Occhietti belli.


Il suono della campanella decretante la fine delle lezioni riempì velocemente i corridoi del liceo Leonardo da Vinci che, in meno di un attimo, si riempirono di ragazzi impazienti di uscire e abbandonare lo stabile. 

La porta della III B, però, era ancora chiusa.
Il professore Lombardi, seduto compostamente alla cattedra,  stava trattenendo i ragazzi oltre l'orario per dettare loro i titoli delle versioni da tradurre per il giorno successivo. 

Erano, quindi, tutti chini sui propri diari; tranne Manuel che aveva già riposto tutto nel suo zaino e fremeva per poter sgattaiolare fuori dalla classe, raggiungere la moto e scappare al garage. 

Le regole imposte dalla madre e da Dante, durante il loro incontro avuto qualche giorno prima, erano state ben chiare. 
Manuel non intendeva trasgredirle, per cui dopo scuola avrebbe raggiunto la madre a casa, per pranzare insieme, poi avrebbe recuperato e portato a termine un paio di lavoretti lasciati in sospeso. 

Con lo sguardo un po' perso nel vuoto, continuò ad accarezzare piano il dorso della mano di Simone che si muoveva freneticamente sul foglio per segnare quanto dettato dal professore. 
Con l'altra mano, chiusa in un pugno, si reggeva la testa, come potesse addormentarsi da un momento all'altro.

« Quanto vorrei restà con te oggi» mormorò al compagno, che gli rispose con un sorriso appena accennato.

«Sai già per che ora rientri? »

Simone mise via la penna, riponendola nell'astuccio verde militare, prima di passarlo al maggiore che si affrettò a richiuderlo, tirando verso di sé la linguetta della cerniera. 

Non serviva una chiesta d'aiuto da parte del minore perché l'altro capisse di cosa avesse bisogno. 

Manuel sapeva e basta. 

« Non 'o so.» disse, stringendosi nelle spalle e corrucciando le labbra in una smorfia  «Sul tardi.»

«Potete andare, caproni!» esclamò il professor Lombardi, prima di aprire con un colpo secco la porta dell'aula. 

Scattarono in piedi nello stesso istante e quasi fecero scontrare i loro corpi. Un moto d'imbarazzo colse Manuel impreparato, facendolo indietreggiare di qualche passo.

«Bene.»  Si schiarì la voce brevemente prima di recuperare la giacca dalla sedia del più piccolo per aiutarlo ad indossarla. 

«Allora io vado. Tu devi aspetta tu padre?»  gli chiese assecondando i movimenti dell'altro, infilò prima una manica, poi l'altra, guidando la sua mano lungo il tessuto.

«Abbassate 'n po' che t'aggiusto il colletto» 

Simone ubbidì piegandosi appena sulle ginocchia per raggiungere la stessa altezza dell'altro. 
Sentì le sottili e ruvide mani stirare lentamente il colletto della sua camicia e successivamente quello della giacca, provocandogli un po' di solletico, le dita lunghe e fredde accarezzargli piano il collo e poi un piccolo bacio, veloce, quasi impercettibile. 

Si voltò a guardare il più basso, avrebbe voluto gettarsi tra le sue braccia e baciarlo; resistette alla tentazione ma non poté fare a meno di rivolgergli un sorrisetto malizioso. 

«Ferro, era un bacetto quello?» lo canzonò per stuzzicarlo
Manuel accennò una risata alla provocazione, tradito da un intenso rossore che si propagava dalle guance fino alle punte delle orecchie.
«Si, m'andava di farlo.» ammise, con innaturale spavalderia
«T'è dispiaciuto?»
Il più piccolo finse di rifletterci qualche istante sù, prima di rispondere con un sincero « Beh, che sia durato poco sì.» ,  cacciar fuori la punta della lingua ad inumidirsi le labbra. 
«Cammina và.» ordinò l'altro con voce rauca ma divertita, spingendolo lievemente verso la porta per poi allinearsi al suo passo e tirarlo a sé, ponendo un braccio intorno alle sue spalle. 

Si salutarono con un cenno ed un sorriso dinanzi al portone d'ingresso di scuola.

Manuel s'incamminò verso la moto, mentre Simone lo seguiva con lo sguardo.

Rivolse al fidanzato un'ultima occhiata, prima di dare gas, per controllare fosse tutto ok e che nessuno gli desse fastidio.
Una voce nella sua testa lo rimproverò di essere, ancora una volta, troppo apprensivo nei confronti del più piccolo.
Decise d'ignorarla ancora per un istante, restando fermo, in bilico con i piedi puntati sull'asfalto, a guardare da lontano il compagno che veniva raggiunto da Matteo e Chicca. 

Sentì contorcersi le budella. 

E se Matteo avesse fatto una battuta delle sue? 
E se Chicca l'avesse messo in imbarazzo? 
E se Simone avesse avuto bisogno di lui?

Tentò di soffocare le paure, chiudendo rapidamente gli occhi e strizzandoli con forza per scacciare via gli innumerevoli scenari che si susseguivano nella sua testa. 

Simone che piange e lui non c'è.
Simone che si fa male e lui non c'è.
Simone che-

Panico.

Dov'è finito Simone? 


Spalancò gli occhi, strabuzzandoli nervosamente quando notò che il piccolo non era più nel suo campo visivo. 

"L'avrà chiamato dentro su padre. Te voi calmà?" mormorò tra sé e sè, rimproverandosi.
 Si schiaffeggiò la guancia semicoperta dal casco, per punirsi e forzarsi alla calma.

"Accendi 'sto dannato motore e vattene." ordinò a se stesso.

"Che poi te dicono che lo soffochi e c'hanno pure ragione" aggiunse, a denti stretti. 

Sentì tremare il labbro inferiore, lo strinse tra i denti ferendosi appena e tirò nervosamente sù col naso: quel pensiero faceva ancora maledettamente male.

Sospirò, buttando fuori con foga quanta più aria possibile, nel tentativo di spazzare via con la stessa tutta l'agitazione che aveva in corpo. 
Con un movimento del bacino, fece scattare il cavalletto della moto e con i piedi uscì a retromarcia dal posto occupato.


Nel corridoio antistante alla portineria, la voce squillante di Chicca riempiva le orecchie di Simone che stava ad ascoltarla a testa bassa. 
Lo zaino posto sulle spalle del ragazzo poggiato sul banchetto posto dietro di lui, per alleggerirne il peso. 

Rispondeva distrattamente alle domande che gli venivano poste a raffica, perlopiù con risposte brevi e secche.
Non era ancora abituato all'avere tanta gente intorno e soprattutto, non era abituato al dover far fronte a situazioni come quella, senza aver Manuel al suo fianco, pronto a rispondere al suo posto, pronto a proteggerlo. 

«Come mai non torni con Manuel, Simò?» chiese ad un tratto la ragazza che quel giorno sfoggiava una frangetta d'un acceso viola. 

«Te non puoi guidà co' 'sto coso al braccio, no?» con il dito indicò il tutore che ancora intrappolava il suo braccio.

«No, non posso guidare.» ammise.
«Torno con mio padre. Manuel aveva da fare oggi. Sarà così per un paio di giorni»

«Che c'ha da fare? Quello c'ha sempre da fà quanno se tratta de esse presente!» 

Il tono di Chicca si era di colpo fatto pungente, probabilmente carico dell'astio che ancora provava nei confronti dell'ex. 

«No. Lui c'è sempre. Ha solo accettato di finire alcuni lavori, robe sue.» rispose vagamente. 

«Eccerto che ha accettato!» esordì Matteo, scandendo ogni parola con ritmo incalzante. 
«Figurati se quello non coglie la palla al balzo per poi scappà!»

«Simò, 'sta attento che cò questo te fai male n'artra vorta!»

«Manuel non scapperà. » tagliò corto il più piccolo. 

«Fidate Simò, te conviene tajà tu i ponti prime de restacce di nuovo sotto pè sta storia!
Guarda come ha trattato Chicca! Guarda come tratta tutti!
Er prossimo sei te, sicuro, cento per cento. Lo dico per te!
Poi non dire che nessuno te l'aveva detto, eh! » 

Il ritmo delle parole di Matteo fu talmente incalzante da stordire Simone.
Boccheggiò per qualche istante prima di ricomporsi per rispondere a tono. 

«So quello che faccio. Lasciami in pace, Mattè. »

«Se 'o dici tu, Simò! Finora nun me pare sia andata tanto bene! » 

Indicò il braccio del ragazzo prima di scoppiare in un fragorosa risata.

Simone corrucciò le labbra, si morse la lingua per evitare di rispondere, accennò un sorriso amaro e con una mezza giravolta, si allontanò sotto le risa che ancora gli rimbombavano nelle orecchie.

Accelerò il passo affinché nessuno dei due ragazzi potesse notare quanto i suoi occhi s'erano coperti di lacrime che scendevano copiosamente lungo le guance. 

Voltò l'angolo del corridoio per poi poggiare le spalle contro il muro adiacente.
Avrebbe potuto giurare d'aver sentito la voce di Manuel richiamarlo lungo il corridoio, mentre si allontanava.
L'aveva sentita, forte e chiara.
Ma non si era fermato, certo che se fosse stato davvero lì, l'avrebbe immediatamente raggiunto.

Tentò di regolarizzare il respiro e inspirare quanta più aria possibile per calmarsi. 
Avesse avuto un briciolo in più di lucidità, avrebbe fatto capolino da quel muro per controllare  se quella sentita fosse stato davvero la voce di Manuel. 
Scosse la testa, accantonando rapidamente l'idea. 

Lasciò scivolare la schiena lungo il muro per accovacciarsi.
Portò entrambe le mani tra i capelli, stirandoli appena indietro.

Sentì rapidi e pesanti passi raggiungerlo. 
Affondò il viso tra le mani, per coprire gli occhi ancora rossi e liquidi.

«Papà, non ti preoccupare. Va tutto- Manuel?»

Manuel avrebbe potuto giurare di aver smesso di respirare in quel preciso istante in cui vide il più piccolo rannicchiato per terra, si chinò su di lui e premette il viso contro il suo petto, tirandoselo addosso e stringendolo più forte che poté. 

Prese a baciare la fronte dell'altro, seguendo la linea segnata dal sopracciglio per poi soffermarsi sulla tempia. 

«Mi vuoi dì che è successo, mh, occhietti belli
«No. Non voglio. E non me chiamà occhietti belli.»
Il maggiore accennò una risata e tornò a baciarlo sulla guancia. 
«Va bene. Dai, tirati sù. É pure tutto sporco per terra »

Si rimisero in piedi lentamente, Simone mantenne salda la stretta sulle braccia del maggiore. 
Si avviarono verso il bagno. 
Simone sciacquò il viso sotto lo sguardo attento di Manuel che gli reggeva lo zaino.

«Ma te stai davvero a sentì le cose che dice quel cojone de Matteo? » 

«Pensavo non avessi sentito niente.» mormorò l'altro. 
Provava vergogna dell'essere stato, per l'ennesima volta, tanto debole da farsi schiacciare da semplici parole. 
«Allora...hai sentito tutto?» 

«No. Non ho sentito niente ma conosco quel coglione e infatti non me sbagliavo.
Qualsiasi cosa t'abbia detto Simò, non lo devi ascoltà. »

«Pensavo fossi andato già via.»

«Me n'ero annato,sì. Solo che sò paranoico  e sò tornato, indietro a controllà fossi con tu padre. » allargò le braccia per poi lasciarle ricadere lungo i fianchi. 
Non sapeva come spiegare all'altro le paure che l'avevano raggiunto dopo essersi allontanato da lui. 
Non erano razionali, non lo era quasi più nulla. 

«Grazie Manuel.» sussurrò Simone, chinandosi a baciare le sue labbra. 

«Ti preoccupi sempre per me, ti preoccupi di tutto.» mormorò, con voce tremante.
«Non devi portare tutto questo peso sulle spalle. Io vorrei- vorrei essere più - forte.»

« Lo sei già, Simò. Sei una roccia, la mia roccia.» 
Annuì ripetutamente per dare enfasi a quella parole. 

«Tu sei tutti i miei perché, Simo.» 

Lasciarono incontrare le loro labbra in un bacio lento, puro, pieno d'amore. 
Si staccarono lentamente, facendo strusciare i loro nasi come fossero bambini. 

«Non vedo l'ora arrivi stasera.» soffiò il più piccolo. 
«Anch'io. Annamo va, primo giorno de regole ferree e già sto in ritardo con mi madre.
Iniziamo bene, no? »

Scoppiarono in una risata complice, avviandosi lungo il corridoio, verso l'ingresso dell'istituto, come due sposi che a passo lento raggiungono l'altare, mano nella mano. 

Manuel salutò velocemente Dante, che li attendeva sulla soglia del portone,  per poi recuperare la moto e sfrecciare lungo le vie di Roma. 

La giornata proseguì senza troppi intoppi. 
Per espressa volontà di Anita, si soffermò a chiacchierare di quanto accaduto negli ultimi mesi.
Del suo rapporto con Simone, dell'amore che provava. 

Rispolverò i vecchi attrezzi nel garage, portando a termine un lavoro accantonato da mesi. 
E, prima di cena, salutò la madre per avere il permesso di rientrare a casa. 


«Me piacerebbe che restassi a cena, Manuel. Solo oggi. Un giorno solo.» 

«A mà, non me puoi fà questo. I patti sò patti. E poi casa..casa è dove c'è Simone

«D'accordo. Vai allora. Però mettite il casco e soprattutto chiamame quanno arrivi.»

«Affare fatto. Ciao mà!» 

«Se non me chiami appena arrivi te vengo a prende per le orecchie!»

«A mà, t'ho detto che te chiamo!»

Urlò un ultimo saluto alla madre, alzando un braccio per salutarla mentre, con la moto, si reimmetteva nel traffico per tornare dal suo Simone. 


Fermò la moto davanti al portone di casa Balestra, sfilò rapidamente il cellulare per mandare un messaggio alla madre, così da tranquillizzarla ed evitarsi anche inutili ramanzine durante la serata.


Aprì la porta di casa senza far troppo rumore e schizzò su per le scale per raggiungere la camera di Simone. 
La porta della stanza era aperta. 
Simone, chino sulla scrivania illuminata dalla fioca luce della lampada, stava studiando il nuovo argomento di fisica. 

Si avvicinò di soppiatto, senza far rumore e con un piccolo balzo lo raggiunse alla schiena, coprendo con le mani i suoi occhi. 

«Chi ha coperto questi occhietti belli?!» domandò con quanto più stupore possibile

Il più piccolo sbuffò una risata, raggiungendo con le proprie mani quello dell'altro.
«Scemo che sei.» scosse appena il  capo, prima di tirarlo indietro, alla ricerca di un bacio che non si fece attendere. 
«Che bello che sei tornato.» soffiò sulle labbra dell'altro. 

«Me sei mancato come l'aria.»

Il maggiore allontanò le mani dai suoi occhi per lasciarle ricadere sulle spalle, lo strinse appena sotto i polpastrelli per poi chinarsi a depositare una piccola scia di baci sul suo collo, mentre le mani scendevano lente ad accarezzargli il petto. 

«Anche tu me sei mancato.» mormorò.
Il suo fiato caldo s'infranse sul collo del minore, solleticandolo appena.

Poggiò la testa sulla sua spalla, abbandonandosi completamente su di lui.

Rimasero così abbracciati per qualche istante, prima che il maggiore si rimettesse in piedi.

Simone si girò rapidamente a guardarlo in viso. Era pallido e stanco. 

«C'hai 'na faccia, amore. Com'è andata? »

«Sono un po' stanco. Me sò trovato a sistemà un casino de roba in mezzo pomeriggio.
Mamma c'aveva ragione sul fatto che dovessi tornare a lavorà, nel garage c'è 'n delirio.»
sollevò con pollice ed indice la pettorina della tuta da lavoro che aveva ancora ancora addosso.
«Tra l'altro, puzzo de gas-» constatò, storcendo il naso per l'odore pungente che emanava.
«Mò vado a farme 'na doccia.»

«Me lo dai un altro bacio prima?»

Con entrambe le mani, ancora parzialmente sporche di grasso, prese il volto del fidanzato per sollevarlo piano e baciare le sue morbide labbra.
Le braccia del più piccolo lo strinsero forte, affondando il volto sul suo petto. 
Fu premura del maggiore spostare la tuta in modo che il suo viso non premesse contro le varie cinture che avrebbero potuto graffiarlo. 
Allungò le mani ad accarezzargli la schiena.

«Sei la cosa più preziosa che conosca Simò.» 

 «Anche tu lo sei, per me.» gli fece eco il piccolo, la voce ovattata dal tessuto sul quale poggiava.

Sollevò la testa a guardarlo dal basso con i suoi occhioni grandi e profondi.

« Ti ho preparato i vestiti puliti e- insomma- tutto quello che ti serve. Lì, sulla sedia.»

«Un giorno de lavoro e te ritrovo già cambiato.» 

Simone scrollò le spalle per quanto possibile, senza mai lasciare la presa intorno alla sua vita. 
« Me prendo solo cura del mio maritino»

Manuel gracchiò una risata. «Siamo già alla fase maritino?» 

«Stavo scherzando, scemo.» 

«Ah sì? Stavi a scherzà?» domandò quindi il maggiore, stringendosi nelle spalle e stirando lievemente le labbra in un'espressione vagamente triste. « Peccato allora.»

« Pensavo ti spaventasse l'idea di passare tutta la vita con una sola persona»

«Diciamo che non me spaventa l'idea de passalla co' te, 'sta vita. »

Il più piccolo allentò la presa per rimettersi seduto in modo composto ad ascoltare le parole del compagno.

«Sai che c'è, Simò? Credo de non essermi mai innamorato. Innamorato veramente, intendo.  

«Però con te... con te è davvero tutto diverso.
Io voglio svegliarmi la mattina e trovarti non accanto a me, voglio trovarti addosso a me. 
Voglio esse cullato dal tuo respiro, voglio respirare il profumo dei tuoi capelli. 

«Voglio scombinarti i capelli mentre fai colazione con ancora gli occhi assonnati, voglio trovarti a casa da lavoro, come oggi, e trovarti lì. » 

Quel flusso di parole venne fuori come un unico pensiero.
Con ancora le labbra schiuse, guardò Simone.
Gli occhi lucidi ed il cuore in festa. 

« Dici che sto a fantasticà un po' troppo? »

Il più piccolo scosse piano la testa.
 «No, non è mai troppo. Ti amo proprio tanto, Manuel.»

«Ti amo anche io, occhietti belli


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