In cerca di verità.


Due piccole mani strinsero, per la prima volta, un nuovo giocattolo.

Gli occhi curiosi lo scrutarono con attenzione, per individuarne piccole rifiniture e dettagli, spostandosi, di tanto in tanto, in avanti, solo per rintracciare la figura della madre.

Riusciva ancora a sentirla, la sua voce che gli raccomandava di tenere il passo e non restare indietro ma quella benda, stretta intorno alla fronte si rivelò più fastidiosa del previsto e una manina si spostò verso il bordo della fitta retina bianca e gratta via il cerotto che la teneva ferma.

Poi un tonfo. 

E il giocattolo cadde per terra. 

Il corridoio si fece mare e le braccia mulinarono per aria, contro le onde.

Buio.



Gli occhi di Manuel si spalancarono di colpo, incontrando il soffitto bianco.

Sospirò a fondo, soffiando via la tensione lasciata da quel sogno e respirò piano per godere dell'aria fresca che entrava dalle piccole fessure della serranda abbassata, accompagnata dai primissimi raggi del mattino.  

Accarezzò la schiena nuda di Simone che ancora dormiva, poggiato sul suo petto come un piccolo gatto in cerca di coccole, beandosi ancora del suono del suo respiro profondo.

Contro il suo mento, i suoi ricci a solleticarlo.

Sotto le dita, non un giocattolo, ma la sua pelle.

Tra i suoi capelli, non dei cerotti, ma le sue mani. 

Girò piano il volto verso destra, per avvicinare le labbra ai suoi polsi.

Baciò la sua pelle, così trasparente da rendere le vene perfettamente visibili e morbida come una piuma, facendo attenzione a non pizzicarla troppo con la barba incolta che promise a sé stesso di accorciare. 

«Lo so che te piace, amore.» sussurrò, immaginando già la reazione del compagno alla decisione appena presa, «Però non me cresce più de così e finisce che te graffio quando ti bacio.»

Si fermò a contemplare i lineamenti morbidi ed eleganti. 

Le ciglia lunghe che accarezzavano le guance nivee. 

Il piccolissimo neo che impreziosiva la punta del naso. 

Le labbra schiuse.

«Che bello che sei.» sussurrò ancora, sfiorando con la punta delle dita il suo volto, «Sei proprio bello. Lo sai, sì?» 

«Lo so che non t'o dico quanto meriti, però sei bello, tanto. Sei il più bello del mondo.»

Si costrinse al silenzio nel vedere le palpebre del più piccolo tremare e poi schiudersi lentamente, rivelando i suoi occhioni grandi e già vispi.

«Mi parli mentre dormo?»

«E certo che te parlo.» ammise, incurvando le labbra in un timido sorriso. 

«E tu m'ascolti, mentre dormi?»

Le braccia di Simone, stirate verso l'alto nel preludio di uno sbadiglio, ritornarono a poggiarsi sul suo corpo, e le dita ad accarezzare le sue labbra che si apprestarono a lasciare sui polpastrelli piccoli baci, ritmati e dolci. 

«Più o meno, sì.» mormorò il più piccolo, con voce assonnata, «Ti sentivo- blaterare.»

La leggera risata sfuggita alle sue labbra venne presto messa a tacere dalle dita di Manuel che si posarono sulle sue labbra, prima di catturarle e tirarle lievemente verso di sé.

«Belle labbruccia che c'hai.»

«Ti piacciono?»

«Mh mh.» mugugnò, scivolando verso di lui per posarvi un bacio sopra, «Tanto.»

Lasciare che quel bacio si protraesse si rivelò essere assoluta necessità di entrambi, e mentre le labbra si schiudevano per lasciare le loro lingue danzare, le mani si facevano largo tra le lenzuola per accarezzarsi con frenesia.

Era una sensazione di beatitudine e passione, quella che accresceva attimo dopo attimo.

E se è vero che i corpi hanno un loro linguaggio, nel loro accarezzarsi e stringersi non vi era altra parola che non fosse amore e voglia di appartenersi.

Le mani di Manuel si ancorarono ai fianchi del più piccolo che fu presto a cavalcioni su di lui. 

Le ginocchia ai lati del suo corpo lo inchiodano semidisteso sul letto e le cosce, ancora fasciate dal pantalone del pigiama che si era di colpo fatto troppo stretto, iniziarono a tremare per propria volontà.

Con un colpo di reni, sollevò il bacino, premendo contro il corpo di Simone, per sfilare ogni indumento che lo costringesse. 

Scalciò freneticamente ma con un piccolo raggio d'azione per facilitare il movimento di boxer e pantaloni che raggiungevano a piccoli sobbalzi le caviglie, fino a divenire un grumo informe di tessuto rifilato in un angolo del letto. 

Era abituato a vedere Simone nudo, eppure, ancora una volta, rimase a guardare per qualche secondo il petto di Simone che si muoveva lento sopra di lui, ricreando il movimento di piccole onde. 

Osservò il modo in cui i ricci gli cadevano sulla fronte ogni volta che portava indietro la testa, rivolgendo lo sguardo verso il soffitto. 

Le piccole gocce di sudore che affioravano sulla sua pelle e scendevano lente lungo il tronco. 

Avrebbe voluto leccarle via, assaporare Simone in ogni sua aspetto, in ogni sua forma. 

Notò come le spalle, larghe e possenti, su di lui stessero riacquistando il tono perso negli ultimi mesi, come il suo petto e lo stomaco parevano essere in perfetta armonia e come la vita, stretta e sinuosa, sembrava guidare le sue mani verso l'orlo dei boxer neri che contornavano le sue forme. 

Lasciò scivolare le dita lungo il tessuto, afferrandolo dal passo per scoprire il suo membro già in piena erezione e i glutei sodi nei quali affondò le dita, trattenendosi dallo stringere fino a segnarli con le unghia.

Il busto di Simone, con un'altra onda, si abbassò su di lui, dando vita ad una scia di baci regalata dal più piccolo sul suo corpo. 

Le labbra umide pizzicano piccolissime porzioni di pelle, lasciando segno del loro passaggio.

Dal collo fino alle spalle, scorrendo poi verso i capelli e soffermandosi al centro del petto, dove il piccolo serpente tatuato rendeva la pelle leggermente in rilievo. 

Tirò la testa indietro, affondandola sul cuscino e strinse le dita ancora ancorate alle natiche del più piccolo quando sentì un brivido freddo percorrere la sua pelle. 

Cacciata fuori la lingua, Simone stava percorrendo il suo tatuaggio, puntellandola sulle sue parti più calcate e baciando poi le estremità dell'opera incisa su pelle. 

Vide rialzare la sua schiena, sostenuta dalle braccia puntate sul materasso, ai lati del suo petto.

«Simone, girati.» gli ordinò, con voce rauca e profonda. 

«Girati per me, Simone.»

E come un velo mosso dal vento, Simone fu presto disteso prono sul letto. Il volto schiacciato sul cuscino, la gambe larghe e pronte ad ospitare il corpo di Manuel che, come attratto da un campo magnetico, si posizionò subito tra le sue cosce tese, puntando le dita sui suoi polpacci per mantenersi in equilibrio. 

Si allungò verso il comodino posto di fianco al letto per recuperare il necessario- un tubetto di lubrificante quasi terminato e un preservativo racchiuso nella sua vistosa bustina argentea che Manuel strappò con i denti, srotolandone il contenuto sul suo membro. 

Distribuì una generosa quantità sulle dita per preparare il compagno ad accoglierlo e le stesse dita allargarono presto le natiche strette, scoprendo il suo ingresso ed introducendosi piano in lui. 

Iniziarono a sforbiciare lente, ruotarono e pulsarono dentro di lui con fare esperto, stimolando i punti giusti che portarono Simone a soffocare un urlo, affondando ancora di più la testa contro il cuscino.

Sfilò le dita delicatamente per entrare in lui con il primo affondo. 

«Sei così stretto, Simò. Sei così-perfetto.»

Spinse il bacino contro il suo corpo, cadenzando i colpi, prima lenti e delicati, ritmandoli in base al respiro del compagno che giaceva sotto di lui e di tanto in tanto inarcava la schiena sotto la sua presa. 

Le mani accarezzavano ogni centimetro della sua schiena, in movimenti circolari che gli permettevano di sentire e di bearsi dei movimenti dei suoi muscoli contratti e tesi. 

Si abbassò su di lui per baciargli il piccolo neo sulla nuca, premendovi contro le languide e lussuriose labbra che spostò rapidamente verso la sua schiena nuda. 

Tirò indietro il bacino, sollevando i fianchi per un nuovo rapido affondo che portò Simone ad inarcare vistosamente la schiena prima di tornare ad abbracciare il cuscino che ormai pareva fungere da boa per tenerlo a galla in quel mare di piacere che lo inghiottiva. 

Si godette lo spettacolo di vederlo completamente asservito alla volontà di sentirlo il più possibile dentro di lui e si lasciò travolgere dall'ennesima ondata di piacere che lo costrinse a scivolare fuori e svuotarsi nel preservativo.

Simone rimase a pancia sotto ancora qualche momento. 

In totale balia del dolore, del piacere, del suo respiro affannoso e del bisogno di riprendere il controllo del suo corpo.

Si girò su se stesso per ritornare supino sul letto, una mano sul petto ansimante di Manuel, l'altra sulla sua erezione non ancora soddisfatta. 

Le dita di Manuel si strinsero sopra le sue, assecondando i movimenti lenti dal basso verso l'alto fino a riversare il suo piacere caldo contro il suo stesso stomaco. 

Incrociarono i loro occhi lucidi e carichi d'amore l'uno per l'altro, prima di unire le loro labbra in un altro bacio lento.

«Voglio più risvegli così, Simò.»


Il più piccolo sbuffò una risata, sentendo le guance imporporarsi per il vistoso imbarazzo. 

Le coprì con entrambe la mani, nascondendo il volto.

Le dita lunghe e affusolate vennero strette e sollevate dalle mani di Manuel che le portarono alla bocca per baciarle, ancora una volta. 

«Amore no, non ti coprire.» sussurrò Manuel, riscaldando con il fiato il dorso della sua mano. 

Agganciò il suo sguardo con quello di Simone, regalandogli un sorriso calmo.

« É normale che ci piaccia fare l'amore. E tu- tu diventi dannatamente bello, quando lo facciamo.»

«Anche tu.»

Le mani del più piccolo incorniciarono il suo volto in carezze morbide, prima di tornare steso e seguirlo con lo sguardo, mentre Manuel si rimetteva seduto sul bordo del letto. 

Il busto semi chino lateralmente e un braccio teso sotto le coperte alla ricerca del pantalone del pigiama. 

Lo tirò fuori dalle coperte in pochi istanti, rivestendosi. 

«Tu resta qui, amore. Sto tornando.»

Si rimise in piedi barcollando lievemente sui suoi stessi piedi e poi, con passo felino e sguardo attento fuori dalla porta, si avviò verso il bagno per recuperare una spugna inumidita di acqua tiepida ed un asciugamano da riportare camera. 

La strofinò con cura e attenzione sulla pancia di Simone, lasciando poi un piccolo bacio sulla pelle umida e pulita. 

«Tra un po' scendo e porto su la colazione,» disse, indossando la prima maglietta lasciata in giro per la stanza. «'stamattina te meriti una colazione più che sostanziosa, principino.» 

«Sei proprio un cretino.»

«Me la merito pure io, oh! Che te credi?» ridacchio. «Tu vatte a fà 'na doccia se vuoi, nel mentre. Me sa che avemo casa libera.»

Allungò di nuovo il collo oltre la porta per spiare eventuali movimenti al piano di sotto. 

Casa sembrava deserta. 

Ad ogni modo, per non farsi beccare completamente scomposto, passò una mano tra i ricci, nel tentativo- fallimentare, come sempre- di dar loro una parvenza di ordine. 

Raggiunge la cucina e, preparati un paio di toast con la Nutella, una tazza di latte macchiato fumante per Simone ed il caffè per se stesso, sistemò tutto nel vassoio che portò in camera.

Lì trovò Simone, fresco e profumato di doccia. 

I ricciolini ancora un po' bagnati gli conferivano un particolare fascino. 

Come fosse un uomo venuto da una qualche epoca lontana. Un uomo d'altri tempi, eleganti. 

Tanto affascinante e magnetico da spostargli la sede per farlo accomodare al piccolo tavolo, imbastito per la colazione. 

«Amore,» lo richiamò Simone, prima di addentare uno dei toast presi dal piatto. «Oggi lavori?»

«Eh, no. Fa parte della punizione, no?» rispose lui, con un sorriso beffardo in volto.

«I grandi vogliono che non lavoro e quindi me sto a casa co' l'amore mio. Mannaggia, oh...»

«Che disdetta!»

Scoppiarono entrambi in una risata complice, stringendosi per mano per recuperare il contatto tra loro. 

«Ma come mai te sei svegliato così presto, amore?»

Manuel lo ricordava ancora perfettamente, quel sogno che l'aveva turbato così tanto da costringerlo a svegliarsi con quello stato d'angoscia e ansia cucito addosso come una seconda pelle. 

«Ho fatto 'n sogno strano, lascia stà.» tagliò corto, nella speranza che a Simone bastasse.

«Tipo?»

«Robe mie der cervello che a volta me fa scherzi»

«Che scherzi?»

Sbuffò sonoramente, alle domande incalzanti e agli occhi curiosi del più piccolo. 

Sapeva perfettamente che non si sarebbe mai arreso, se non una volta raccontata la verità.

«Senti.», iniziò col dire, per rallentare la sua voglia di informazioni. «Io te lo racconto, però tu me devi promette che non inizi a costruicce sopra mille castelli.»

Gli occhi di Simone si fecero ancor più grandi, le sopracciglia s'innalzarono spontaneamente e lui annuì. 

«Me lo devi promette, Simò e no-» disse, indicando le dita del più piccolo incrociate in segno di promessa. «- così non vale. Me devi proprio dire "Manuel, te lo prometto." »

«Manuel, te lo prometto.»  gli fece eco il più piccolo, in segno di promessa. 

«Mh. Va bene.» 

«Hai presente quanto tu nonna c'ha raccontato de te e- e Jacopo, da piccoli?»

Lo sguardo di Simone si ricoprì d'un velo di malinconia, nel sentir nominare il fratello. 

Sapeva che avrebbe dovuto abituarsi al fatto che avrebbe sentito quel nome più spesso, che avrebbe dovuto farci il callo, ma era così difficile, ogni volta. 

«Si.» mormorò quindi, lottando contro quell'enorme nodo alla gola che avvertiva.

«Te ricordi che ha parlato de un dinosauro giocattolo, anzi, de due dinosauri.»

«Si.»

«É da quando c'ha raccontato de quell'episodio che non faccio che pensare al fatto che io, da bambino, avevo un giocattolo proprio a forma de dinosauro. E credo- credo d'aver sognato il giorno in cui m'è stato regalato.»

«Quando è successo?»

«Tantissimi anni fa, potevo avere quattro anni. Ero finito all'ospedale e mi madre aveva incontrato 'n signore che m'aveva regalato 'sto giocattolo. Io- me lo ricordo, Simò.» 

La voce tremante tradì tutta la tensione provata, in quell'istante. 

«Ne sò sicuro. Lo ricordo.»

«Pensi fosse mio padre?»

«Io- io non lo so, Simò. Ma stanotte, quando l'ho sognato, la voce era la sua e io-non lo so, forse me sto ad ammattì- ma io-io credo fosse lui, sì.»

Rimase a guardare lo sguardo basso di Simone, pensieroso e spaesato.

Si sentì maledettamente in colpa, per aver ceduto alla sua curiosità e aver raccontato tutto. 

Allungò le mani verso il volto del più piccolo, incorniciandolo e sollevandolo appena, per incrociare i suoi occhi.

«Amore, ti prego. Scusami, io non avrei- non avrei dovuto raccontarti questa cosa ma-»

«Hai fatto bene.» lo interruppe Simone, cogliendolo di sorpresa.

«Per quanto la cosa possa farmi male, so che devo convivere con la consapevolezza che Ja- che Jacopo è esistito.»

Lasciò scioccare la lingua sul palato, nel vano tentativo di frenare il pianto. 

Gli occhi però divennero ugualmente rossi e liquidi e una lacrima solitaria lasciò gli occhi scivolando lenta sulla guance ed incontrando le mani di Manuel.

«Jacopo esisteva e io- io magari un giorno mi ricorderò di lui.»

Fosse stato possibile udire urlare il proprio cuore, Manuel era sicuro che il suo avrebbe squarciato il cielo per il dolore provato in quell'istante, nel vedere gli occhi di Simone riempirsi di lacrime e sentirlo pronunziare quelle parole, così sofferte. 

«Amore mio, sei tanto forte tu...» biascicò contro l'incavo del suo collo nel quale si rifugiò, abbracciandolo forte.

Asciugò le sue lacrime con piccoli baci, accarezzando le sue guance e sfiorandole con le labbra.

Gli occhi di Simone però, restarono fissi nel vuoto, totalmente assorti tra i pensieri. 

«Sai amore, c'è un vecchio baule, nello studio di papà.»

«Un baule?»

«Si. L'ha fatto arrivare a casa qualche mese dopo essersi trasferito qui.»

«Pensi ce possa sta qualcosa che dovresti vedere?»

«Non lo so...ma se quell'uomo del tuo sogno era davvero lui, allora l'altro dinosauro potrebbe essere lì.»

Rimasero entrambi qualche istante a pensare, valutando nelle loro menti i pro e i contro di quell'operazione di ricerca che avrebbero dovuto compiere. 

Manuel, preoccupato dell'eventuale sofferenza che quella cosa avrebbe potuto causare a Simone, pareva essere il più dubbioso dei due. 

«Amore, io non lo so se dovremmo- cioè, se 'sta cosa può farti realmente bene.»

«Non mi farà del bene. Ma non- non mi fa stare bene nemmeno restare così all'oscuro di un'infanzia che sembra io non abbia mai avuto, lo capisci, Manu?»

La voce di Simone, spezzata dal pianto, riempi la stanza e le orecchie di Manuel spingendolo ad annuire. 

Annuire e basta. 

Poteva solo immaginare il dolore provato da Simone, ogni volta che l'argomento veniva tirato fuori e se c'era un modo per dare pace a quel cuore in cerca di verità, allora lui sarebbe stato al suo fianco. 

«Va bene, amore.» sussurrò, mettendosi in piedi, al fianco del suo compagno.

«Però se poi non te la senti, se ce ripensi, allora chiudiamo tutto e se torna qua. Va bene?»

Simone annuì, allungando un braccio verso di lui,  per porgergli una mano.

Aveva bisogno di Manuel, in quel momento più che mai.

E una volta strette le sue dita con quelle del maggiore, sospirò a fondo per racimolare tutto il coraggio di cui era capace, incamminandosi, mano nella mano, insieme a lui, verso lo studio di Dante. 

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