Solo noi.
«T'ho preso questi»
Lo sguardo totalmente assente di Simone era rivolto alla lavagna, ancora imbrattata dai sistemi di disequazioni di secondo grado che, qualche minuto prima, prima del suono della campanella, la professoressa Girolami aveva spiegato alla classe.
«oh! Ma manco un "grazie"?»
«eh? Scusami, ero un po'- sovrappensiero.»
Abbassò gli occhi sul banco, dove un pacchettino azzurro di biscotti, appena preso dalle macchinette dei corridoi, era stato appena poggiato dal maggiore.
Incurvò le labbra in un sorriso lieve che rivolse al maggiore, « Grazie, Manu»
«Non saranno buoni come quelli che fa tua nonna ma c'hanno la farina di riso quindi ho pensato-»
Non terminò la frase, la sua attenzione fu catturata dal minore che allungò verso di lui lo stesso pacchetto dopo una lotta impari contro quell'involucro di plastica, per la quale Simone si era presto dichiarato arreso, già dopo pochi istanti.
«non riesco ad aprirlo.» ammise, sconfitto
«Dai qua. »
Avvicinò la sedia al suo banchetto.Di fatto, erano praticamente appiccicati anche prima, ma ogni centimetro che lo separava da Simone, per Manuel, era paragonabile ad un chilometro.
«Simò, va tutto bene? Te vedo proprio assente, non me fa preoccupà.» gli restituì il pacchetto ben aperto «Ecco. Tieni, non hai mangiato quasi niente stamattina»
«Va tutto bene » biascicò il minore.
Portò un biscotto alla bocca per addentarne giusto un pezzo.
«Solo che non riesco a non pensare» si schiarì la voce
«Cioè, penso a noi. E a quello che è successo.»
«Dobbiamo parlarne Simò. Te l'ho detto.» concluse in fretta l'altro.
«Non ne voglio parlà qua. Ne parliamo a casa, con più calma.»
Si allungò per prendere il volto del minore tra le mani, guardandolo fisso negli occhi
«E ne parliamo solo noi, Simò. Noi due e basta. »
Il minore annuì convinto.
Sospirò per allontanare la tensione che andava crescendo sempre più in lui, già solo l'idea di dover affrontare l'argomento.
Era assolutamente consapevole di tutto ciò che Manuel gli aveva dimostrato, di quanto amore e quanta cura gli avesse riservato negli ultimi mesi, di come non l'avesse mai lasciato solo, ma la paura- si sa - è una gran bugiarda e ti prende senza troppo preavviso.
Ed era proprio la paura a scalciare impaziente dentro di lui.
Nella sua mente si affollavano i peggiori scenari possibili, liti furiose, urla strazianti.
Restò per un attimo paralizzato da quelle ipotesi che gli si prospettavano davanti, sicuro e terrorizzato del fatto che se quel confronto avesse dato come esito l'ennesimo rifiuto, avrebbe perso Manuel.
E se avesse perso Manuel, avrebbe perso il suo tutto.
Strizzò rapidamente gli occhi per destarsi da quel flusso di pensieri e costringersi a tornare alla realtà, quella in cui Manuel continuava a stringergli la mano, con le sue braccia a penzoloni lungo lo schienale della sedia di scuola.
Gettò fuori la prima frase che gli balenò in mente e «Sei coraggioso comunque.»
«Coraggioso? Perché? »
Lo sguardo incuriosito e dubbioso che il maggiore gli posò addosso quasi lo intimorì, si schiarì un attimo la voce e cercò quanto più in fretta possibile qualcosa che potesse spiegare il perché, in quel momento, nella sua testa, l'idea che Manuel potesse amarlo corrispondeva a tratti ad un atto eroico.
«Beh. » sollevò a mezz'aria l'involucro azzurro, lasciando cadere le briciole sul banco
«Ti sei preso uno che non sa aprire un pacchetto di biscotti e quando se move fa un casino»
Il maggiore gracchiò una risata, scuotendo la testa
«A parte che ancora nun me sò preso proprio niente -
«E poi, sei proprio 'n cretino, Simò. » si alzò facendo leva sulle sue cosce per poi chinarsi su di lui, le labbra a meno di un millimetro dal suo orecchio.
«Me sò 'nnamorato de un cretino. La verità questa è.» mormorò roco, mordendogli piano il lobo dell'orecchio, ben nascosto sotto quei ricci.
Simone sentì il cuore fare mille capriole e piroette, lo sentì battere ad un ritmo tutto suo e le mani iniziare a tremare.
Si voltò di scatto per guardarlo, Manuel era ancora fermo ad un soffio da lui.
Le labbra si sfiorarono appena, in quell'istante dove tutto era tutto scomparso, esistevano solo loro e quella sensazione di calore che dal petto si propagava in ogni dove, forte abbastanza da riscaldare entrambi.
Fu Manuel il primo a staccarsi, facendo esplodere di colpo quella bolla immaginaria nella quale si erano richiusi.
«Ne dobbiamo parlare a casa.»
Tamburellò, con le nocche, sul banco e tornò a sedersi.
«Perchè non stai con gli altri? Non li vedi da mesi, c'avranno le loro domande »
«Perchè preferisco stare qua. Me guardano tutti come fossi un mezzo pazzo »
«Nah.. non te fà suggestionà dai tuoi pensieri, Simò.
M'aspettavo, anzi, che te stessero più addosso. Li avrò terrorizzati stamattina» di colpo scoppiò a ridere, ripensando alla scena delle sue mani dritte al collo di Matteo; Aureliano e Giulio a separarli, come guardie del corpo versione tascabile.
« A proposito di stamattina, grazie per avemi difeso.. ma stavo pensando che- insomma- non dovevi.» farfugliò frettolosamente il più piccolo
«Io- io non voglio che tu ti metta nei casini, non per colpa mia.»
«Non me metto nei casini. Hai visto che me sò fermato, no?» gli fece un sorriso di circostanza e sollevò appena le mani, come a difendersi dalle accuse.
«E poi non l'avrei fatto nero pe davero. Lo volevo spaventà e me sà che ci sò riuscito - » un sorrisetto sarcastico si palesò sulle sue labbra
« - considerato quanto sta piena st'aula mentre ce stiamo io e te. » indicò lo spazio vuoto intorno a loro con il suo solito fare teatrale per enfatizzare ancora di più la cosa.
«Te sei fermato perché ti ho richiamato io, Manuel.»
« Ecco, appunto. Visto che sò stato bravo?» lo punzecchiò.
« E se me fermo solo perché sei tu che me fai tornà sui miei passi...allora stamme sempre vicino.
Richiamame se sbaglio. Così me fai rigà dritto e io non me ritrovo sospeso! Va bene così? »
gli sorrise, per poi tirargli una leggera pacca sulla spalla destra e stringerlo forte a sé.
«Ma da dove vado se non ho te, Simò? Dove?! »
«Non hai nemmeno idea di quanto me sei mancato quando stavo chiuso qua e te a casa!» strinse i pugni tanta era l'euforia e il trasporto di quelle parole.
Era come se, in quel momento, mille scariche elettriche lo stessero attraversando.
Il più piccolo abbassò lo sguardo, aveva notato come l'altro avesse cambiato tono.
Aveva notato com'era galvanizzato dal senso di libertà che gli aveva concesso quella confessione appena fatta e com'era emozionato nel riaverlo con sé.
Era una sensazione non più sconosciuta per lui, ma sempre piacevole e commovente: quella di sentirsi prezioso per qualcuno.
Sentirsi voluto, sentire che la sua mancanza non passava inosservata.
Lui che era solito ripetere a se stesso che se fosse scomparso, nessuno se ne sarebbe accorto; da qualche mese sapeva che no, non era affatto così.
« Fatti guardare.»
Con due dita sotto il mento, gli alzò piano il viso per costringerlo a guardarlo.
«Hai occhi così- belli, Simò. Me ce perdo in questi occhi.»
Allungò poi una mano verso il suo viso ad accarezzare piano la sua guancia, sfiorando con le dita i lineamenti.
Con immensa sorpresa da parte del più piccolo, i suoi occhi si velarono presto di lacrime.
«Tu non sai quant'è bello potertelo dire.
Io- io te giuro che non avevo il coraggio manco de dì 'na roba così-»
Gli costava ammetterlo, ma in cuor suo, era tutto chiaro da tempo ormai.
«-pensa che scemo che so stato.» accennò una risata amara, tirò su col naso e con la manica della felpa si asciugò presto le lacrime.
Con gli occhi ancora lucidi e arrossati, sospirò appena.
Prese la mano dell'altro e la sollevò, portandosela al petto.
Chiuse gli occhi sospirando ancora una volta, prima di posare le sue labbra sul palmo della mano di Simone, depositando una scia di baci umidi e lenti.
Alzò quindi lo sguardo da quelle dita lunghe e curate, che tanto amava, ma non prima d'aver posato un'ultimo bacio su di esse; sbuffò una piccola risata impacciata quando intercettò gli occhi dell'altro.
«Poco fa mi hai detto che sò coraggioso, no?»
Simone annuì.
«E lo confermo, sei molto coraggioso.»
«Sò coraggioso perché te apro un pacchetto de biscotti?» fece una piccola pausa, sospirando rumorosamente come a soffiare via l'agitazione che aveva dentro
« Io non voglio esse coraggioso perché te aiuto ad aprì un pacco de biscotti o perché- che ne so- t'allacciò i jeans e le scarpe la mattina!»
Simone si grattò la nuca imbarazzato e ridacchiò goffamente, consapevole di essere diventato paonazzo in viso solo nel ripensare a quella scena di se stesso, steso sul letto e Manuel, chino su di lui, ad armeggiare con la cerniera dei suoi pantaloni.
Tossì nervosamente per arrestare la risata, fece ricadere il braccio lungo il fianco e tornò a prestare attenzione alle parole dell'altro.
«Io voglio esse coraggioso perché voglio trovà la forza de dire, davanti a tutti, che- che io voglio stare con te, Simò.»
«Io voglio stare solo con te. Sempre.»
Scandì il più possibile quelle tre parole, come a rimarcarne il significato ed assicurarsi che l'altro avesse ben sentito.
Alcune lacrime presero a scendere copiose lungo il volto del minore e come ogni volta, vedere Simone ridotto in lacrime fece andare in frantumi il suo cuore e in confusione il suo cervello.
«No no ti prego , ti prego Simò. Non piangere. Ti prego»
Con uno scatto, fece strisciare la sedia sul quale era seduto che, con un tonfo sordo, cadde a terra.
Si accovacciò, piegandosi appena sulle ginocchia, davanti al più piccolo.
Prese il suo viso ancora bagnato dal pianto tra le mani, scacciando via lentamente con il pollice le lacrime che scendevano lungo le guance.
Con un leggero scatto verso di lui, lasciò unire le loro labbra in un bacio appena accennato.
«A me basta anche se ce lo diciamo così, piano. Solo noi. »
Portò all'altezza del viso il braccio buono e con il lembo della manica si coprì il volto.
Il suo braccio venne presto spostato da Manuel, che con delicatezza estrema lo prese e lo portò sulla sua spalla.
«Te copri sempre..» brontolò affettuosamente, spostandosi anche lui in modo quasi impercettibile, e posizionandosi davanti al minore in modo da coprire solo in parte il corpo dell'altro, con il proprio.
Si accoccolò su di lui, poggiando la testa nell'incavo del suo collo
«posso stà così almeno per un po'?» soffiò sulla spalla dell'altro.
Senza esitare, Simone annuì piano.
Sentirlo addosso era una delle sensazioni più belle che avesse mai provato in vita sua.
Si sentiva protetto.
Si sentiva al sicuro.
Dopo una manciata di minuti, Manuel allentò la presa, slegandosi dall'abbraccio.
Fece per alzarsi, quando le braccia di Simone lo strinsero, circondandolo completamente.
«Non voglio.» mormorò piano.
«Cosa non vuoi? »
«Che tu ti stacchi da me. Non te ne andare.»
Il maggiore sbuffò una risata «Io pure vorrei stare sempre appiccicato, ma non possiamo.» accarezzò ancora il suo viso, passandogli una mano tra i morbidi ricci che, in cuor suo, avrebbe baciato uno ad uno.
«Sta pure per sonà, tra un po' si torna a cercà de capire quelle cose e mi sa che ti devi concentrà. Lo sai, sì?
Altrimenti poi 'ste robe a me chi me le spiega? » indicò con il mignolo la lavagna della classe, nella speranza di spostare la sua attenzione sulla matematica, ma senza successo.
Simone restava completamente abbandonato su di lui, le braccia ancora a cingerlo.
Portò una mano su e giù, ad accarezzargli delicatamente la schiena e cullarlo piano.
Lo strinse ancora un po', tirandoselo addosso e barcollando appena sotto il suo peso.
Sentiva il suo respiro caldo riscaldargli il petto, lo abbracciò ancora più forte.
«Come devo fare io con te, Simò?» accennò una risata, mentre l'altro sollevò appena il volto per guardarlo di sottecchi, come un bimbo imbronciato.
«Te faccio vincere sempre.» farfugliò, canzonando bonariamente il più piccolo.
«Qui finisce che ti vizio troppo e me dai per scontato, poi.» lo stuzzicò, mordendosi il labbro inferiore in attesa della risposta dell'altro, che non tardò ad arrivare.
«Non accadrà mai.»
«Sei sicuro, sì?»
«Sicurissimo.»
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