Ricordi e cappellini.
I pochi passi che separavano la loro stanza dallo studio di Dante sembrarono di colpo decuplicarsi.
E se il freddo pavimento segnava poche mattonelle- sette, per l'esattezza- come misura della distanza dalla loro porta, a quella mogano che avrebbe dato loro accesso alla stanza, i metri percorsi parvero migliaia.
Rimasero entrambi fermi qualche secondo dinanzi alla porta, prima di spingere verso il basso la vecchia maniglia placcata in oro ed entrare.
Gli occhi di Manuel avrebbero forse voluto guardarsi intorno per cercare il vecchio baule di cui Simone gli aveva accennato qualche minuto prima in camera, ma non guardare Simone, non assicurarsi che stesse bene, era un gesto talmente innaturale da non poterne essere mai capaci.
Il suo sguardo era lì, puntato sul più piccolo.
E come tutti gli sguardi a lui rivolti era pieno di quell'amore che non riusciva a nascondere.
Lo stesso amore che, secondo lui, Simone meritava più di ogni altro sulla faccia di quella terra che si era resa dapprima bacino fertile per farli incontrare, inospitale palude nel momento in cui aveva rischiato di perderlo ed invincibile foresta, che risorge anche dopo un devastante incendio, nell'aver dato ad entrambi l'opportunità di riscoprirsi, amarsi, viversi.
«Sei ancora sicuro, amore?»
E mentre le mani si stringevano forte e sul dorso veniva scambiate silenziose carezze, il silenzio faceva da padrone.
Con occhi lucidi ma attenti, Simone passò in rassegna i vari oggetti disposti nello spazio.
Osservò le mensole colme di libri, i piccoli oggetti in ceramica collezionati dal padre e le cornici disposte l'una accanto all'altra.
Levò lo sguardo, indicando il più grande dei bauli stipati al lato destro della stanza.
Era un'enorme cassa. La struttura rigida, dal coperchio lievemente bombato, era rivestita sui quattro lati da una pelle azzurra e sbiadita e due grosse cinghie di cuoio, strette da un gancio, ne bloccavano il coperchio adagiato sopra.
Non vi era alcuna serratura che impedisse la sua apertura.
Sulla sua superficie, alcuni libri, tenuti in bilico e sparsi senza ordine un ordine preciso, ed un sottile velo di polvere che gli conferiva un'aria di incuria e mistero.
«É quello.» sentenziò. «L'ha fatto portare per ultimo.»
Senza lasciare la sua mano, Manuel si avvicinò al grosso baule, chinandosi appena per passare il palmo della mano libera sulla striscia di pelle segnata dal bordo rinforzato del suo coperchio.
«Questo qua, amò?»
«Sì.»
Si ricompose quindi in posizione eretta e attese che fosse Simone a sciogliere la stretta tra le loro mani, come silente permesso a procedere all'apertura.
E quando le mani si sciolsero e il permesso venne accordato, spostati i libri e strette tra le dita le grosse cinghie, ebbe cura che tenderle verso l'altro e sollevare il coperchio della cassa fossero gesti volutamente lenti, per mantenere ancora viva la possibilità di richiuderlo qualora Simone decidesse d'interrompere tutto, di tornare indietro.
Ma se la sua mente non faceva altro che rimuginare sulle possibili conseguenze che quell'incontro con i ricordi avrebbe potuto avere su Simone, quest'ultimo pareva estremamente concentrato e sicuro di sé.
«Ecco qua.» sussurrò quindi, una volta sollevato del tutto il coperchio.
Insieme, guardarono all'interno.
Una vecchia coperta celava il contenuto, probabilmente per evitarne bruschi urti durante i vari traslochi di Dante.
Fu Simone ad alzarne un lembo per scostarla dagli oggetti sottostanti.
Ed eccoli lì.
Gettò uno sguardo sugli oggetti che avrebbero dovuto aiutarlo a ricostruire quella memoria che per troppi anni gli era stata negata.
Gli parevano così estranei, come se non gli fossero mai appartenuti.
Succubi dell'emozione, le gambe si fecero tremanti. Oscillò su sé stesso e le braccia del maggiore, già vicine al suo petto, si avvilupparono intorno alla sua vita, stringendolo forte per sorreggerlo.
«Amore, stai bene?»
«Sì,» mormorò con un filo di voce. Indicò con un dito il pavimento e «Sediamoci.»
Con ancora la braccia strette intorno al suo corpo, Manuel assecondò i suoi movimenti.
Si ritrovarono seduti per terra, a gambe incrociate.
Le punta delle loro ginocchia a contatto tra loro.
Era confortante, sentire la mano di Manuel sulla sua schiena.
Il palmo aperto lo accarezzava piano, muovendosi su e giù e la sua spalla divenne appiglio nel quale poggiare il capo.
«Amore...ehi» sussurrò il maggiore, sfiorando con la punta delle dita la linea segnata dalle sopracciglia e i ricci che ricadevano sul volto.
«Amore, non sei costretto.»
Fu una stretta al cuore vedere la schiena del più piccolo iniziare a tremare, scossa dai primi singhiozzi.
Facendo leva con le mani sulle piastrelle di freddo marmo, si sistemò in modo da porsi di fronte al compagno.
E quando le lacrime si fecero copiose e incontrollate e il volto del più piccolo affondò contro il suo petto, le braccia lo strinsero ancora di più e le gambe di entrambi andarono a stendersi sul pavimento per concedersi più spazio per essere vicini.
Affondò le dita tra i ricci del moro, dondolando lievemente per cullarlo.
«Amore, non fare così...» cantilenò, tirandoselo addosso e dondolano sulla schiena per cullarlo.
«Amore, va tutto bene.»
Seguì con lo sguardo il suo braccio levarsi ed una mano frugare nel baule, afferrare il primo oggetto e lasciarlo ricadere sul pavimento.
Lo osservò a malapena, con la coda dell'occhio, per scorgerne forma e tipologia.
Dalle orecchie grandi, riconobbe che si trattava di un piccolo peluche a forma di elefante.
Doveva essere un carillon.
Sulla schiena, infatti, sbucava un piccolo anello legato ad una cordicella ormai lenta e sfibrata.
«Te lo ricordi quello?»
Simone annuì, strisciando il volto contro il suo petto.
«Amore, va tutto bene.»
«Mi ricordo di un carillon e-e non- non mi ricordo di mio fratello.»
«Amore, ho letto da qualche parte che er cervello nostro alcune cose le dimentica perchè fa troppo male ricordare, tutto qua.»
La sua voce calma e pacata arrivò, seppur ovattata prima al cuore, che alle orecchie, di Simone.
Dandogli conforto, alleviando il dolore.
«Hai capito, mh? Non te ne devi fare una colpa.»
Le mani che accarezzavano la sua schiena si spinsero fino al collo e ai lineamenti del capo che Simone sollevò dalla sua felpa, raddrizzandosi.
Sollevò lo sguardo al soffitto, sospirando profondamente, nel tentativo di frenare le lacrime.
Avrebbe voluto asciugarle via ma fu più rapido Manuel a baciare le sue guance e con loro anche quelle gocce salate.
«Manuel, tu credi lui sia arrabbiato?»
«Con te?»
«Ma no che non è arrabbiato... se stamo a fà 'sta cosa, se lo stiamo cercando nei ricordi, è perchè tu gli vuoi 'n bene immenso, no?»
«Sì. Ma lui questo magari non lo sa.»
«Lo sa per certo, invece. E non è arrabbiato.»
Si aggrappò a quel pensiero con tutte le sue forze.
Ripetendolo più volte, per assimilarlo, farlo proprio e fermamente convincersene.
Voltò quindi il busto verso il baule e frugò al suo interno con un solo braccio, senza osservare realmente ciò che avrebbe tirato fuori.
Sentì sotto le dita ogni possibile materiale.
Accarezzò quelli che gli sembrarono essere delle lenzuola dai ricami in rilievo, poi una scatola di plastica rigida sulle quali tamburellò con le dita fino al suo bordo.
Ce n'era un'altra, posta al suo fianco. Stesso materiale, stesse rifiniture.
Si sollevò sulle ginocchia, forzandosi al racimolare il coraggio per poter guardare ogni oggetto.
E mentre Manuel imitava il suo gesto, sistemandosi, a sua volta, sulle ginocchia; gli occhi di Simone si affacciarono per la prima volta a quel mucchio di cose che come pezzi di un puzzle, visti ora, nella loro interezza, raccontavano la loro storia.
La storia di Jacopo e di Simone.
Due bimbi che erano stati voluti, amati e, brutalmente, separati.
Come raccolti in preghiera, per più di qualche momento, rimasero entrambi in ginocchio, in totale silenzio.
Non una parola detta, non un oggetto spostato.
Gli occhi di Manuel saettavano dall'insieme di oggetti, al volto di Simone, captando ogni sua espressione, ogni lineamento teso e disteso in base a ciò che il suo sguardo, totalmente assorto, rintracciava.
Immaginava che il più piccolo stesse rivivendo piccole scene di vita, ricordi che per più di tredici lunghissimi anni erano rimasti sopiti in lui e che, come piccoli fiori del deserto, tornavano a sbocciare.
Esattamente come nonna Virginia aveva raccontato, ogni oggetto era in duplice copia.
Tranne uno.
Manuel l'aveva già rintracciato, in quella veloce occhiata che si era concesso prima di volgere lo sguardo su Simone per accertarsi stesse bene.
C'era un solo giocattolo a forma di dinosauro.
Ed era perfettamente identico a quello che custodiva a casa e a quello del sogno fatto, la notte prima.
Anche Simone l'aveva visto, e in quell'istante, mentre lo stringeva tra le mani, sollevandolo a mezz'aria, gli tornavano in mente tutte le volte che quel dinosauro gli aveva fatto compagnia prima di addormentarsi, proteggendolo dai mostri che si nascondevano sotto il letto.
«Ha ancora la zampetta rotta.» notò, sbuffando una risata amara. «Papà non è mai stato bravo a sistemare le cose.»
«É uguale al tuo?»
Il maggiore si limitò a stendere le labbra in una smorfia, annuendo.
Se nella testa i pensieri correvano talmente forte da crollare l'uno sull'altro, dalle labbra non uscì un suono.
Si voltò chinandosi appena per raggiungere con le labbra il viso del più piccolo, vi poggiò un bacio, sfiorandone la pelle con la punta del naso.
Vide lo sguardo di Simone ancora fisso sul giocattolo stretto tra le dita e portato ad oscillare lievemente da una parte e dall'altra, per mostrare ogni dettaglio.
«Da piccolo, ero convinto ci fossero i mostri, sotto il letto.» raccontò il minore, con un filo di voce.
«Però c'era lui che mi proteggeva sempre.»
Si voltò a guardare Manuel e gli occhi si fecero grandi, pieni d'amore.
«Ora invece ci sei tu, a proteggermi.»
Ripose il giocattolo nello stesso angolo in cui era collocato.
«Forse lui aveva finito la sua missione, per questo ti ha portato da me.»
Si ritrovò ad accarezzare la piccola testa del pupazzo, come silente ringraziamento, sfiorando le sue spine puntate verso l'alto.
Frugò ancora tra gli oggetti, tirando fuori una busta dalla forma quadrata.
Dovette forzare il piccolo gancio che la teneva sigillata per rivelarne il contenuto.
Due piccoli berretti in lana sbucarono fuori, ritornando al loro volume grazie all'aria che era tornata ad infiltrarsi nell'involucro.
Il primo capellino era di colore giallo.
Il secondo, uguale, nel modello, al primo, invece, era rosso.
Simone li sfilò con cura, attento a non rovinarli.
Sorrise, nel vedere che quei capellini erano quasi più piccoli delle sue stesse mani che ora li stringevano.
In cima ad ogni capellino, vi era cucito un piccolo pom-pom, dello stesso colore.
«Questi li avrà scelti mamma, » affermò, con un sorriso. «Mi rifiuto di pensare che li abbia scelti papà.», aggiunse.
Inserì le dita all'interno dei due cappellini, distanziandole in modo da conferire volume e roteandoli piano.
«Però sono carini.»
Ripose il capellino giallo all'interno della busta, levando l'altro sopra la sua testa.
Non lasciò che poggiasse sui ricci, data la polvere che vi era depositata sopra, tenendolo sospeso di qualche millimetro.
«Non mi sta più.» disse, lasciando andare una risata che ebbe premura di fermare, coprendo con le mani la sua bocca.
E mentre le guance si tingevano di un rosso acceso, in quel moto di imbarazzo che l'aveva colto commosso e impreparato, gli occhi puntavano su Manuel, trovandoli amorevolmente in preda all'emozione.
La scena di Simone, seduto a gambe incrociate, con quel cappellino sulla testa, fu per Manuel, senza dubbio, una delle scene più dolci che i suoi occhi avessero mai avuto l'onore di vedere.
L'avrebbe ricordata per sempre.
Per sempre, sarebbe rimasta impresse nella sua mente.
Schiuse le labbra in un sorriso, mantenendo lo sguardo fisso sul più piccolo.
Quindi guidò la mano verso la busta dalla quale estrasse il secondo cappellino ed imitando il fidanzato, lo portò sopra i suoi ricci, lasciando, anche lui, un minimo spazio per evitarne il contatto diretto.
Rimasero così, a guardarsi per qualche momento, con grandi sorrisi e un amore così grande ad avvolgerli da sembrare visibile, come un velo, intorno a loro.
Solo dopo, Manuel ripiego il berretto e lo risistemò nella sua busta.
«Scusami Jacopo, se l'ho preso in prestito.» disse, a voce bassa.
«É che sò innamorato de 'sto uomo come non lo sono stato mai de nessuno. Volevo farlo sorridere.»
«Amore, gli saresti piaciuto.»
«Mh?»
«Sono sicuro che se- insomma- se Jacopo fosse stato vivo, gli saresti piaciuto.» spiegò Simone.
«Mi avrebbe detto "non lasciartelo scappare!" e poi avremmo litigato perchè ogni volta che avrei avuto un battibecco con te, lui sarebbe stato dalla tua parte.»
Quelle parole riuscirono ad avere il potere di far figurare ad entrambi quelle scene, facendoli sorridere.
«Come succede con tuo papà che me da i voti alti perchè te riprendo davanti a lui?» ridacchiò il maggiore, ripensando a quanto successo pochi giorni prima.
«Esatto. Come succede pure con lui,sì.» ammise il più piccolo, sorridendo a sua volta.
Riportò il cappellino nella sua busta, ben piegato.
Sigillò i bordi per conservarli e ripose la busta al suo posto.
Diede un'ultima occhiata, prima di afferrare i bordi della coperta e ricoprire ogni oggetto, com'era in partenza.
Stirò la schiena, sollevando le braccia, afferrò il coperchio del baule e lo accompagnò verso il basso, richiudendolo.
«É stato un bel viaggio nei ricordi.»
Con le mani ricercò quelle di Manuel che furono pronte ad accoglierle e stringerle.
«Grazie per essermi stato accanto.»
«Ti amo tanto, Simone.»
«Ti amo tanto, Manuel.»
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