Così me pensi sempre.
Come aveva preannunciato Dante, Anita raggiunse casa Balestra quel pomeriggio stesso, intorno alle 18, dopo il turno di lavoro al museo nel quale aveva iniziato a lavorare qualche mese prima.
«Ciao Dante, scusa il ritardo. Ho sbagliato strada e mi sono persa» si giustificò con l'uomo, che era lì ad attenderla sulla soglia della porta.
«Sì. Capita a chiunque, non preoccuparti»
«Dove sono loro?»
«Nella loro stanza. Cioè- nella stanza di Simone.» con un braccio indicò le scale «Vieni, ti accompagno»
«No, aspetta- aspetta un attimo.» bloccò l'uomo per un polso, appena prima che salisse il primo gradino.
«Tu hai già provato a parlargli? Che t'hanno detto?»
«Sì, c'ho provato. Non hanno detto niente che non m'aspettassi.
Si sono arrabbiati, hanno iniziato a dire le solite cose» farfugliò parole indistinguibili per non ripetere per filo e per segno le accuse che il figlio di Anita gli aveva mosso contro, lasciando roteare le mani in aria con aria di sufficienza.
«Ma staremo facendo la cosa giusta?»
«beh, ancora non abbiamo fatto niente.»
«Proviamo a parlarci e poi vediamo, no? » domandò perplesso, stringendosi appena nelle spalle.
Si avviarono quindi sù per le scale, verso la stanza in cui Simone e Manuel sembravano attenderli come fossero in attesa di giudizio.
Erano seduti sul letto, uno di fronte all'altro.
Entrambi a gambe incrociate, le loro ginocchia si sfioravano appena.
Le mani di Simone in quelle di Manuel che con i pollici ne massaggiava il dorso.
Nessuno dei due osava dire una parola.
Non c'era neanche bisogno di riempirli, quei silenzi.
Dante fece capolino dalla porta «Ragazzi, c'è -»
Con un balzo, venne spinto dentro la camera da Anita, impaziente di vedere il figlio.
«-c'è Anita, ecco appunto.» concluse il professore, strofinandosi le mani, imbarazzato.
«Manuel!» squittì la donna, in preda all'emozione.
«A mà! Che ce fai tu qua?»
Manuel scattò in piedi e raggiunse la madre, la quale si gettò completamente su di lui ad abbracciarlo forte.
Dopo pochi istanti, Manuel provò a divincolarsi dalle braccia delle madre e dai suoi baci umidi stampati sulla guancia con talmente tanta foga da fargli male «come stai mà?»
«Io sto bene! Fatte guardà, amore mio! Da quanto tempo non te vedo!» strinse ancora di più il figlio, in quell'abbraccio che si fece a tratti soffocante
«Come me sei mancato, me sentivo impazzì senza de te!» lo accarezzò velocemente sul volto e sulle spalle, come ad accertarsi fosse tutto intero.
«Io sto bene mà. Sto bene.»
Scivolò via dalle sue braccia per raggiungere di nuovo Simone.
Con un braccio lo strinse a sé. Sentirlo vicino lo rasserenava, gli infondeva coraggio.
«Simone!»
Con un scatto Anita abbracciò forte anche il più piccolo, travolgendolo tra le sue braccia.
Gli lasciò tre baci sulla fronte, avvolgendo il volto tra le sue mani.
«Te vedo meglio, stai bene! So pure che sei tornato a scuola!» esordì, entusiasta.
«S-si. Sono tornato a scuola, grazie.» rispose, brevemente, senza degnarla di un reale sguardo.
Si vergognò del suo stesso comportamento, non avrebbe mai voluto sembrare scontroso nei confronti di Anita, per la quale provava un affetto sincero.
Ma non riusciva ad essere felice della sua presenza.
La trovava ingombrante, minacciosa.
Del resto, era perfettamente consapevole di quanto Manuel fosse legato ad Anita ed il timore che, quella sera, Manuel l'avrebbe seguita a casa, non sembrava poi così infondato.
Non ora che lei era lì, pronta a parlargli con l'unico obiettivo di convincerlo a tornare.
Sentì l'agitazione risalire lungo le sue vene, gli occhi pizzicargli leggermente.
Cercò disperatamente lo sguardo di Manuel che sembrava non cercare altro che il suo.
Il suo cuore fece una piroetta nel petto quando il maggiore mimò un "ti amo" con le labbra.
"Ti amo anche io" mimò a sua volta.
Il loro silenzioso scambio fu interrotto da Dante.
«Simone, ci lasci un attimo soli con Manuel?» si avvicinò al figlio per dargli una pacca sulla spalla.
«Oppure, se preferisci, tu resti qui e Manuel ci segue un attimo nel mio studio.»
«E mò perchè 'sta cosa? Non ce sta 'n discorso che non se possa fà in presenza de Simone»
«Perchè io preferisco se ne parliamo un attimo a soli, io e te. Eh Manuel, che dici?» lo riprese subito Anita.
Simone guardò il maggiore, intercettando ancora una volta il suo sguardo.
«Manu, vai. Non ti preoccupare, vai.» accompagnò l'invito con un cenno del capo verso la porta.
Del resto, se da un lato Simone era letteralmente terrorizzato di quello che sarebbe stato l'epilogo del loro incontro, dall'altro non vedeva l'ora che quel supplizio volgesse al termine.
«Amore, sei sicuro?»
Si accovacciò davanti a lui, per annullare ogni possibile centimetro di distanza, poggiando le mani sulle sue ginocchia spigolose.
Il più piccolo annuì con aria piuttosto convinta «Vai. Io resto qui e ti aspetto »
«Va bene- se cambi idea me chiami.»
«Andrà tutto bene, mh?» gli sorrise lievemente, per rassicurarlo ancora una volta.
Con due mani poste dietro la schiena del più piccolo, lo tirò a sé, facendolo scivolare sull'azzurro piumone che ricopriva il letto.
«Farò del mio meglio e sistemo tutto. Te lo prometto.»
Lasciò che i loro nasi si sfiorassero appena per poi tirarsi sù, allungando una mano per lasciargli un'ultima carezza. Che quelle non bastavano mai.
Un rossore si propagò sulle guance del più piccolo, coccolato dal fiato caldo dell'altro che lo solleticava appena.
«Ti aspetto qua.» mormorò.
Facendo forza sulle mani poggiate sul materasso si sistemò meglio sul letto, chiuse gli occhi e baciò, stringendosi nelle spalle, il palmo della mano di Manuel che avvolgeva dolcemente il suo viso.
Lo vide quindi allontanarsi, per poi scomparire fuori dalla porta.
Rimasto solo, realizzò quanto tutto sembrasse tingersi di nero quando Manuel non era nei paraggi.
Lasciò cadere indietro la schiena, si stese sul letto e con il braccio buono, coprì gli occhi.
Era consapevole di quanto quell'attesa l'avrebbe snervato.
Senza caricare troppo sul braccio ancora bloccato dal tutore, rotolò su sé stesso, allungò una mano verso il comodino, aprì il cassetto, tirò fuori carta e penna e iniziò a scrivere.
Nello studio di Dante, ogni cosa sembrava essere cambiata.
Gli scatoloni pieni di libri che, fino a poco tempo prima, ricoprivano quasi un terzo della superficie calpestabile, erano scomparsi, lasciando spazio ad una nuova libreria dove il professore aveva avuto anche cura di sistemare alcune foto di Simone.
Manuel si fermò qualche istante ad osservare la prima.
In quella foto, Simone avrà avuto 4 o 5 anni.
Era così sorridente, così sereno.
Un bimbetto tutto riccioli che sorrideva alla camera, ai suoi genitori, al mondo.
Avrebbe voluto tornare indietro il tempo e proteggere per sempre quel suo sorriso che sembrava illuminare il mondo.
Seguì con lo sguardo tutte le foto allineate.
Come una linea temporale, sembravano ripercorrere la vita di Simone.
Lo feriva vedere come, foto dopo foto, quel suo meraviglioso sorriso, tanto acceso e lucente, fosse andato ad affievolirsi, fino a sparire completamente nell'ultima.
Avrebbe voluto restituirglielo, riavvolgere il tempo e ripercorrerlo insieme, solo per renderlo felice. In ogni istante della sua vita.
Del resto, quella era l' unica missione che aveva fatto propria: rendere felice Simone.
Quel flusso di pensieri fu interrotto dalla voce di Dante, che lo riportò bruscamente alla realtà.
« Manuel, accomodati.» gli ordinò, indicò una poltrona posta davanti al divanetto nel quale aveva preso posto insieme ad Anita.
Il ragazzo puntò le mani sullo schienale della poltrona, guardando torvo i due che lo scrutavano in silenzio, come stessero studiando ogni suo movimento.
«De che dobbiamo parlà? Le ho già detto, professò, che io Simone non lo posso lascià.»
« Io- io non voglio. No, non se ne parla nemmeno. Categorico, no.»
Rimasto in silenzio ad ascoltare, Dante alzò il dito per chiedere parola «Posso parlare?»
Manuel allargò le braccia, spazientito, per poi lasciarle ricadere lungo i fianchi.
Seguì i bordi della poltrona con i fianchi per poi abbandonarcisi, rassegnato all'idea che stare sulla difensiva non si sarebbe rivelato utile.
«L'ascolto.»
«Quello che io sto cercando di dirti è che non è mia intenzione- né di tua madre- separarvi. »
«Assolutamente,Manuel, no.» gli diede forza Anita.
«Quello che pensiamo però è che sia- necessario- che Simone torni ad essere indipendente. »
«Che vor dì 'sta cosa? Simone è già indipendente» lo rimbeccò subito il riccio.
«Sai meglio di me che non lo è, Manuel. Simone dipende da te, per ogni singola cosa.
Dai gesti quotidiani alla gestione delle sue emozioni, Simone è completamente legato a te. »
« E anche se fosse? » Schizzò in piedi, le mani giunte ed agitate vicino al petto.
« Voglio dì. Nun me pare 'na cosa così brutta!
Me sò tolto da tutti gl'impicci che c'avevo, professò. Glielo giuro!
Ho messo la testa a posto, è Simone che m'ha fatto mette la testa a posto!»
«Lo sappiamo, tesoro. E non sai quanto sono fiera di te.» intervenne Anita
«Ma per Simone- per Simone, abbiamo paura che questo non vada bene. Lo capisci?»
Quelle parole della madre bruciarono come lame ardenti.
La paura di finire col soffocare Simone, con eccessive attenzioni, era sempre viva e pulsante, nella mente di Manuel. E quelle parole le davano un vigore nuovo.
Si sentì sprofondare sotto il loro peso.
Sentiva gli occhi pizzicare per le lacrime che affioravano violente a velargli gli occhi.
Deglutì a vuoto, prima di asciugarle con la manica della felpa.
Era evidente che per quanto si sforzasse di fare del suo meglio, danneggiava Simone.
Lui che avrebbe voluto solo renderlo felice, che voleva solo il suo bene, non riusciva ad esserlo.
S'incurvò su se stesso, affondando il volto tra le mani.
«Perchè sò sempre sbagliato, mà?» mormorò, nel vano tentativo di ricacciare indietro le lacrime.
Era forse la prima volta che si lasciava vedere così. Indifeso, fragile.
Totalmente in balia delle sue emozioni che non riusciva a controllare.
Anita scattò ad abbracciarlo forte «Ma no che non sei sbagliato, Manuel! »
«E allora perché non vado bene? Perchè - perchè non vado bene per Simone? Perchè? »
« Tu vai benissimo per Simone, come per chiunque altro. Intesi?» prese il volto del figlio tra le mani, scacciando via con i pollici le lacrime che gli rigavano le guance.
Le spezzava il cuore, vedere il figlio piangere.
Ed era commossa del fatto che finalmente stesse esternando i suoi sentimenti.
«Tu sei una persona bellissima, Manuel. E l'amore che provi per Simone-» si fermò per un istante, come alla ricerca di un termine adatto
«-sì, l'amore, che tu provi è qualcosa di estremamente prezioso.»
Un sorriso amorevole si fece largo sul suo viso, allungò una mano a scompigliargli piano i ricci.
«Simone lo sa?»
Manuel annuì. «Ne abbiamo parlato. E anche lui, mà- anche lui mi ama. Tanto.»
«Io lo sento, che me ama. Ed è la sensazione più bella del mondo. »
Lasciò scappare una risata imbarazzata, per poi abbandonarsi ad un sospiro di sollievo.
Sembrava essersi liberato da un enorme macigno, che lo opprimeva - che da troppo tempo gravava sul suo petto.
La conversazione con sua madre e Dante procedette più distesa.
Analizzata la realtà dalla giusta ottica, riuscirono a giungere a compromessi che fossero congeniali per tutti.
Simone avrebbe ripreso a studiare in autonomia, per recuperare il tempo perso.
Manuel avrebbe ripreso a fare i suoi lavoretti nel garage, così da trascorrere più tempo nei pressi di casa, senza mai trascurare la scuola.
Gli incontri con Anita si sarebbero fatti più frequenti.
Mai più chiamate perse e almeno un pranzo, a settimana, a casa, con la mamma.
Tutto il resto, però, restava invariato.
Avrebbe continuato a dormire a casa Balestra, a vivere serenamente il suo rapporto con Simone. E per Manuel era quella, la cosa più importante.
Aveva accettato ogni richiesta, promettendo solennemente- più a sé stesso che a Dante ed Anita- di rigare dritto, per non bruciare quell'occasione concessa.
Rientrato in camera, strisciò i piedi sul pavimento, prima di gettarsi di peso sul letto, facendo balzare leggermente il più piccolo che nascose il foglio, piegato in quattro parti, sotto il cuscino. Si spostò, per raggiungerlo e accoccolarsi al maggiore.
Un braccio a cingergli la vita e la testa completamente abbandonata sul suo petto.
«Com'è andata?» mormorò, mentre con le dita sfiorava piano il suo fianco.
«Dovrò rispettà un paio de regole che m'hanno dato. Per fare andà bene le cose.»
«Tipo?»
«Devo passare più tempo con mia madre, riprendere tutte le cose che ho lasciato in sospeso, dovrò recuperà a scola - tu dovrai riprende a studià e a fare gli esercizi che ti spettano - insomma, ci saranno dei momenti in cui dovremo stà separati-» si bloccò un istante, notando un velo di tristezza depositarsi sugli occhi e sulle labbra del più piccolo
«-però passeranno veloci! Tutto il resto della giornata stiamo sempre insieme.»
«Possiamo sopravvive così, no?» gli rivolse un sorriso per incoraggiarlo.
«Sì. Mi mancherai, ma sì.» mormorò il più piccolo.
«Anche tu me mancherai, Simò. Però guarda - Aspetta n'attimo»
Si sfilò dall'abbraccio per rimettersi in piedi. Recuperò il proprio zaino da sotto la scrivania e ne estrasse due piccoli oggetti.
«Volevo darteli per un'altra occasione, ma mi sembra più giusto farlo adesso. »
Tornò a stendersi sul letto, riassumendo la stessa posizione e stringendo il più piccolo al suo petto.
Con una mano raggiunse quella dell'altro e lasciò cadere sulla stessa due piccoli ciondoli, legati ad un cordino scuro.
«Li ho visti in un negozio e non potevo non prenderli.»
«Sono due pesciolini»
«Sì. Come quelli del tuo libro.»
«Uno è per te. E uno è per me. Così me pensi sempre, anche se sto lontano.
Come io penserò a te, sempre.»
Simone non disse una parola, si limitò a baciarlo. Che alla fine, parlare non serve.
Si abbracciarono forte, più stretti che poterono, quasi a fondersi insieme in un'unica entità.
Manuel baciò ripetutamente i suoi ricci, riempiendo le narici del suo profumo e il cuore di felicità.
Sospirò piano, prima di riprendere a parlare.
«Ho detto tutto oggi.»
«Tutto? Di noi? Davvero?»
«mh mh. Tutto.»
«Coraggioso il mio amore » gli baciò il petto per poi risalire a baciare prima il mento e poi le labbra sue carnose, in una scia lenta di baci scanditi dai battiti del suo cuore.
«Grazie, Manuel.» mormorò, direttamente sulle labbra dell'altro.
«mh?»
«Sei il primo, che lotta davvero per me.»
«Tu hai lottato per me, Simò.»
«E alla fine abbiamo vinto, entrambi.»
Manuel si lasciò sfuggire un piccolo sorriso, incurvando lievemente le labbra.
«Io ho vinto la cosa più bella della vita mia. E sei tu, Simò. Sei solo tu»
Rinsaldò ancora di più la stretta sul più piccolo, tirandolo a sé e stringendolo come se la sua intera esistenza dipendesse da quell'istante.
Gli occhi chiusi, completamente abbandonato a quella sensazione di pace.
«Sai, nello studio di tuo padre c'erano delle tue foto.» prese a raccontare.
«Foto mie? Non pensavo ne avesse.»
«Ne ha un paio. Eri così bello, da bambino. Avevi un sorriso che poteva illuminà er mondo intero, io voglio farte riavere quel sorriso là.»
«Solo da bambino ero bello, però, poi crescendo-»
Senza preavviso alcuno, una sonora pacca planò direttamente sul sedere di Simone, che si fece più piccolo e si strinse ancora di più sull'altro. Arricciò il naso, in una smorfia «-ahia.»
«Te ne arriva n'artra se continui a fà sti discorsi. Anzi, te ne arrivano altre dieci, come minimo.»
Con un dito, sfiorò la punta del suo naso per poi accompagnarne il volto, di nuovo, verso le sue labbra.
«Ti amo tanto Simò. Non posso vive senza di te.»
Si addormentarono così, stesi l'uno sopra l'altro.
In quel piccolo mondo, tutto loro, dove niente e nessuno poteva scalfirli.
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