso.
Vide la professoressa Girolami parlare al telefono, un rapido giro di chiamate prima che la preside si palesasse sulla porta.
Dietro di lei, suo padre.
Perfetto- pensò- mancava solo lui.
Li seguì entrambi con lo sguardo, mentre la preside prendeva posto dietro la scrivania, sfilandosi gli occhiali e massaggiando nervosamente i lati di quel sottile naso adunco che li reggeva fino ad un attimo prima.
«Spiegatemi con calma che cosa è successo.»
«È colpa mia.»
Le voci dei due ragazzi si mischiarono all'unisono.
«No, è colpa mia!» fece Manuel, stringendo i pugni sopra la scrivania.
«Invece no, è colpa mia. Papà-» disse, attirando la sua attenzione, «-davvero, è solo colpa mia.»
«Prima di stabilire di chi sia la colpa,» disse Dante «spiegateci cos'è successo! Era questo che la preside voleva sapere, no!?»
Simone annuì, prendendo parola.
«Un compagno-»
«Un compagno, chi? Matteo?»
Simone annuì nuovamente, ad occhi bassi.
«Immaginavo. Continua, Simone.»
«Matteo- si è avvicinato a noi. A me. E mi ha detto- una cosa brutta. Ho reagito male e l'ho buttato a terra. Manuel mi ha solo difeso.»
«Ma non è vero, professò! Sò stato io! Me sò lanciato io su Matteo, solo che lui m'ha tenuto e manco ce so arrivato a sfiorallo!»
Sentiva ancora la rabbia di non essere riuscito a colpire Matteo, come avrebbe voluto, montargli in corpo.
«Perfetto, mi pare d'aver capito tutto.» disse la preside.
«Ora voglio una singola risposta, una: chi sta mentendo dei due?»
Vi fu un rapido sbracciarsi da parte di entrambi , per indicarsi a vicenda, e «Lui!», risposero all'unisono.
«Allora siete sospesi entrambi.»
Quella sentenza cadde dalle labbra della preside come una bomba che, senza alcun preavviso, esplode lasciando tutti ammutoliti.
Fu Dante il primo a rompere quel silenzio, nel tentativo di mediare.
«Io sono perfettamente d'accordo, però-»
«Oh no, non se ne parla! Non provare a dissuadermi, Dante!
Questi ragazzi pensano di poter venire qua e mentire ad oltranza fino a farla franca!
La sospensione è l'unico mezzo che ha la scuola per dare un segnale deciso.» spiegò.
«E tu, Ferro, è la seconda volta che mi costringi a provvedimenti del genere!»
Quella fu forse la prima volta che del timore reale, esclusivamente legato ad una questione scolastica, s'instillò in Manuel.
La paura di perdere un altro anno, di dover restare lì, bloccato in quell'istituto e per di più, senza Simone al suo fianco, lo terrorizzava davvero.
«Verrò bocciato di nuovo?» chiese, la voce in un sussurro.
Con un grande sospiro, la preside parve racimolare quanta più aria possibile. Inforcò gli occhiali, osservando Manuel così attentamente da poter leggere il sincero pentimento all'interno del ragazzo.
«No.» disse, lasciando che tutta la tensione del momento si dissolvesse nell'aria.
«Per questa volta, no. E nemmeno segnerò la sospensione.»
Manuel e Simone rimasero completamente stupiti dalla cosa, alzarono il capo contemporaneamente, scambiandosi uno sguardo.
«Tuttavia! Resterete comunque a casa, due giorni. Vi servirà per riflettere su quello che avete fatto e su quello che potreste rischiare nel rispondere alle provocazioni!»
«Sì.» mormorarono,all'unisono.
«Giustificherete i due giorni come due normali assenze ma voglio che mi portiate, al vostro rientro, un tema dettagliato di almeno due pagine sui motivi per i quali siamo arrivati a tutto questo. Sono stata chiara? »
«Sì.»
«Bene. Ora tornate in classe e ai compagni non farete parola del nostro incontro.»
«Sì.»
«Bene, ragazzi, ringraziate la preside e andate.» li congedò Dante.
Si alzarono lentamente, stringendo la mano tesa della preside.
«Grazie...Chiediamo scusa per quello che è successo.» disse Manuel, a nome di entrambi.
«Mh. Fate in modo che non si verifichi mai più.»
Uscirono dalla stanza, tenendosi per mano.
Si trovarono a passeggiare per i corridoi, approfittando dell'insolita calma che si respirava in quell'orario in cui le lezioni erano in corso d'opera e ogni classe aveva la porta chiusa.
Si avvicinarono alla finestra del piano, Manuel si assicurò che le due ante fossero ben chiuse, prima di lasciare che Simone si sedesse sul piccolo davanzale in marmo antistante i vetri.
Lui rimase in piedi, tra le gambe del più piccolo.
Si abbandonò contro il suo petto, abbracciandolo.
«L'abbiamo rischiata seriamente 'sta volta, Simò.» mormorò direttamente sulla spalla dell'altro.
Le mani di Simone accarezzarono la sua schiena, muovendosi lente, salirono fino ad affondare tra i suoi ricci, accarezzandogli piano la nuca.
«Avevo paura ce separassero.»
«Pure io, Manu, pure io.»
«Giuro che non lo farò mai più. Piuttosto me sto con i tappi per le orecchie in classe così da non stà a sentì nessuno! »
Simone gli sorrise, poi frugò nelle tasche del jeans, estraendo un paio di cuffie col filo.
«Io ho queste. Possiamo dividerle, se vuoi.»
Manuel sbuffò una risata, affondò una mano tra i riccioli di Simone per tirarlo a sé e baciarne le morbide labbra.
«Ma come faccio io senza di te? Me lo spieghi, mh?»
Il più piccolo si strinse nelle spalle, «Amore, non lo so. Io senza di te non sarei qui.»
Le labbra si scontrarono di nuovo, in un bacio più profondo, lento, desiderato.
Il cigolare di una porta li portò a staccarsi, mantenendo comunque una distanza tanto breve da mischiare il loro respiro.
Rimasero fermi a guardarsi negli occhi qualche istante, persi l'uno nell'altro.
«Aspetta, mi è venuta un'idea.» disse, ad un tratto, Simone.
«Amò, non credo sia il caso de combinarne altre oggi.»
Il più piccolo scosse la testa, «Niente che possa metterci dei guai.»
Srotolò i fili delle cuffie, attento a non far creare nodi.
Recuperò il piccolo auricolare sinistro per porgerlo al maggiore.
«Tieni, mettilo.»
A sua volta, indossò il destro ed inserì il jack nel cellulare.
Con un piccolo salto, scese dal davanzale della finestra, mettendosi in piedi, di fronte a Manuel.
Schiacciò play nel piccolo widget del riproduttore musicale del cellulare.
Nelle cuffie iniziarono a suonare gli u2, con la loro "You're the best thing about me".
Manuel la riconobbe subito, era una versione acustica, suonata ad Abbey Road, nel 2017.
Gli occhi grandi di Simone lo guardarono, lucidi e pieni d'amore.
«Amore, balli con me?»
Le mani di Manuel si strinsero ai suoi fianchi, i corpi si attaccarono e si dondolarono guidati dalle note.
Il volto di Simone andò a ricercare l'incavo del suo collo, abbandonandosi dentro.
Le labbra sfiorarono il suo orecchio, intonando piano il ritornello della canzone, così adatto per dedicarlo a Manuel, da lasciare che parole scivolassero piano, forse anche più lente della reale melodia.
"You're the best thing about me,
the best thing that ever happened a boy.
You're the best thing about me,
I'm the kind of trouble that you enjoy.
You're the best thing about me,
The best things are easy to destroy.
You're the best thing about me...the best thing about me."
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