Scelta senza pentimenti.


Se c'era una singola cosa che Simone non tollerava, era il dover star fermo, seduto di una sedia, a sorbire passivamente le ramanzine di suo padre.

Aveva perso il conto di quante ne aveva dovute ascoltare in quei mesi post incidenti e a volte gli pareva quasi che Dante volesse mettersi in pari con i tanti anni in cui non era stato presente. 

Un silente riscatto. 

E dopo la vicenda successa a scuola, l'incontro con la preside e i due giorni di sospensione- o meglio, come l'aveva definita la preside stessa, di raccomandata assenza - Simone sapeva perfettamente cosa sarebbe successo.

Sarebbe rientrato in casa, insieme a Manuel, in silenzio.

Avrebbero raggiunto con lo stesso ordine la loro stanza e poi sarebbero stati chiamati giù in salotto, per poi sorbire , nell'ordine, un vero e proprio monologo scritto e interpretato da Dante, su quanto fossero stati stupidi a cacciarsi per l'ennesima volta nei guai e una chiamata da parte di Anita. 

«Sei pronto?» chiese a Manuel, una volta rientrati in camera e gettati gli zaini sotto la scrivania. 

«Se te dico che non sò pronto, me dici che ce sta un modo per evitarli?»

«No.»

Il maggiore si strinse nelle spalle, le braccia larghe lasciate ricadere lungo i fianchi. 

«E allora niente. Famo che sò pronto.»

«Saranno due giorni d'inferno.» commentò Simone, già proiettato in due giorni di costretta convivenza con suo padre. 

«Me dispiace d'averti trascinato in 'sto casino, Simò. 'A prossima volta, però, non te mettere nel mezzo. Se vedi che le cose se stanno a mette male, fatte i cazzi tua.»

«Ah io me devo fà i cazzi mia, Manuel? O forse sei tu che devi cercà di non attaccare brighe con quel coglione de Matteo?» 

E di nuovo Manuel si ritrovò a dover alzare le braccia in segno di resa, incapace di articolare una reale difesa che potesse spiegare, al suo posto, cosa l'avesse spinto a comportarsi in quel modo, a rischiarla così tanto da essere ad un passo così da compromettere- per la seconda volta- l'anno.

«Lo so, ho perso il controllo.» rispose infine, agli occhi seri di Simone. 

 « Solo che me da fastidio che te prendano in giro, me da fastidio come te guardano, me da fastidio tutto! Non vedo l'ora che finisce 'sta cavolo de scuola e che semo liberi, io e te. E basta.»

Si lasciò cadere seduto sul letto. Le gambe larghe accolsero quelle di Simone che si posizionarono nello spazio tra loro.

Allungò le braccia all'altezza del suo bacino e con le mani larghe all'altezza della sulla schiena, lo tirò a sé , poggiando la testa contro il petto del più piccolo.

Le mani scivolarono sotto la felpa, a contatto con la pelle nuda, sollevarono appena il tessuto e le labbra si spinsero verso la sua pancia, scoccandovi un tenero bacio sopra.

«Te li ricordi?» mormorò con ancora le labbra 

«I baci sulla pancia che fanno passare tutto.»

Un sorriso si fece largo sulle labbra di entrambi, prima di farsi vicine e sfiorarsi per un istante.

«Mhmh. Me pare passata n'eternità da quando t'ho visto ridotto in quel modo.»

La voce di Manuel ridotta ad un sussurro, i suoi occhi chiusi, come teli di un proiettore cui lenti fossero uniche spettatrici dei suoi ricordi. 

«E ora che va tutto bene, che tu stai bene, l'idea che qualcuno possa strappà via tutto quello che sei riuscito a ricostruire, che qualcuno possa farti tornare a star male, io- io non la sopporto.»

Fu naturale per Simone incurvare le labbra in un sorriso pieno d'amore e sentire gli occhi farli lucidi di fronte a quell'ennesima piccola dichiarazione d'amore.

«Amore mio.» disse solamente, a suggellare ciò che Manuel rappresentava per lui. 


Amore. 

Solo amore.


Il rumore di passi, provenienti dal corridoio, attirò la loro attenzione. 

Manuel si rimise in piedi per baciare celermente le labbra di Simone; fu un piccolo bacio a stampo, prima di spostarsi verso destra per raggruppare in un unico vassoio, le tazzine utilizzate durante la colazione consumata nelle prime ore di quella giornata. 

Non passò molto tempo prima che Dante facesse capolino dalla porta e li richiamasse per scendere giù in salotto e discutere di quanto accaduto. 

«Manuel, Simone. Scendiamo?» 

La voce irruppe nella stanza come uno scappellotto improvviso sulla testa di entrambi, tanto da stringersi contemporaneamente sulle spalle.

«Se le dicessi de no professò?»

«Ti farei scendere comunque; semplice.» 

«Ecco, appunto.»

«Vi aspetto giù.»

Allargo le labbra in un forzato sorriso di circostanza come risposta al cenno fatto da Dante.

«Andiamo Simò, prima iniziamo e prima finisce.»

Raccolse le ultime briciole lasciate sulla scrivania con le mani, gettandole nel cestino adiacente, prima di riprendere il piccolo vassoio tra le stesse e seguire mestamente la sua figura, fuori dalla stanza, verso il corridoio e le scale.

Nel salotto, le cose andarono esattamente come Simone aveva previsto.

Dante aveva iniziato un vero e proprio monologo, enfatizzando ogni singola parola che potesse, secondo il suo ragionamento, scuotere le loro coscienze.

Aveva spiegato loro l'importanza del controllo sulle proprie azioni, la necessità di capire quando era importante fermarsi e quando continuare sulla propria strada e la consapevolezza delle conseguenze che derivano e che bisogna avere il coraggio di affrontare. 

Inutile dire che dopo tre minuti di ascolto, i suoni si erano fatti ovattati e la mente di Simone aveva iniziato a fluttuare tra i più disparati pensieri mentre lo sguardo si perdeva tra i ricci imperfetti di Manuel e le sue sopracciglia, aggrottate e serie. 

Fu quell'espressione, insieme alla voce di Manuel, a convincerlo a ridestare la sua attenzione. 

Annuì istintivamente, per dar man forte al fidanzato, nel tentativo di captare anche qualche parola che gli suggerisse il senso complessivo del suo discorso. 

Giusto. Tutto giusto. Hai ragione, amore. Bravo.

«E quindi poi lì ce siamo difesi a vicenda!» 

E abbiamo fatto bene.

«Solo che...non è andata esattamente come speravamo.» 

Vero.

«Ma siamo pentiti di quello che abbiamo fatto.»

Lo siamo? 

«Davvero.» 

Ah. D'accordo. Allora si, certo che lo siamo.


Azzardò un sorriso imbarazzato quando lo sguardo perplesso e stanco di Dante posò su di lui.

L'uomo portò entrambe le mani al voltò, stirandone lievemente le guance verso il basso. 

«Fatemi capire.», disse poi, con ancora il volto tra le mani. « Quindi voi, per coprirvi a vicenda, vi siete gettati addosso colpe che non erano vostre e in più vi siete messi in questo casino! »

«Sì.» risposero all'unisono. 

Il tono incerto e pieno di vergogna fu difficile da nascondere, ma riuscirono comunque a camuffarlo grazie a quel moto d'orgoglio dato dall'essersi difesi l'un l'altro.

«Ma allora siete davvero due cretini!»

«Ma come cretini, professò!?!»

«Ma certo che lo siete! Se solo voi aveste avuto il coraggio - il coraggio, Simone, il coraggio!- di parlare e dire le cose come stanno, a quest'ora voi sareste a scuola, Matteo sarebbe sospeso, io non avrei dovuto arrancare mille scuse come un ladro e tutto si sarebbe risolto!»

Le andava contando con le dita, Dante, i possibili scenari legati a quel loro mancato atto di coraggio.

E fu proprio con le dita ancora tese a simboleggiare il numero tre  che indicò i due ragazzi che, silenziosi, continuavano a guardarlo, un po' sbigottiti.  «Avete capito?»

«Si.»

«Eh, mi dite pure "Si"! Ma ve ne frega qualcosa?»

Le teste dei due si mossero comicamente in sincro, lentamente, da destra verso sinistra; di fronte ad un Dante che, d'istinto,  allargò le braccia, scuotendo la testa e sbuffando esasperato. 

«Potete andare.» disse, completamente sconfitto.

Li seguì con lo sguardo mentre scattavano in piedi dalle due poltrone come se la superficie di queste fosse, di colpo, divenuta rovente. 

S'incamminarono a passo svelto verso le scale per tornare in camera quando, «In cucina!», tuonò Dante.

«Oggi niente pace chiusi in camera! Tanto meno in questi due giorni, anzi. Starete qua, con me.» spiegò, con una leggera nota di sadismo nella voce. 

Sapeva bene quanto Simone, in particolare, evitasse il dover trascorrere del tempo con lui.

Nonostante le cose tra loro fossero profondamente migliorate, infatti, Dante continuava a sentire il rancore da parte di Simone, nei suoi confronti. 

Non che fosse convinto di non meritarlo, anzi; sperava solo di trovare un modo per assottigliare il più possibile questo astio per far spazio ad un nuovo modo di vivere il loro rapporto.

Aveva provato più volte ad instaurare occasioni di dialogo, con Simone.

Solo con lui. Una chiacchierata a cuore aperto, padre e figlio. 

Ma erano arrivati puntuali i tentativi di fuga, a cui non aveva opposto troppa resistenza, ché soffocarlo e metterlo alle strette non serve, questo lo sa bene. 

Probabilmente, per paura di temi scomodi da poter trattare, racconti da ascoltare, consigli da ricevere. 

«Manuel, ho già parlato con tua madre e tu oggi non lavori.»

Un campanello d'allarme risuonò nella mente di Manuel. 

Sapeva perfettamente d'essere venuto meno ai patti stabiliti con la madre, qualche settimana prima.

«Ha parlato con mi madre, professò? E che- che le ha detto?»

«Stà tranquillo, non devi tornare a casa- se è questo, quello che vuoi sapere.»

Il cuore s'intenerì del vedere Manuel tirare un sospiro di sollievo e stringere la mano di Simone.

«Però resterete qui, a scrivere il tema che vi ha chiesto la preside. Ho già preparato lì,» il braccio destro a mezz'aria, ad indicare il tavolo bianco, «due fogli protocollo. Quindi, dopo pranzo, sarete impegnati in questo.»

«Guarda che non stiamo a scuola.» 

«E devo ricordarti perchè non siamo lì, Simone?» lo rimbeccò subito il padre. 

«Quante ore ci dai?»

«Tutto il tempo che vi serve, Simone. Mica stamo a scuola.»

Con un sorriso sornione, fece un cenno ai due verso la cucina, dove pranzarono insieme a nonna Virginia che, di ritorno dall'ennesimo incontro del suo corso di recitazione, lasciò che i due gli raccontassero tutto ciò che era successo. 

«Quindi ragazzi, vi siete azzuffati con un vostro compagno e poi vi siete assunti ogni colpa.» riassunse Virginia, accompagnando le parole con un rapido volteggiare delle mani. 
«Dico bene? »

Manuel sollevò lo sguardo dal piatto verso la donna e, «Esatto, sì.» . 

«Beh, io credo sia un gesto molto, molto nobile.»

«Mamma, ma cosa stai dicendo?!» sbottò Dante.

«Ma sì, Dado! Pensali come due giovani e valorosi condottieri che decidono di partire per una missione e sul campo,  lottano solo per difendersi l'un l'altro!»

Rivolse un sorriso amorevole a Simone, che a sua volta, la ringraziò silente.

«Bravo Simone, sono fiera di te! E anche di te, Manuel. Sei uno splendido ragazzo.»

«Grazie, signora.»

«Ancora con questo "signora", suvvia! Ci conosciamo da tempo, ormai! Chiamami Virginia!»

«Grazie, Virginia.» replicò quindi, Manuel. 

Era piuttosto lusingato dal ricevere quei complimenti, in un mondo che, da sempre, non faceva altro che ricordargli quanto qualsiasi cosa facesse, si rivelasse sbagliata. 

«Hai fatto davvero un gesto bellissimo, bravo.»

«Gesto bellissimo quanto vuoi, mamma, gli è costato caro.» intervenne, Dante. «Forza, caricate la lavapiatti e poi, di là, con me.»

Non fu necessario per Dante ripetersi. 

Di fatto, mentre si avviava verso il salotto vide Simone alzarsi ed abbracciare Virginia e Manuel già intento a liberare il tavolo. 

«Grazie, nonna, per averci difeso, con papà» 

«Beh, Simone, io credo che tuo padre debba recitare la parte di quello serio, tutto d'un pezzo, ma sono sicura che, sotto sotto, anche lui abbia apprezzato il modo in cui vi siete comportati.» 

«Dici?»

«Ma si! Era così anche quando eravate piccolini, sai? Passava ore a fingere d'essere arrabbiato con te e con- con Jacopo.»

Chiuse gli occhi e sbuffò una lieve risata, in balia dei ricordi, quando un istante di esitazione la riportò al silenzio e ad un'espressione seria e rabbuiata.

Era strano, poter parlare di Jacopo. 

Era strano anche solo fare il suo nome.

Soprattutto in presenza di Simone, che con i suoi occhi grandi e scrutatori, sembrava ricevere ogni sua informazione come fossero piccole pepite d'oro.

«Te la senti se- se ti racconto un piccolo episodio?» chiese la donna, prima di riprendere parola. 

Simone annuì, ricercando con lo sguardo Manuel che, come una calamita attratte da un magnete, gli gravitò immediatamente vicino, ponendo una mano sulla sua spalla. 

«Per il vostro terzo compleanno, aveva comprato ad entrambi un giocattolo.» prese a raccontare. 

« Pretendevate sempre che ogni cosa fosse uguale per entrambi, quindi c'erano questi due pupazzi, identici tra loro.» - un sorriso fiorì sulle sue labbra, al ricordo di quel giorno- «poco dopo, non ricordo come ma, uno dei due giocattoli si ruppe.»

«E voi chiedeste a vostro padre di aggiustarlo, prendendovi entrambi la colpa di quella zampa saltata al povero dinosauro.»

«Dinosauro, ha detto?» chiese Manuel.

Non era la prima volta che sentiva nominare un dinosauro giocattolo. 

Si sforzò di fare velocemente mente locale per ricordare in qualche occasione ne avesse sentito parlare ma, distratto anche dal raccontare di Virginia, non gli venne in mente granché.

Si strinse lievemente nelle spalle, concentrandosi sulle parole della donna.

«Sì. Era un piccolo dinosauro, poverino, senza una zampa!», spiegò Virginia, trattenendo una risata.

«Non abbiamo mai saputo il colpevole! Tu e Jacopo vi siete difesi a spada tratta! 

Ed è la stessa cosa che avete fatto quest'oggi, tu e Manuel! Giusto, Simone?»

«Sì.» rispose il nipote, sfiorando con le dita quelle del compagno, poggiate sulla sua spalla.  

«È segno d'un grande amore. Lo sai, vero?»

Gli occhi di Simone si fecero lucidi e ancor più grandi. Una lacrima solitaria scese lungo il volto e lo sguardo cercò quello di Manuel che, dal canto suo sembrava vorticare in una nube sottili di pensieri.

Annuirono entrambi, alle parole di Virginia. 

«Allora, quando c'è un amore come il vostro, tutto viene dopo. » concluse, la donna. 

«Fidatevi di chi l'amore l'ha vissuto e raccontato, in ogni sua forma.»

Simone scattò dalla sedia, per abbracciarla nuovamente. 

Le braccia si strinsero intorno al suo e il volto del più piccolo poggiò sulla sua spalla. 

«Grazie, nonna.»

Nonna Virginia ricambiò affettuosamente, stringendo a sé il nipote.

 «Oh, Simone mio.» .

Sciolsero l'abbraccio qualche istante dopo, con Virginia che puntando Manuel con l'indice e lanciandogli una teatrale occhiata dall'aria sospetta, gli raccomandò di conservare il suo modo di fare con Simone. 

«Trattamelo sempre così! Con tutta la dolcezza e l'amore che merita.» 

«Lo farò sempre.»

«Bene. Ora andate da tuo padre che sarà lì a borbottare come un matto,» disse, ridacchiando,  «io vado a ripassare le parti che dovrò doppiare domani! Di nuovo in francese, quelle beauté! »

Si congedò come fosse su un palco scenico, a grandi passi verso l'uscita. 

Salutò i ragazzi con un cenno della mano e tornò nella sua stanza, ormai adibita a sala prove. 


Manuel e Simone approfittarono di quell'attimo rimasti soli per un bacio. 

«Tua nonna è proprio una grande. Hai visto, amore?»

Simone annuì, sorridendo tra le poche lacrime che ancora affioravano piano. 

«Sai, amore, a volte penso che non poteva andare in altro modo se non così.»

«Così come?»

«Io non potevo che innamorarmi di te.» 

Un rossore tenue si allargò dalle guance di Simone fino alle sue orecchie e le sue labbra, schiuse in un sorriso, si poggiarono su quelle di Manuel.

«Perchè tu sei così coraggioso, altruista, leale-»  disse Manuel, lasciando un bacio ad intervallare ogni parola «-che io non avrei mai potuto non innamorarmi di uno come te.»

Sciolsero l'abbraccio, le mani ancora intrecciate tra loro.

Occhi dentro occhi.

«E su di te, Simone, io non ho alcun dubbio.

Tu sei l'unica realtà di cui sono certo. 

E la verità è che non me ne frega niente se stare con te significa affrontà sguardi della gente o battute o domande. 

Tu sei la mia unica scelta senza pentimenti.»

Simone rimase ad ascoltare ogni singola parole come una preghiera, mentre il cuore piroettava dentro al petto. 

«Anche tu lo sei per me, Manuel.»

Si spinse verso il maggiore, stringendo la sua vita con le braccia.

Le labbra si ricercarono e i cuori si avvicinarono solenni, mischiando i loro battiti in un'unica sinfonia.


«Andiamo a scrivere 'sto tema?»

«Mhmh, prima però dammi un altro bacio.»

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