Mi curi tu.


«Balestra!  Vogliamo farci buttare di nuovo fuori dalla classe? »

La voce roca e severa del professor Lombardi riempì l'aula senza preavviso mettendo bruscamente a tacere il costante brusio prodotto dal bisbigliare degli alunni che come guidati da un burattinaio pronto a tirare i loro fili, si voltarono tutti nello stesso istante a guardare Simone. 

«Mi scusi. Io- ecco- metto via tutto.» 

Afferrò il cellulare che aveva nascosto un attimo prima dentro il portacolori per lasciarlo scivolare lungo la superficie del libro posto dentro lo dentro, fino a raggiungere il fondo dello stesso.

«Immagino ultimamente ti abbiano lasciato pensare che la scuola sia un luogo senza regole ma devo informarti, mio caro Balestra, che non è così.» disse il professore, sogghignando. 

Puntò un dito contro tutta la classe, muovendolo da destra verso sinistra per soffermarsi poi direttamente su Simone. 

«Balestra, qui ci sono regole e vanno anche rispettate. O vogliamo forse giocarci definitivamente l'anno? Tra assenze e cattiva condotta... » 

Simone non obiettò minimamente.

 Si limitò, piuttosto, a tenere lo sguardo basso e fisso su di un punto indefinito del foglio.

In cuor suo, avrebbe voluto forse rispondergli.
Dirgli che sì- lo sapeva che c'erano delle regole.
E che no, non aveva dimenticato quale fosse il comportamento da dover mantenere in classe, nonostante i mesi passati via.

«Prof, mi scusi eh, ma l'ha utilizzato cinque minuti de orologio contati.» 

La voce di Manuel, stanca e leggermente strascicata, riempì l'aula. 

«Scusa, ma a te chi ti ha chiesto d'intervenire?» 

«E comunque, se è stato assente è per quello che è successo, non era a prende er sole alle Maldive! » concluse, quasi ringhiando quelle parole con rabbia. 

Un leggero boato si levò tra gli studenti. 

C'era chi in quell'istante era fomentato dal vedere un compagno rispondere a tono al professor Lombardi, chi era terrorizzato all'idea di dover pagare le conseguenze di quel gesto all'apparenza scellerato. 
Del resto, mancava davvero poco alla fine dell'anno e far nascere un acceso confronto con un docente non era propriamente consigliato.

Manuel non pensò a nulla di tutto questo. 

Non pensò alle conseguenze, non pensò a cosa avrebbe potuto portare quella presa di posizione. 

Sapeva bene quanto Simone fosse ancora scosso rispetto a quei mesi trascorsi lontano dalla classe, chiuso prima in ospedale e poi in casa, e questo gli bastava come movente per difenderlo. 

«Ma adesso si sta impegnando, è al passo con tutto» aggiunse, in ultimo.

«Ottimo! Questo fa piacere sentirlo.  Allora, nulla di strano se-» sollevò il registro di classe, portandolo agli occhi e scrutandolo con attenzione «-venerdì interrogassi entrambi su tutto il programma. Che ne dici, Ferro?»

Manuel annuì prontamente, cogliendo la sfida in un moto d'orgoglio. 

Fu proprio in quell'istante che la campanella arrivò a salvarli, decretando l'inizio dell'intervallo.

«Per venerdì, ripasso di tutto il programma. Abbiamo già i nomi dei due volontari.» urlò Lombardi, prima di alzarsi ed incamminarsi verso la porta, «Studiate, caproni

Manuel lo seguì con lo sguardo e attese che fosse che fosse sufficientemente lontano per avvicinarsi a Simone, inclinando la sedia verso sinistra. 

«È sempre il solito stronzo, lascialo perde.» mormorò, per non farsi sentire dagli altri compagni.

Osservò le mani del più piccolo sistemare le penne all'interno dell'astuccio. 

Lo sguardo ancora verso il basso, triste.

«Amore, oh. Me guardi?»

Gli occhi grandi di Simone gli si puntarono addosso. 

«Non mi dovevi difendere.»

«Che vor dì 'sta cosa mò?»

«No. Perchè mò a stare nei casini siamo tutti e due.»

 «E non è così che funziona? Che ogni cosa riguarda tutti e due e l'affrontiamo insieme? »

Un piccolo sorriso si fece largo sulle labbra di Simone, il quale si morse istintivamente il labbro inferiore per arrestarlo e ricomporsi.

Ma come si fa a mantenere il punto con uno così? 

«Si, funziona così. Però-» disse, con il tono più convinto che riuscisse a rimediare «però non voglio che le mie colpe cadano su di te, non un'altra volta.»

«Ma 'a bocca che parlava era 'a mia, no?»

«Per difendere me.»

«Allora c'aveva proprio un buon motivo per farlo.» 

Si avvicinò ancora di più al più piccolo, facendo leva con i piedi e sporgendosi sul suo banco. 

Posò un braccio sulla spalla del fidanzati, con una mano sollevò il cappuccio della felpa che indossava, andando a ricoprire completamente la sua chioma riccioluta.
Fece lo stesso con il cappuccio della sua felpa, lasciando che i ricci scomposti si schiacciassero contro la fronte.
Con uno scatto balzò lievemente in avanti, andando a baciare le labbra dell'altro.

Restarono così per qualche istante, coperti dal tessuto delle due felpe che si sfioravano e i ricci che si mescolavano in un groviglio, schiacciandosi gli uni contro gli altri.

Fu Manuel il primo a staccarsi dal bacio, catturando le labbra del più piccolo tra le sue, tirandole piano per poi rilasciarle. 

Si tirò sù, riportò il cappuccio sulle spalle, spettinandosi i capelli tra le dita.

 Lo stesso fece con quello di Simone, passando poi una mano tra i suoi ricci. 

Non che avessero davvero bisogno di essere sistemati, ma per Manuel affondare una mano tra i ricci di Simone rientrava a pieno titolo tra quelli che Amélie Poulain avrebbe definito i piccoli piaceri della vita, come lo erano tuffare la mano in un sacco di legumi, rompere la crosta della crème brûlée con la punta del cucchiaino e far rimbalzare i sassi sul canale Saint-Martin.

«Esci con me a prendere un caffè?»

Simone annuì. I piedi della sedia strisciarono sul pavimento di marmo con un rumore sordo.

Si chinò a recuperare il cellulare che aveva lasciato cadere all'interno dello zaino e si mise in piedi. 

S'incamminarono verso il corridoio, l'uno a pochi passi dall'altro.

Gli occhi di Manuel saettarono sui compagni che erano sparpagliati lungo il corridoio, divisi in piccoli gruppi.

Matteo e Chicca passeggiavano abbracciati, parlottando tra loro. Un altro gruppetto di alunne di diverse sezioni circondavano Dante, chiedendo forse informazioni sulle lezioni. Poco più avanti, il professor Lombardi stava parlando con la preside. 

Per Manuel fu istintivo deglutire a vuoto, fronte a quella visione. 

Immaginava che il professore stesse raccontando quanto accaduto durante la lezione.

«Venerdì questo ce massacra.» disse, quasi sovrappensiero.

Spostò lo sguardo su Simone, trovandolo ancora accanto a lui, poggiato contro lo stipite della porta.

Teneva capo chino sul cellulare, entrambe le mani intorno al dispositivo, lasciando muovere solo i pollici a tamburellare sullo schermo.

«Posso sapè con chi stai a chattà da stamattina?» 

La domanda giunse alle orecchie di Simone con qualche istante di ritardo, traducendosi in un mucchio indistinto di suoni confusi.

Distolse lo sguardo dal dispositivo per posarlo sul compagno. «Mh?» 

«Ho detto che voglio sapere con chi stai a chattà. Da stamattina, tra l'altro. » 

«Nulla di importante » tagliò corto, oscurando lo schermo dal tasto laterale.

«Guarda che non è bello costringermi a fà il fidanzato geloso ma se proprio vuoi- » allargò le braccia con fare plateale per poi lasciarle ricadere lungo i fianchi «- finisce che te faccio 'na scenata qua, in mezzo a tutti »

«Tu non fai proprio niente.»

«Allora me dici con chi stai a parlà!»

Allungò la mano con un rapidissimo scatto, sfilando dalle mani del più piccolo il dispositivo. Sbloccò la schermata lasciando scivolare il pollice sul display, ricreando una M per inserire la sequenza necessaria.

Dovette difendersi dalle braccia di Simone che tentavano di recuperare il cellulare, mentre leggeva rapidamente l'ultima conversazione ancora aperta. 
Fece in fretta, riconsegnando poi il dispositivo al legittimo proprietario.

«Digli che non se ne parla.» intimò al più piccolo, dandogli in un istante le spalle e proseguendo verso il distributori automatici. 

«Manuel-» lo richiamò Simone, affrettando il passo per raggiungerlo «- ne stiamo solo parlando.»

«Non ce sta niente da parlà. Tu non ci torni, fine della storia!»

Il tono più alto del previsto attirò rapidamente lo sguardo dei più curiosi che di colpo si ammutolirono, voltandosi a guardarli.

«Tu hai capito che ti sei rimesso letteralmente da due settimane? E già vuoi tornà a farte riempì di botte da quelli? »

«Non mi riempiono di botte.» lo rimbeccò subito, prendendo tra le mani un pacchetto dei biscotti che il maggiore aveva appena acquistato per lui. 

Non riuscì ad ignorare l'occhiataccia di fuoco che Manuel gli lanciò nell'instante in cui i loro occhi s'incrociarono. 

Incazzato nero ma me compra i biscotti, vallo a capì certe volte.

«Manuel,avanti, è solo uno sport! E poi ci sò fare, non me sono mai fatto male sul campo!»

«Eccerto, tocca rimedià! » il tono si fece sarcastico, accompagnando ogni parola da piccole risate isteriche

«Li ho visti i tuoi compagni de squadra. E pure gli avversari! Sò più grossi de- de Zucca.» quel nome fu pronunciato con un suono quasi impercettibile, come a timore potesse d'un tratto ripresentarsi. 

«Te sei minuscolo! » 

«Sono più alto di te.» 

«Di poco!» rispose subito stizzito, issandosi sulle punte dei piedi nel tentativo di azzerare  E comunque in confronto a loro sei minuscolo. » 

Simone sbuffò una risata, scuotendo la testa,  «Guarda che mi so difendere.» 

«Sarà. Certe volte te vedevo arrivare con certi graffi sulle gambe che facevano capì che  non eri tutto sto campione de rugby, eh.» 

«Scusa, ma.. quando?»

«Prima di metterci assieme.»  

Prese un biscotto dal pacchetto ancora pieno tenuto in mano dal più piccolo, portandolo alla bocca. e riducendolo in piccole briciole che caddero scomposte sulla felpa. 

«E comunque-» biascicò, coprendo le labbra con una mano e deglutendo rumorosamente

«- se me torni pieno di lividi, te do il resto.»

«Che sei? Mi madre?»

«Peggio!» esclamò.
«Simò, io sò serio! Se stasera me torni tutto rotto, giuro che prima te meno, poi vado a menà loro, poi torno a casa e te rimeno e poi forse, alla fine, te rimetto a posto - poi! »

«Forse e alla fine.» gli fece eco il minore.  «Ricevuto.»

Il secondo suono della campanella arrivò ad interromperli, costringendo ogni studente a tornare nelle loro classi.

«Torniamo in classe và. E posa 'sto cellulare, che se te fai beccà n'artra volta me sto zitto!»

S'incamminarono verso aula a passo lento e svogliato, strisciando quasi i piedi contro il pavimento. 
Per loro fortuna, le ore passarono in fretta, intervallate da innumerevoli tentativi di dialogo da parte di Simone.

Tentativi ai quali il maggiore cedette solo in parte, rispondendo a monosillabi.

«T'ho chiesto se sei arrabbiato.»  

«No»

«Mi ami?»

«Si.»

«Quindi posso andarci?»

Manuel roteò gli occhi, allargando le mani in segno di resa, «Se proprio devi.».


L'incontro con la squadra per gli allenamenti si tenne alle cinque dello stesso pomeriggio.

Simone arrivò sul campo con largo anticipo. L'idea di tornare a giocare con gli altri suoi compagni di squadra lo fomentava e spaventava allo stesso tempo.

Tornare ad indossare la divisa, a sentire l'odore del cuoio e dell'erba riempirgli le narici e il vento freddo pizzicargli la pelle lo faceva sentire incredibilmente vivo.

Tra abbracci, pacche sulla spalla e strette di mano decisamente troppo forti per lui, salutò i vecchi compagni e dopo aver ripassato le regole d'attacco e difesa da mantenere sul campo, si spostarono tutti sull'ampio campo di gioco.

Il fischio dell'arbitro decretò l'inizio della partita, il pallone vorticò in aria prima di essere afferrato dal terza linea della squadra avversaria, il quale corso lungo l'ala  destra del campo.

Simone finì presto in mezzo ad una delle mischie create per il possesso palla, fino a riuscire ad afferrarla con entrambe le mani, stringerla al petto e correre più veloce che poteva verso l'area di meta.

Fu raggiunto rapidamente da un tentativo di placcaggio da parte degli avversari, afferrato dalle gambe, atterrato e trascinato contro il suolo.  

Per istinto, andò a parare la testa con entrambe le mani, lasciando andare il pallone che fu colpito presto da un calcio e allontanato dal suo campo visivo. 

Si sollevò in piedi, barcollando lievemente, scosse la testa per rimettere a fuoco gli avversari sul campo. Avanzò verso gli altri e di nuovo, dopo un susseguirsi di azioni di gioco che non ebbe la prontezza di seguire con lo sguardo, si ritrovò in possesso palla.

Corse seguendo una curva immaginaria che lo conducesse verso l'aria di tiro. 

Sentiva il cuore pulsare contro lo sterno, le orecchie ovattate dalla pressione, i muscoli delle gambe bruciare e i piedi muoversi all'impazzata trascinando sotto la suola i fili d'erba e annullando ogni forma d'attrito. 

Due placcatori gli corsero dietro ad ampie falcate. 

Riusciva a vederli con la coda dell'occhio, corse ancora più rapidamente spingendo il corpo in avanti quando fu boato si sollevò alle sue spalle, il fischio dell'arbitro si levò alto sopra l'insieme di urla scomposte. 

«Invasione! Invasione!»

Quasi cadde nel tentativo di frenare bruscamente la corsa. Si voltò di scatto per rintracciare con lo sguardo i compagni di squadra quando si sentì strattonare violentemente dalla maglia.

Lasciò cadere il pallone per terra, afferrando la mano che teneva stretto il tessuto tra le dita che mollarono la presa, intrecciandosi con le sue.

Corsero via insieme, verso l'esterno del campo. Continuarono per svariati metri, prima di voltare l'angolo e fermarsi, sfiniti. 

Si lasciarono cadere entrambi, ringraziando mentalmente il manto erboso che li accolse.

«Manuel.» la voce interrotta da faticosi sospiri «Tu sei completamente pazzo.»

Il maggiore ansimò violentemente con una mano sullo sterno, boccheggiando per recuperare quanta più aria possibile.

«Stai zitto prima che te corco, Simò!»

«Ma tu hai idea di quello che poteva succedere!?»

« "Zitto" ho detto.»

Un sorriso si delineò sulle labbra del minore, sbuffando una risata. Obbedì.

E rimasero così, in silenzio, distesi sull'erba, a lanciare fiotti d'aria calda contro il cielo. 

Manuel allungò un braccio verso il più piccolo, picchiettando piano sulla sua spalla. 

«Vieni qua » portò le dita contro il proprio petto, indicandolo. 

Come guidato da una calamita, Simone si avvicinò subito, facendosi più piccolo e accoccolandosi contro il suo petto.

Manuel lasciò scorrere la mano contro la sua schiena, sollevando appena il tessuto della maglia per controllare la pelle che si presentava coperta da alcune abrasioni.

«Te spunteranno i lividi» disse, massaggiando la porzione di pelle lesa. 

Simone si strinse nelle spalle, strusciando il volto contro il petto come fosse un gatto.

«Mi curi tu.»

Il maggiore incurvò le labbra in un sorriso, chinando il capo a baciargli la fronte. 

Le loro labbra si unirono in un bacio lento, i rumori del campo erano ormai lontani.

Restava solo il vento ad accarezzarli piano. 




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