Ora sei con me.

Simone non era ancora tornato a scuola. 

Se il peggio era passato, dopo le dimissioni dall'ospedale, era iniziata una fase altrettanto buia. Fatta di attese interminabili e di pensieri che non si arrestavano mai. 
La vita, per come se la ricordava, sembrava un miraggio.
Non gli era stato concesso di tornare a scuola, per non stancarsi troppo.
Non poteva guidare. 
Non poteva allenarsi, nemmeno una corsa. Gli era concessa una passeggiata pomeridiana, quando sarebbe calato il sole così da non avere troppo caldo. 

Aveva avuto il permesso di lasciare l'ospedale solo a patto che non si sarebbe sottoposto a stress eccessivi. Patto che era stato seguito perfino dalla minaccia di riportarlo lì qualora non avesse mantenuto la parola data. Ovviamente, sapeva che era solo una cosa detta per fargli paura, ma da qualche parte nel suo cervello quella paura si era concretizzata e temeva veramente potessero farlo. 

Si era quindi arreso all'idea di dover restare a casa, di aspettare i tempi giusti per riprendersi e di concedersi il lusso di essere, seppur controvoglia, viziato da tutti.
Sapeva che le attenzioni che gli venivano rivolte erano dettate dall'affetto che provavano nei suoi confronti, ma non riusciva ad accantonare del tutto l'idea che fossero legati ad una sorta di subdola compassione, magari accompagnata da un  "oh, poverino Simone"a fare da sottofondo: scattato quel pensiero nella sua mente, qualsiasi cortesia gli fosse rivolta diventava subito una mini tortura da subire in silenzio, e dover poi ringraziare, con un sorriso forzato, mentre tirava un sospiro di sollievo e ringraziando mentalmente fosse volta al termine. 

L'unica cosa positiva  per Simone era la compagnia costante di Manuel, che forse spinto anche da qualche senso di colpa, si era ormai completamente trasferito a casa sua, proprio per stargli accanto. E spesso era lui a fargli da scudo, sia dalle informazioni troppo dolorose, che riusciva a comunicargli in modo che non lo ferissero troppo, sia dalle attenzioni che aveva difficoltà a gestire, quelle ricevute da persone che lo trattavano e si rivolgevano a lui come fosse un bambino di cinque anni.

«Guarda che non è diventato scemo. Guarda che stai sempre a parlà con quel genio de Simone Balestra!» ringhiava contro chi iniziava a parlare a Simone con una dolcezza stucchevole, dettata palesemente dall'ormai famoso "oh, poverino".
E mentre Dante e nonna Virginia diventano paonazzi in viso ed indecisi se rimproverarlo per i modi utilizzati, Simone lo lasciava fare e sorrideva. Apprezzava profondamente il suo modo di proteggerlo, senza sminuirlo; spesso mimando anche con le labbra un silenzioso "grazie". 
Manuel era uno dei pochissimi a farlo, forse l'unico.
Senza forse. 

Dormivano insieme da mesi, quei due.
Dante aveva sistemato una stanza a parte per Manuel, nel suo vecchio studio, ma se le prime sere il ragazzo fingeva di dormire lì, per poi sbucare magicamente la mattina seguente dalla stanza di Simone, arrancando scuse improbabili sul perché si fosse spostato durante la notte,  negli ultimi tempi non fingeva nemmeno più. Quando incrociava il professore sul corridoio di casa, mentre usciva assonnato dalla stanza di Simone, sfoggiava il suo sorriso migliore, per nascondere un po' di imbarazzo, e proseguiva dritto verso il bagno facendo sì che i loro sguardi non si incrociassero. 

Dante si era quindi arreso alla volontà dei due ragazzi, che evidentemente non avevano alcuna intenzione di dormire separati,  e aveva spostato il lettino dello studio, nella stanza di Simone. Separando i due lettini, con il comodino messo strategicamente nel mezzo. 
Inutile dire che al mattino, i due lettini erano attaccati e il comodino rilegato ad un angolino della stanza, vicino al letto del più piccolo. 

«A Simone viene più comodo se 'sto coso sta là! Così può prendere l'acqua se ha sete durante la notte» aveva detto subito Manuel, alla richiesta di spiegazioni. 
«Si. Mi viene più comodo.» ripetè il più piccolo, annuendo nervosamente.
«Va bene» aveva tagliato corto Dante, scuotendo leggermente la testa e trattenendo una risata. 
Quel loro modo di spalleggiarsi lo faceva sempre sorridere, quei due testoni diventavano, ai suoi occhi, quasi come due bambini che beccati a fare qualche marachella cercavano di convincere i grandi che quello che poteva sembrare un guaio, in realtà era assolutamente necessario. 

Iniziare la giornata con Manuel, per Simone, era linfa vitale.
Riusciva perfino a dormire più sereno, da quando la sera Manuel si metteva a dormire accanto a lui, dopo avergli sistemato un po' i cuscini e avergli augurato la buonanotte.
Appena sveglio, Manuel si allungava sul suo letto.
Gli passava una mano tra i capelli, qualche grattino sulle braccia e un bacino sulla pancia.
Poi portava piano a sé la sua mano, ancora intrappolata nel gesso e lasciava un bacio sulle dita che sbucavano appena.
«così passa tutto presto.» sussurrava, lasciando ancora qualche carezza. 
E Simone ci credeva, che sarebbe passato tutto più in fretta, per merito di quei bacini. 

Simone si beava sotto quelle coccole a cui ormai non avrebbe mai potuto rinunciare.
Non sapeva nemmeno perché Manuel avesse tutte quelle attenzioni appena sveglio per lui, ma non osava chiedere.
Si lasciava coccolare come un gattino, se ne beava e basta.
Senza troppe domande, che poi non servono mica troppi perché. 
Del resto, non aveva ricevuto tante coccole nella sua vita, neanche quando era piccolo. E ora che aveva qualcuno- che amava- che appena sveglio lo stringeva a sé, lo riempiva d'amore e lo faceva sentire, per la prima volta in vita sua, fortunato.
E lui di quell'amore ne aveva bisogno, ora più che mai. 

Poi lo aiutava ad alzarsi, a raggiungere il bagno, appena Simone chiudeva la porta alle sua spalle, scendeva al piano di sotto a recuperare la colazione che nonna Virginia gli preparava ogni mattina e lasciava pronta su un vassoio. 
Per Manuel un caffè, un bicchiere di succo e nastrina, per Simone latte con tre cucchiaini di Nesquik, che Manuel aveva cura di mescolare, dopo essersi accorto del fatto che il più piccolo aveva ancora un po' di difficoltà nel tenere in mano gli oggetti piccoli e quanto spesso gli tremassero le mani quando cercava di concentrarsi nel maneggiarli.

Quella stessa colazione che le prime volte l'aveva fatto sentire un po' un bambino, complice Manuel che lo prendeva un po' in giro, era diventato un piccolo rituale che Simone amava con tutto se stesso. Sapeva vagamente di famiglia.
Una famiglia composta esclusivamente da lui e Manuel. Solo loro due. 
Era l'idea più forte e chiara di famiglia, che avesse mai avuto.
Lui che, in eredità, aveva avuto una famiglia molto più che storta.

Le giornate comunque non passavano mai e il problema più grande era dato dalle mattine, in cui restava completamente solo. Manuel andava a scuola, così come suo padre.
E nonna Virginia era ormai sempre impegnata a tenere corsi di teatro nelle varie scuole di Roma. 
Simone restava a casa, in attesa tornassero. In attesa tornasse Manuel.
Nel mentre, provava a distrarsi ascoltando musica, guardando la tv, leggendo uno dei vecchi libri che suo padre gli aveva consigliato di leggere, impilandoglieli uno sopra l'altro sul comodino. Simone li aveva iniziati tutti, ma aveva difficoltà a restare concentrato.
E poi li trovava noiosi, terribilmente noiosi.
Ed ecco che le ore sembrano non passare mai e spesso si ritrovava a lottare con la tentazione di trattenere Manuel a parlare su whatsapp. 
Era sempre Manuel a scrivergli. Sicuramente in un momento di distrazione del professore, digitando i messaggi con il cellulare nascosto dentro l'astuccio.
Erano messaggi brevissimi, spesso solo emoticon segno di un ti sto pensando o, al massimo, un  "Simò tutto ok?" a cui il più piccolo rispondeva altrettanto brevemente e a monosillabili. 
Sapeva che se avesse spiegato a Manuel quanto si sentisse solo durante quelle mattine, lui sarebbe rimasto lì a scrivergli e a tenergli virtualmente compagnia, ma sapeva bene che se fosse stato beccato, gli sarebbe costato l'ennesimo provvedimento disciplinare.
E Manuel, di provvedimenti disciplinari, ne vantava già parecchi.
E molti di quelli erano in realtà colpa di Simone e di tutto quello che era successo.
Spesso erano legati a ritardi che Manuel collezionava quasi ogni mattina perché raggiungendo scuola, dall'ospedale,dove si soffermava ogni notte per dormire con Simone, faceva tardi. 
Intanto, la fine dell'anno era sempre più vicina e i professori sempre più intransigenti.
E con Manuel, in particolar modo, poco inclini a chiudere un occhio. 

Passate le 14, ogni giorno, finito quindi l'orario scolastico, Simone guardava dalla finestra e vedeva arrivare Manuel.  Aveva le chiavi di casa, per cui rientrava a casa senza che Simone dovesse raggiungere la porta per aprirgli.
Entrato in casa, urlava un sonoro  «Simò! sono a casa!» per farsi sentire da lui, poi lasciava lo zaino, la giacca e le scarpe nel salottino d'ingresso- cosa per la quale aveva più volte ricevuto lievi rimproveri da parte di Dante che proprio non sopportava il disordine che il casinista riccioluto, che ormai praticamente viveva in casa con loro, gli faceva trovare- e si precipitava su per le scale per raggiungere la stanza del più piccolo, indossando sempre il suo miglior sorriso. 

Anche in quella giornata, aveva rispettato la stessa sequenza di azioni.

Salì velocemente le scale, saltando come suo solito, qualche gradino per arrivare prima e senza bussare, spalancò la porta della stanza ed entrò.

 «Che rottura di coglioni oggi a scuola, Simò! Non puoi capì! Non finiva più! » disse sbuffando in modo plateale, per dare ancora più enfasi alla cosa.
Si buttò con ancora i vestiti di scuola sul suo letto accanto a Simone che stava seduto a guardarlo, trattenendo una risata.
Amava i suoi modi teatrali. 
E Manuel lo sapeva bene, infatti calcava ancora di più la mano, per il puro piacere di strappargli una risata. 

«Che avete fatto?» chiese, curioso e consapevole del fatto che prima o poi avrebbe dovuto rimettersi a studiare. 

«Che abbiamo? Che hanno fatto. Io già alla terza ora da mò che avevo staccato il cervello!»

Simone lo guardò accennando una risata, immaginava quanto fosse difficile per Manuel restare concentrato sulle lezioni, a maggior ragione che ora non c'era più lui a richiamarlo ogni tot per farlo seguire almeno un po' ed evitargli ramanzine o, peggio, di essere sbattuto fuori dalla classe. 

«Un sacco di robe super noiose, non te se sei perso niente. - continuò il maggiore- De Angelis ha continuato le solite robe su 'a Divina Commedia, Lombardi m'ha interrogato come sempre- quattro. che t'o dico a fà. » sbuffò. 
«Vabè. Cambiamo argomento, va. Tu come stai? Va un pochino meglio, mh?» gli chiese, mettendosi seduto sul letto , avvicinandosi al più piccolo e mettendo un braccio intorno alle sue spalle. 
«Solite cose. Le giornate non passano mai. Non vedo l'ora che torni qualcuno a casa perché stare solo non mi fa bene, non faccio altro che pensare e pensare e pensare..»
«E io non vedo l'ora di tornà!» 
«E per quanto tu non ci crederai, anche se sto in classe, sto sempre solo anche io.» continuò Manuel, facendo labbruccio. 
Simone lo guardò con i suoi occhi grandi che trasmettevano infinita tenerezza. 
«Ma chi è seduto al mio posto, per ora?» 
«Nessuno.»
«Beh, potresti farce mette qualcuno, se te senti solo.» cercò di camuffare il tono poco convinto. 
«No, è meglio de no.» rispose subito Manuel «Non ce deve stà nessuno.»
Si spostò per mettere un braccio intorno alle spalle del più piccolo e stringerlo un po' «Quello è il tuo posto e ce devi stare solo tu.»
Simone si fece piccolo, stringendosi dentro quell'abbraccio.
La testa appoggiata sulla sua spalla e gli occhi chiusi, che tanto non c'era posto più sicuro delle braccia di Manuel. 

Manuel gli passò una mano tra i ricciolini appena un po' sudati e gli posò un bacio lieve sulla tempia. 
«Hai mangiato oggi, mh?»
«No, non mi piace mangiare solo. Preferisco aspettare te.» mormorò il più piccolo. 
«Allora, forza. Vado a preparare qualcosa»
Si abbassò sul più piccolo a lasciargli un altro bacio sulla tempia, poi uno sulla pancia e uno sulle dita della mano.
Poi scattò in piedi e fece il giro dei due letti così da raggiungere Simone, dall'altro lato.
«Ti va se mangiamo giù? Dovrebbe essere tornato pure tu' padre. »
«Va bene, mi gira solo un po' la testa sulle scale, sono un po'- lento»
Manuel era l'unico con cui Simone riusciva ad ammettere le sue difficoltà nel fare azioni quotidiane, come poteva essere scendere quei quindici gradini che separavano il primo dal secondo piano di villa Balestra, senza vergognarsene, senza sentirsi diverso, difettoso.
«Vabè. Mica semo de fretta. Ti aiuto io scendere!» guardò Simone con sguardo incoraggiante
«Però se non te la senti porto tutto su!» aggiunse subito, come a rassicurarlo che non era sua intenzione farlo sentire obbligato. 
«Nono, andiamo. »
«Daje » 
Lo aiutò ad alzarsi dal letto, lo prese per mano e lo accompagnò giù per le scale. 

In cucina trovarono Dante, intento ad apparecchiare per due e nonna Virginia ai fornelli. 
«Professò! oggi semo quattro. Guardate chi vi ho portato!» esordì Manuel, tutto contento di annunciare la presenza di Simone. 
Il più piccolo sbucò subito dopo di lui, quasi imbarazzato. 
«Bene! Sono contento che sei sceso! Come ti senti?»
«Bene papà, bene..» Simone non era proprio abituato a ricevere le attenzioni che il padre era solito rivolgergli.
Non aveva mai avuto un vero e proprio rapporto con lui e ora si ritrovava a rispondere a domande tipo "come ti senti?" che, per quanto banale fosse, per lui era totalmente nuova e a volte quasi finiva col sentirsi stupidamente in colpa nel dire che alla fine stava bene, che non dovevano per forza essere tutti così preoccupati per lui. 

«Tocca aggiungere du piatti, faccio io» si scusò appena con nonna Virginia, che si spostò subito,  per permettergli di prendere i piatti e poggiarli sulla tavola. 
Simone era già seduto, intento a svitare il tappo di una bottiglia d'acqua per versarne un po'. Aveva ancora un po' di difficoltà, soprattutto quando si trattava di oggetti piccoli come poteva essere un tappo da svitare.
Strascichi del trauma cranico che doveva sopportare ancora un po', così gli avevano detto.

Si avvicinò un bicchiere, cercò di controllare il tremore della mano mentre reggeva la bottiglia sollevata per versarne il contenuto, ma con poco successo, infatti finì col far cadere l'acqua sulla tovaglia e sulla manica del maglione di Dante, il quale si alzò di scatto dal tavolo, sollevando subito i documenti che stava consultando in attesa del pranzo. 
«Scusami, papà» mormorò Simone, prese poi dei tovaglioli e iniziò a tamponare nervosamente il tavolo, lo sguardo basso.
« Ma non fa niente!» esordì immediatamente Manuel, per catalizzare subito l'attenzione su di sé e sul piatto di spaghetti fumanti che teneva in mano.
 «Simò quanta pasta vuoi? Va bene così!?»
«Si, grazie.» mormorò appena. 

Manuel si avvicinò a lui, gli posò davanti il piatto, poggiando poi una mano sulla sua spalla e una tra i capelli.
Poi portò un piatto anche per lui, prese posto accanto a Simone e avvicinò la sedia quanto più possibile alla sua.
« Ce la fai ad arrotolarli?» indicando con lo sguardo gli spaghetti
« Penso di sì.»
« mh, mangia. Ora sei con me.» 

Simone lo guardò, annuendo leggermente con un piccolo sorriso stampato sulle labbra. 
Ora era con Manuel.
Ed era tutto più bello e facile quando c'era lui, con i suoi nuovi modi gentili e premurosi, mai banali, che urlavano un perenne e silenzioso io sono con te, io sono sempre con te.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top