Fammi un sorriso e andiamo.


Il mattino seguente, sembrava essere tutto pronto per il grande rientro di Simone a scuola. 

Nonna Virginia si era alzata, come suo solito, praticamente all'alba.
Con un entusiasmo però diverso dal solito, che l'aveva condotta subito giù in cucina a preparare un'ottima crostata alle ciliegie, recapitate la sera prima dal suo tuttofare Osvaldo. 
Le aveva richiesta appositamente, con il preciso scopo di far iniziare al meglio la giornata del nipote. 
E tra ciotole e stampini, era già all'opera da qualche ora.

Anche Dante si era svegliato decisamente prima del solito.
Aveva preparato, controllato e ricontrollato tutti i documenti necessari per regolamentare il rientro del figlio alle lezioni.
Non era stato facile, per lui, dover recuperare e catalogare tutti i certificati dell'ospedale, i referti rilasciati dal fisioterapia  ed i verbali della psicologa che aveva avuto in cura Simone, durante il suo ricovero: quel mucchio di fogli urlavano quanta sofferenza avesse dovuto sopportare il figlio, urlavano la sua disperazione, così violenta e profonda, urlavano tutti gli sbagli commessi, le parole non dette, la paura di perderlo. 

Dopo l'ennesimo e rapido controllo, raggruppò tutto un'ultima volta prima di sistemarli dentro la sua ventiquattrore. 
Si strofinò gli occhi facendo scorrere pollice ed indice sulle palpebre, inforcò gli occhiali e si avviò verso le scale per raggiungere Virginia. 

Giunto davanti alla porta della stanza di Simone, esitò un istante. Con una rapida occhiata, controllò l'orario. 
«Dado!» 
Il bisbigliare della madre, che lo osservava dal piano inferiore, raggiunse le sue orecchie un attimo prima di bussare, costringendolo a fermarsi all'istante. 

 «Lascia i ragazzi riposare, è ancora presto. Scendi piuttosto, così mi aiuti a preparare!»
Dante aveva sempre trovato assurdo come sua madre sembrava leggergli nel pensiero e anticipare ogni sua mossa, a tratti quasi inquietante. 
Ad ogni modo, si arrese subito al suo volere, strinse i pugni lungo i fianchi e «Arrivo.»


Nella camera di Simone, Manuel fu il primo ad aprire gli occhi, come spesso accadeva, richiudendoli subito dopo per quei flebili raggi solari che illuminavano già gran parte della stanza. 
Si stiracchiò lievemente, stringendosi nelle spalle e allungando i muscoli delle braccia nel minimo spazio che gli era concesso dal corpo di Simone che ancora gli dormiva, poggiato sul petto.

Raggiunse il volto del più piccolo, sfiorandolo con le dita per accarezzarne piano il mento ed quei lineamenti che gli parevano ogni volta più precisi.
Sembrava così sereno, immerso nel mondo dei sogni, cullato dal battere del suo cuore. 

Dovette venire a patti con se stesso e con il senso del dovere per forzarsi e costringersi a svegliarlo. 
«Simone.. Simone..»
«mmh»
«Ci dobbiamo alzare.. te ricordi che oggi vieni con me, sì?»
«Ma dobbiamo proprio per forza, Manu?»
Simone mormorò appena la domanda, prima di prendere la mano del maggiore nella sua e portarla sulla guancia, per riceverne le carezze.

«Si, signorino.» lo canzonò subito Manuel
«Dobbiamo proprio per forza.»

«E da quando mi chiami signorino tu?» 
«Da mò. Non ti piace?» 
Il più piccolo arricciò il naso «non tantissimo»

Manuel sbuffò una risatina,  prima di catturare tra le dita la punta del suo naso, tirandolo piano in sù per poi abbassare il capo a baciarlo. 

«Alzati va» lo guardò con un sorriso sornione stampato sulle labbra, facendogli cenno di spostarsi, prima con lo sguardo e poi con una lieve pacca sul braccio. 

Passata circa una mezzora da quel risveglio, casa Balestra era davvero pronta ad affrontare  la giornata. 
Ogni cosa era davvero al suo posto...tranne Manuel e Simone. 

«Se la smetti di ridere, magari ci sbrighiamo. Che dici, Simò!?»
Manuel, accovacciato davanti ad un Simone, inerme sul letto, ancora a petto nudo, con i jeans ancora sfibbiati in vita, rimproverò il più piccolo lasciandogli una sonora pacca sulla coscia. 

«Ma Manu! mi fai troppo solletico!» con il braccio buono, tentò di spingere via le mani del maggiore.

 «Ho capito che te faccio solletico ma io te devo allaccià 'sto jeans e tu te muovi come un lombrico, statte fermo un secondo»
Tornò a posare le mani sul bacino dell'altro nel tentativo di riafferrare i due lembi della cerniera lampo ancora aperta. 

«Non ci riesco Manuel, ti prego, aspetta un attimo»
«Simò, ti giuro che ti faccio scendere in mutande di 'sto passo» 
Quella minaccia sembrò funzionare, Simone inghiottì quanta più aria possibile per arrestare gli spasmi dovuti alla risata e «No no dai, sto fermo, giuro.»

Con un colpo secco, Manuel tirò sù la cerniera dei jeans e con la stessa rapidità li abbottonò. 
«Finalmente, oh. M'hai fatto sudà sessanta camicie»
Si rimese in piedi in uno scatto, riprese fiato a grande boccate, dopo quella che gli era sembrata un'impresa titanica di tutto rispetto. 

«Tirati su dai - così te metto 'sta felpa e abbiamo finito»
Afferrò la mano del più piccolo e lo aiutò a mettersi seduto a bordo letto, prese ad arrotolare meccanicamente le maniche della felpa prescelta e si avvicinò per aiutarlo ad indossarla.
 «Alza un po'»
La testa di Simone scomparve per un attimo sotto quel cumulo di tessuto che Manuel gli aveva praticamente gettato addosso.

«Sei pronto?» 
«Si, se non ci sto troppo a pensare - forse sì.» 
«Andrà tutto benissimo, vedrai. »
Tirò la felpa lungo il busto del più piccolo, abbassò il cappuccio che copriva i suoi riccioli e depositò un bacio sulla sua fronte. 
«Tu non devi preoccuparti di niente.» premette ancora una volta le labbra contro la sua fronte, ignorando volutamente la comparsa del progressivo rossore sulle guance dell'altro.  
«'Nnamo và» lo prese per mano e si avviarono fuori dalla camera. 


« Aggrappati.» esordì Manuel, una volta saliti sulla moto.
«Simò, se tu non te tieni stretto a me, io te giuro che non parto»
Aggiunse, categorico.
Le braccia dell'altro continuavano ad essere ancorate alla parte posteriore della moto.
«Ma mi reggo lo stesso! Non volo mica via» lo rimbeccò il più piccolo.
«E poi non c'è bisogno che me spiaccico sopra de-»
Simone non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase.
Con uno scatto, Manuel prese entrambe le sue braccia, tirandoselo addosso,incrociandole e  facendo aderire il più possibile la sua schiena al petto dell'altro.
«- de te. Ecco appunto» concluse sarcastico l'altro.
«Devi stà così. E nun te move.» 
Il più piccolo roteò lievemente gli occhi, prima di scuotere la testa.
«Ansia addosso ne abbiamo?!»
«Sì! E pure tanta Simò. Non me devi mollà, manco un secondo!» 

Se quello di Simone era stato un tentativo di prendere in giro Manuel per il suo essere eccessivamente protettivo, il tono con il quale il maggiore aveva risposto alla provocazione era stato talmente serio e preoccupato da scuoterlo.

Manuel era la sua roccia, il bastone sul quale si aggrappava sempre.
E spesso semplicemente dimenticava di quanta tensione l'altro sopportasse, da mesi ormai. 
Si rimproverò mentalmente per la frase appena detta, «Scusami, Manu»
Rinsaldò la presa, stringendolo ancora di più.
«Non ti mollo, promesso.»

Arrivati davanti al vecchio e logoro portone del liceo Leonardo da Vinci, la campanella non era ancora suonata. 
Gli studenti erano ancora fuori, divisi in mini gruppetti. 
E se gli schiamazzi riempivano la strada fino ad un attimo prima, all'arrivo di Manuel e Simone, il vociare di sottofondo sembrò di colpo attenuarsi, riducendosi ad un brusio cupo e costante.

Manuel fu il primo a scendere dalla moto, si slacciò rapidamente il casco , scompigliandosi i capelli riccioluti che andavano da tutte le parti. 
Simone era ancora immobile, seduto sulla sella, lo sguardo basso, intento a torturarsi le mani.

«Manu, io non so se voglio farlo» pigolò «Mi guardano tutti come fossi un alieno.»
«E quindi? Che te stessero a guardà! no?» lo spronò subito l'altro, allargando le braccia platealmente per poi lasciarle ricadere lungo i fianchi.
Si avvicinò al più piccolo, i lembi della giacca a vento tirati da una parte e dall'altra, come a coprirlo dal mondo e dagli sguardi indesiderati.
 
Prese il suo volto tra le mani, sollevandolo quel che basta affinché fosse costretto ad ascoltarlo e  i loro occhi potessero incontrarsi. 

«Tu sei il più forte, il più coraggioso e il più- prezioso - di tutta la scuola, Simò.»

Accarezzò con i pollici i suoi zigomi, a rincuorarlo ancora un po'.

«Fammi un sorriso e andiamo, mh?» 

Il più piccolo sospirò pesantemente, incurvò appena le labbra per regalare all'altro quel sorriso richiesto, raccolse tutto il coraggio possibile e annuì velocemente. 
«Andiamo.»
Quindi scese dalla moto con un piccolo balzo e prese, dalle mani dell'altro, il suo zaino per portarlo alle spalle.

Manuel restò a guardarlo ancora per qualche istante, come a scrutare ogni possibile espressione, per accertarsi stesse bene.
Poi lo prese per mano, facendo intrecciare le loro dita e si avviarono verso l'ingresso. 

Bastarono pochi secondi, prima di ritrovarsi sommersi dalle urla di stupore dei compagni ed entrambi circondati dagli stessi, sotto una schiera di occhi curiosi, avidi di informazioni e risposte. 

«Simo! Sei tornato! » lo squittire di Laura sovrastò tutte le altre voci.
Senza alcun preavviso, si gettò letteralmente tra le braccia di Simone che, ancora immobile, non ricambiò l'abbraccio.
Al contrario, strinse ancora di più la mano di Manuel che si apprestò subito a far spostare la ragazza, interponendo un braccio a protezione del più piccolo.

«Oh! Non je dovete stà troppo addosso e fate piano co' 'ste cazzo de mani» ringhiò, dopo l'ennesima pacca sulla spalla volata sopra Simone. 

«Ammazza come semo protettivi Manuè! Che? Te sei addolcito a furia de stà co' lui?»
La voce di Matteo si levò come un grido di protesta e provocazione. 

«E tu devi fà sempre er coglione vero, Mattè?» lo riprese subito Chicca, che quella mattina sfoggiava una frangetta viola ancora più fluo del solito. 

«Coglione relativo, eh!» rispose subito l'altro, stringendosi nelle spalle con tutta l'aria di chi sta esponendo una realtà ben nota a tutti.
«Voglio dì. Nun me pare che fossi così gentile con lui, prima che s'andasse a sfracellà!»

Mille occhiate di fuoco furono lanciate da Manuel verso Matteo che veniva già trattenuto dagli altri compagni che facevano da scudo umano, pronti ad una reazione di Manuel.

Reazione che non arrivò, con immenso stupore da parte di tutti.
Certo, Manuel avrebbe voluto sferrargli un pugno dritto sul naso, avrebbe voluto gonfiarlo de botte; ciò nonostante però, non si mosse di un singolo passo. 

Rimase fermo lì, a proteggere Simone con il suo braccio, a tenergli la mano. 

«Io al posto tuo non starei tanto sereno, a 'sta sempre co' quello. Non è che stai a diventà come lui?»

Simone si sentì tramortire, sotto l'effetto di quella frase che sembrò trafiggerlo come una coltellata. 
Sentì gli occhi pizzicare per le lacrime che iniziarono a velarli con prepotenza. Abbassò velocemente lo sguardo per nasconderlo da quelli degli altri, che non facevano altro che scrutarlo. 

«Tu ripetilo e io 'sta volta te spacco la testa, Mattè.» 
Fu in quell'istante che Manuel perse il controllo e fece per scattare, le mani già a mezz'aria puntate verso il suo collo.

«Manu ti prego, fermati.»
Simone bisbigliò appena.
Quella supplica sembrò riempire subito le orecchie del maggiore, che si girò di scatto ad abbracciarlo, affondando il volto nell'incavo del suo collo. 

«shhh. Va tutto bene Simò. Tutto bene»
Prese ad accarezzargli la schiena, a consolarlo.
«Va tutto bene. Tutto bene» sussurrò ancora. 

Si slegò dall'abbraccio, fece un passo indietro come a voler controllare fosse ancora tutto intero. 
Le mani nelle sue e le braccia larghe, come stessero per danzare.   

«Scusami, ti ho strattonato prima. Ti ho fatto male?»
Vederlo scuotere la testa lo rasserenò un po'.
«Sicuro?»
«Si- si non ti preoccupare.» mormorò il più piccolo. 

Fu la campanella ad interrompere quel momento.

Senza lasciarsi un attimo, si spostarono per lasciar passare tutti, così da entrare per ultimi, con più calma. 

«Dai qua, lo porto io» esordì Manuel, prima di avviarsi, alludendo con lo sguardo allo zaino.
«Non pesa. Ce la faccio. » 
«Mh, va bene.» concluse l'altro, con aria vagamente scrutatoria di chi si aspetta un immediato ripensamento.

 «Allora, fammi un sorriso e andiamo.»
Simone scosse subito la testa in segno di assoluto diniego: « Ma non ci penso nemmeno, Manu.»
« Dai! Uno solo, anche piccolino me basta!» fece labbruccio, con aria supplichevole.
«Non ha portato granché bene - poco fa - non so se hai notato» rispose l'altro, sarcastico, sbuffando una risata ripensando alla scena surreale vissuta qualche attimo prima.

«In realtà, io dico che quando sorridi va tutto meglio, Simò.»

Un sorriso imbarazzato si delineò sul volto del più piccolo quando Manuel gli si piazzò davanti, le guance si fecero rosse, avvolte dalle carezze dell'altro.

«Ma non te accorgi Simò!? Io ce vivo - per 'sto sorriso qua!»

Il tono si fece esasperato sotto gli occhi grandi e confusi del più piccolo che continuava a fissarlo, senza dire una parola.

«Senti. Io lo so che non sò bono a, non sò bono a dimostrà- quanto ce tengo, quanto me sento mancà l'aria quando non sei con me, però- » 


Sputò fuori quelle parole con la stessa urgenza con la quale ci si libera da un fardello troppo grande da portare sulle spalle. 
Si zittì di colpo. Il cuore nel petto aveva già fatto mille piroette, i battiti si erano fatti incredibilmente più veloci e feroci contro il costato.
Era confuso, era incredulo e spaventato, ma non intendeva rimangiarsi una singola parola. 

Rimasero a guardarsi per qualche istante, occhi dentro gli occhi.

Con un movimento tanto impercettibile, quanto inaspettato, scattò sulle punte.

Si spinse verso l'altro.

Fece incontrare le loro labbra, in un bacio veloce, irrazionale, puro, necessario

Si staccò immediatamente dopo, facendo saettare lo sguardo da una parte e dall'altra dell'atrio. 
Si sentì sollevato nel constatare che la piccola piazza antistante la scuola era deserta.

«Di questa cosa ne parliamo a casa, Simo. Va bene?»
Il più piccolo annuì docilmente.
«Va bene - però promettimelo, Manuel.»  chiuse gli occhi come fosse in preghiera
«Promettimi che ne parliamo.»
«Te lo prometto.»
Lo rassicurò con un lieve sorriso, si allungò ancora una volta a depositare un bacio sulla tempia prima di riprendere la sua mano e fargli cenno di seguirlo.

«Andiamo, dai.»





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