Confessioni all'orecchio.


La pioggia che bagnava villa Balestra sembrava non voler cedere il passo ai timidi raggi di sole che, di tanto in tanto, si affacciavano da dietro le grandi nuvole che ricoprivano il cielo in ogni sua parte. 

Era piacevole, per Simone, sentire l'aria fresca pizzicargli il viso. 

Era un'abitudine che da sempre conservava, quella di restare qualche minuto in un angolino del grande balcone che circondava la casa e al quale accedeva direttamente dalla sua stanza, durante le giornate di pioggia. 

Specie al mattino, beandosi del silenzio assoluto di una città che dorme.

Ed è per questo che quella mattina, facendo massima attenzione a non svegliare Manuel che dormiva al suo fianco, era sgattaiolato fuori dal letto, aveva indossato la prima felpa tirata fuori dall'armadio ed era uscito fuori, a godere dell'aria fresca e del rumore della pioggia. 

Aveva fatto scorrere la serranda verso l'alto giusto il necessario per uscire fuori, chinandosi un po' e tirando con le dita, una volta fuori, le due ante per richiuderle dietro di sé.

Non voleva che il freddo entrasse in camera; il rischio sarebbe stato quello di svegliare Manuel e lui sapeva perfettamente quanto avesse bisogno di riposare.

L'aveva notato a scuola, quando il suo sguardo era diventato assente e fermo a fissare un punto nel vuoto.

A casa, durante la cena, quando l'aveva visto quasi crollare addormentato sul piatto e gli aveva offerto la sua spalla per poggiarsi e sonnecchiare.

E anche durante la notte, dal lieve russare, dal sonno profondo ma disturbato e dalla braccia aperte, lasciate a peso morto sul letto. 

Era stato difficile riuscire ad addormentarsi, senza sentire le braccia del maggiore stringerlo.
Era riuscito solo a racimolare qualche oretta di sonno, intervallata da lunghi momenti d'insonnia. 

Aveva quindi trascorso quasi tutta la notte in balia di un vortice di pensieri slegati tra loro che parevano avere la capacità di rendersi tangibili e stringergli la gola. 

Pensava a Jacopo, alle fotografie appese in salotto, agli anni trascorsi all'oscuro di ogni cosa.

Pensava al rapporto con Dante e a quello con Floriana che ormai sembrava essere scomparso.

Alle occhiate strane che ogni giorno subiva a scuola, alle pressioni dei compagni. 

A Manuel.

I pensieri legati a Manuel. Quelli erano gli unici che sembravano dargli un attimo di tregua.

Riuscì a mettere tutto a tacere solo nell'istante in cui, poggiata la testa sul petto del ragazzo, premeva l'orecchio contro il suo sterno per ascoltare il battito del suo cuore e lasciarsi cullare dalla melodia prodotta e dal profumo della sua pelle. 

Da quella posizione, scrutava con attenzione il profilo del ragazzo, ripercorrendolo con lo sguardo. 

Lo conosceva in ogni minimo dettaglio, ormai, ma osservarlo lo acquietava sempre. 
Per questo, amava farlo. 

Osservò le sue labbra carnose, le ciglia folte lunghe che sfioravano le guance pallide, l'aria stanca ma serena.   

Era come se i suoi occhi registrassero non solo l'immagine, ma anche l'animo di quel ragazzo che da mesi non faceva altro che dimostrare in ogni istante di quanto amore era capace, di quanta cura, quante attenzioni. 

E Simone sperava di meritarlo, quell'amore.

Di saperne coglierne ogni sfaccettatura, di esserne sempre all'altezza. 

In quell'istante, fermo ad osservare la pioggia leggera cadere lenta nella sua rassicurante monotonia, pensò a quante volte l'amore di Manuel gli era sembrato talmente grande per essere rivolto ad uno come lui, da finire sprecato. 

Gettò uno sguardo oltre i vetri per controllare stesse ancora dormendo.

Lo vide tastare il materasso del letto adiacente al suo, sollevare piano il capo e strizzare più volte gli occhi nella sua direzione, per mettere a fuoco la sua figura.

Si sentì richiamare pochi istanti dopo, con un mormorato « Amore.. » da parte di Manuel che, con ancora gli occhi semichiusi, aveva notato la sua mancanza sul letto. 

Rientrò più in fretta che poté, accompagnato da un soffio di vento gelido che entrò in stanza raggiungendo Manuel. 

Il maggiore si raggomitolò all'istante, tirando a sè le coperte per ripararsi. 

«Amore fa freddissimo» piagnucolò « Chiudi, ti prego»

«Scusami» tirò verso il basso la maniglia dell'infisso bianco per serrarlo, controllando che non entrassero ulteriori spifferi.
«Ecco, ho chiuso.»

Gattonò sul letto, attento a non caricare troppo il proprio peso per non disturbare il maggiore,  accoccolandosi vicino a lui. 
Si lasciò stringere dalle sue braccia, strisciando piano su di lui, fino a raggiungere le sue labbra a depositarvi un bacio veloce. 

«Ma che stavi facendo? mh?» 

«Non riuscivo a dormire, sono uscito fuori un attimo»

Le parole sembrano arrivare alle orecchie di Manuel con un attimo di ritardo, nonostante vengano soffiate da Simone direttamente sul collo di Manuel.

Il respiro caldo e le labbra lievemente screpolate che strisciavano sulla sua pelle gli provocarono un piacevole brivido.
Umettò le proprie labbra con la lingua prima di voltarsi a ricercare quelle dell'altro, catturarle in un bacio e mordere il labbro inferiore con leggera foga.

«Sai de buono pure appena sveglio.» 

Fece scorrere le mani lungo la schiena del più piccolo.

«Almeno te sei coperto.» constatò, una volta riconosciuto il tessuto della felpa, sotto le sue dita.
«Ma non hai dormito niente?»

«Ho dormito- diciamo poco.» rispose , con tono incerto.

Non voleva affidare a Manuel l'ennesima matassa di pensieri da sbrogliare.
Era consapevole del fatto che qualora avesse fatto anche solo un breve cenno a quel miscuglio di pensieri, Manuel se ne sarebbe preso carico senza pensarci due volte. 

Ricercando una soluzione, chiedendogli di parlarne, asciugando le sue lacrime. 

«Però sto bene.» tagliò corto.

Allungò un braccio a recuperare il cellulare poggiato sul comodino, accese lo schermo per controllare l'orario. 

Le sei e mezza.

Aggrottò le sopracciglia, senza volerlo aveva costretto Manuel ad un'immotivata levataccia.

«È ancora molto presto. Tu riposa, io vado giù a preparare la colazione e la porto qui in camera. Va bene?»

Manuel annuì. 
Con gli occhi ancora chiusi e la testa ben immersa sul cuscino, sciolse l'abbraccio, piegando un braccio e portando sugli occhi, l'altro lungo i fianchi. 

«Un tempo le facevo io 'ste cose» mormorò.

«Avrò imparato da te, allora»

«Guarda che se me vizi io però poi me abituo»

«Te vorrei viziare pure più de così, amore. Te lo assicuro»

Un malizioso ghigno si fece largo sulle labbra di Manuel.

Riassaporò le proprie labbra percorrendole con la lingua.

Sentiva ancora il sapore dell'altro, il suo profumo addosso. 

Sollevò appena il braccio per guardarlo uscire dalla stanza, seguendolo con lo sguardo fin dove consentito. 

Rimase come in apnea ad ascoltare i rumori di casa Balestra. 

Riuscì a sentire solo i tonfi nelle scale - diciotto per l'esattezza, tanti quanti erano i gradini da scendere per raggiungere il piano di sotto.

Sollevò il busto, facendo leva sui gomiti puntati sul materasso mentre i primi raggi di sole fecero capolino dietro le tende, illuminando la stanza. 

Si guardò intorno qualche istante, prima di alzarsi dal letto ed avvicinarsi alla scrivania dove Simone aveva già preparato i vestiti per entrambi. 

Non che apprezzasse particolarmente il suo stile, ma era una dei tanti capricci che gli concedeva, quello di scegliere per lui i vestiti, una volta ogni tanto. 

Per Manuel, quella mattina, aveva preparato un maglioncino nero, camicia bianca da mettere sotto e dei pantaloni neri. 

Per sé stesso, invece, un maglione blu, camicia bianca e un paio di jeans. 

Mh, quindi famo Pinco e Panco, stamattina. Proprio uguali uguali.

Sbuffò una risata portando una mano al volto, prima di prendere la piccola pila di vestiti.

Ah! Ha pensato a tutto.


Afferrò anche i boxer neri ben nascosti sotto i vestiti e raggiunse il bagno.
Svuotò la vescica e si concesse una rigenerante doccia calda. 
Accorciò di qualche millimetro la barba lasciata incolta, cospargendo la pelle dello stesso dopobarba di Simone. 

Adorava quel profumo.
Era il più buono mai sentito e mescolato con la pelle di Simone era ancora più buono. 

Tornò in stanza una volta pronto, nonostante avessero ancora un bel po' di tempo prima di dover scendere per andare a scuola. 

Simone era già lì in camera, il vassoio sistemato sulla scrivania. 

Gli occhi del più piccolo saettarono immediatamente su di lui,  le parole uscirono fuori incontrollate.

«Sei bellissimo oggi. »

«Dici che 'o stile Balestra me dona? »

«Molto. Ti dona molto! Sei- » un'ondata di calore si propagò dalle guance fino alla punta delle orecchie «- sei mozzafiato. »

« Che esagerato » soffiò, canzonandolo bonariamente. 

Si avvicinò a lui, prese il volto tra le mani per tirarlo a sé e baciarne le labbra e la punta del naso. 

«Nun sarò mai bello come te. Tu fai girà la testa a chiunque »

«Sì. Me guardano tutti perché sò diventato quello strano. »

«Embèè! A me me piacciono quelli strani»

«Quelli? Chi so sti "quelli"? »

«Mò te confesso una cosa. Te la dico all'orecchio perché è 'n segreto! »

Il più piccolo si chinò leggermente sulle ginocchia per annullare la discrepanza d'altezza. 
La mano del maggiore al lato del suo volto e le labbra vicinissime all'orecchio. 

 «A me piace Simone.» sussurrò Manuel «'O conosci? Uno alto, ricciolino, due occhioni grandi- »

«- Io c'ho proprio un debole per i suoi occhioni. 'O conosci?! »

Simone annuì divertito e imbarazzato. Le guance ancora si fecero ancora più rosse. 

«Potrei averlo visto, sì. »

«Vorrei poterje dire che lo amo. Dirglielo mentre- tipo, che so!- mentre semo in classe.

Dirglielo davanti a tutti! »

«E perché non glielo dici?»

«Perchè sò timido! Però io sò sicuro che lui lo sa, anche se non glielo dico in classe. Lui lo sa!»

Allontanò il volto dall'orecchio di Simone, corrucciando le labbra in una smorfia preoccupata, sotto lo sguardo furbesco del più piccolo. Tornò quindi a sussurrargli all'orecchio.

«Secondo te se n'è accorto?»

«Di cosa?»

«Che sò stracotto de lui.»

«Potrebbe averlo notato, sì. Dipende come lo guardi, potrebbe, sisì. »

Staccò le mani dal volto del più piccolo per portarle dinanzi alla propria bocca, con fare teatrale, come un bimbo consapevole d'aver combinato un guaio.
Sgranò gli occhi e scosse la testa prima di fare cenno con la mano a Simone di riabbassarsi.

«io me lo magno sempre con gli occhi! Ma secondo te ce l'ho 'na speranza con lui? »

«Sì. Non te lo potrei dire, forse, ma pure a lui piaci molto. »

«Te l'ha detto lui?!»

Simone annuì. Un sorrisetto malizioso delineato sulle labbra.

«Eh sì. Proprio lui. »

Si guardarono negli occhi per qualche istante prima di lasciare andare all'unisono una risata, mescolandole tra loro e lasciandole esplodere l'una nella bocca dell'altro. 

«Oggi un Balestra versione super maritino! Non solo i vestiti pronti, pure 'a colazione in camera!»

Si sfregò le mani, osservando il vassoio poggiato sul tavolo dove un paio di pancake ancora caldi, disposti in due piattini, li attendevano. 

Prese posto, versò ad entrambi del succo d'arancia e con coltello e forchetta tagliò in quattro parti uguali i pancake, prima quelli di Simone, poi i suoi. 

Non era più necessario che fosse lui ad occuparsene; gli esercizi riabilitativi che Simone riteneva stupidi e che tanto odiava fare, alla fine, avevano dato i loro frutti e gli strascichi del trauma cranico erano praticamente spariti. 

Riusciva perfettamente a maneggiare gli oggetti più piccoli, a mantenere le penne e scrivere, senza tremare. 

Tuttavia, non era inusuale che fosse Manuel a precederlo e ad evitargli piccoli gesti da compiere, come versarsi da bere o sbucciare la frutta. 

«Beh. Me faccio perdonare dell'orario in cui t'ho fatto svegliare »

«Me lo vuoi spiegà adesso il motivo di 'sta insonnia?» 

«Un paio di pensieri-» rispose vago, stringendosi nelle spalle «-non ti preoccupare» 

«Non me preoccupo però te vedo che stamattina sei un po' strano - un po' triste» 

Allungò una mano per accarezzargli il volto, lasciandola qualche istante a far da cuscino per il più piccolo

«Va tutto bene »

«Simò, non devi per forza esplodere prima de sfogatte, se c'è qualcosa che te fa stare male-»

«Manuel, sto bene. » lo interruppe il più piccolo.
Il tono risultò più brusco di quanto volesse. Si morse la lingua, per punirsi.
Si schiarì quindi la voce per ritrovare un tono più pacato.  «Sto bene,amore. Te lo giuro. »

Ripresero a far colazione nel piano silenzio, Simone ringraziò mentalmente Manuel più volte delle premure avute per lui.
Il pensiero di non meritare tutto quell'amore tornò prepotentemente a galla, stringendogli la gola.
Voleva scusarsi per il tono, scusarsi per non essere stato in grado di accogliere il suo amore, scusarsi per ogni cosa.

«Manu, io-»

«Amore, è tutto a posto. Scusami, non te volevo fà pressioni. M'ero solo un po'- »

«- preoccupato.» lo interruppe nuovamente Simone, terminando la sua frase e prendendo parola.

 «Lo capisco e- insomma- non c'è da preoccuparsi » concluse. 

«Non me devo preoccupà, va bene. » gli fece da eco l'altro. 
«Vieni qua. Te siedi un secondo in braccio a me?»

«in braccio? Guarda che peso »

« Seh, in braccio » si spostò in moda da offrirgli le ginocchia unite, sulle quali sedersi. « Dai »

Simone si mise in piedi un po' titubante, lo guardò ancora, indicando con un dito le sue gambe
«Lì?» 

«Si. Te siedi e mi abbracci?» 

Non replicò nemmeno, fece come ordinato.
Si sedette sulle sue ginocchia, i piedi ben puntati a terra. Un braccio intorno alla vita del maggiore. 

«E mò?»

«E mò niente, mò me sento più completo. »

Un sorriso si fece largo sulle labbra del più piccolo, era così bello potersi pensare così importante da rappresentare la perfetta metà mancante della persona che amava.

Come yin e lo yang. Come due parti che hanno senso solo se unite tra loro. 

Si beò del suo profumo, dei ricci ribelli che gli solleticavano il mento. Li spostò lievemente con un dito per poter baciare la sua fronte. 

Manuel prese ad accarezzargli la schiena, con un mano sulla sua nuca lo tirò lievemente a sé per poter ricambiare lo stesso bacio.
Appoggiò quindi le labbra sulla sua fronte, premendo lievemente.
A seguire, un bacio sulle labbra.
Infine, curvandosi un po' su sé stesso, uno sulla pancia. 

«Passa presto, amore. Passa tutto. »

Il più piccolo gettò entrambe le braccia intorno al suo collo  «Se tu sei con me, sì. »

 «Io sono sempre con te.» 

La voce calda e accogliente cullò il più piccolo che chiuse gli occhi per un istante. 

Una leggera pacca sul sedere lo riportò sul mondo reale.
«Vatti a sbrigà, dai. Ce semo svegliati prima der gallo e arrivamo in ritardo. »

Annuì rapidamente e si rimise in piedi. Afferrò i vestiti pronti e raggiunse il bagno per prepararsi. 


La mattina a scuola trascorse come tutte le altre.
L'avvicinarsi delle ultime verifiche, le interrogazioni fatte a tappeto e la voglia comune di spuntarla senza rimandature a settembre aveva unito la classe. 

Simone si ritrovò a sperare che anche la professoressa Girolami si unisse a quella sorta di cerimonia delle interrogazioni a sorpresa, così da tornare ad essere, agli occhi di tutti, solo Simone. 
Quello bravo in matematica, a cui si chiedono dei suggerimenti e, nei casi più disperati come Matteo, lo svolgimento completo di alcuni esercizi. 

Niente domande sulle cure effettuate, niente domande sulla notte dell'incidente, niente domande sul suo orientamento sessuale e soprattutto, niente domande sulla sua relazione con Manuel. 

L'unica speranza che si affiancava alla precedente era che i professori risparmiassero Manuel.
Aveva collezionato parecchi rimproveri, perché beccato a suggerire, nei modi più fantasiosi. 

Dal bisbiglio, ai numeri indicati con le dita, ai bigliettini con le risposte sventolati al primo momento di distrazione del docente.

Si era perfino fatto buttare fuori, da Lombardi che, esasperato dal suo suggerire- non che ci volesse molto per esasperare uno come Lombardi- aveva sbraitato un «Balestra, fuori!» che non aveva mai sentito pronunciare, in tutti gli anni trascorsi a scuola. 

Per Simone, ne era valsa la pena.
Alla sua nota sul registro di classe,infatti, era seguito un bel sette sul registro di Lombardi per l'alunno Ferro.

 «Simò, ho preso il primo sette della mia vita co Lombardi! Te rendi conto?!» gli aveva detto Manuel, visibilmente euforico, una volta rientrato in aula.

La sua felicità la sentiva scorrere sotto la propria pelle. Era così bello, vederlo felice. 
Gli riempiva il cuore di una gioia primordiale. 


Trascorse le sei ore e atteso Dante che li raggiungesse per tornare a casa con Simone, i due si salutarono, dinanzi al grande portone della scuola.

 «Professò, me raccomando. Me lo tratti bene! »  esclamò Manuel, una volta raggiunto il posto in cui aveva lasciato la moto.
 Agganciato il suo zaino al motore e riconsegnato a Dante quello di Simone,  salì in sella alla vespa. 

 «Te lo riconsegno stasera come nuovo! » 

 «Seh seh. Faccia poco lo spiritoso che me ne accorgo se lo trovo ammaccato! » 

 «Te piuttosto allacciati il casco, non far disperare tua madre e studia.»

«Sto andando a lavorà. Me lo dice come faccio a studià?»

«Eh, quando c'hai tempo.»

«Eh. Se ce l'ho, 'sto tempo! » rispose in tono sarcastico prima di dar gas alla moto, facendo rombare il moto.
Allacciò il casco, scrutando il gancio di quello di Simone per accertarsi fosse riuscito a chiuderlo. 
Si tranquillizzò nel vedere che era già legato nel modo corretto.

Spinse quindi in avanti la moto, lasciando chiudere il cavalletto. 

 «Ci vediamo più tardi! Ciao amore! » 

Diede nuovamente gas e partì.


Alla sera, sistemato l'ultimo catorcio da riconsegnare al legittimo proprietario e chiuse le grandi porte metalliche del garage, Manuel salì in casa per salutare Anita.

Il piano era ben preciso nella sua mente: entrare - salutare - uscire. 

 « A mà! Io mò vado, ho finito tutto. Te lascio le chiavi del garage qua e- » 

 «Ma dove vai? Dove vai!? Così de fretta, Manuel, me fai prende 'n infarto! Ma che te sei 'mpazzito?» 

Piano in pericolo.

 «A mà. Famo 'a stessa cosa tutti i giorni! Te lascio le chiavi, te saluto e torno a casa.» 

 «Ho capito che famo sempre 'e stesse cose ma salutami come se deve. Sò sempre tu madre.» 

Gettate alla rinfusa le chiavi e lo zaino per terra, si avvicinò a baciarla sulla guancia. 

«Mò posso andà?»

«Come sta Simone?»

Piano fallito. 

Allargò le braccia per poi lasciarle ricadere lungo i fianchi, con aria sconfitta.

Sapeva bene che una volta iniziato l'argomento Simone, la conversazione non sarebbe durata meno di mezz'ora. 

«Simone sta bene.» 

Trascinò i piedi mestamente fino alla cucina, dove sfilò una sedia da sotto il tavolo, prima di abbandonarvici sopra. 

«Che ti offro? T'avevo comprato lo yogurt da bere che te piace tanto!» 

«No mà, sto a posto. Simone sta bene, stamattina era un po' triste ma spero ora stia meglio.»

«Perchè triste?»  chiese la donna, con l'aria preoccupata di una mamma. 

«Non me l'ha voluto dire, ma era strano. Credo sia per colpa de quelle cazzo de foto che su padre ha appeso-» la voce si spesso in un lamento vagamente esasperato «-con tutto il rispetto mà, ma voi adulti c'avete il tatto de 'na mandria de rinoceronti.» 

«Simone te da l'aria de esse uno tutto serio, no? un perfettone!

Ma è l'essere più fragile che conosca! C'ha così  tanta sofferenza addosso, che ha avuto - non so come - la forza de nasconne da qualche parte dentro lui e ogni volta che decide di mostrarmene un po'... de mostramme le ferite.. io vorrei solo avere la giusta cura per lenirle, per fargliele passà»

Anita rimase ad ascoltare le sue parole, gli occhi lucidi nel vedere il figlio- da sempre descritto come un mostro senza sentimenti- travolto da quell'amore così totalizzante da portarlo a pensare quelle cose. 

«Me le inciderei addosso io, se servisse a levarle a lui. » 

«Lo ami proprio tanto, eh, Manuel?»

«Sì.»

«Quasi me commuovo sai? Non ti ho mai visto così.»

«Me sento così vuoto quando non è con me. Come se me mancasse un arto- non lo so- come se m'avessero strappato via un pezzo.»

Osservò la madre annuire alle sue parole, pensò che stesse capendo esattamente come si sentiva. 

Del resto- si ripeté - dicono che le madri capiscono sempre come se sentono i figli, no?

«Se mai dovessi ingranà con l'officina mà, me potrei affittà 'na casa! 'Na casa per me e Simone.»

«Non è un po' presto per pensare a un affitto, Manuel? Prima pensa all'università »

«Se c'ho i soldi pe affittà 'na casa, a laurea m'a compro sul serio! Altroché!» gracchiò una risata che coinvolse anche Anita. 

«E comunque mò torno a casa. Da Simone! » 

Scattò in piedi, fece rapidamente il giro del tavolo e si chinò a lasciare un bacio tra i capelli di Anita. Sgattaiolò rapidamente fino all'ingresso dove raccolse lo zaino per rimetterselo in spalla, le chiavi del motorino e riallacciò il casco. 

«Io vado! »

Fece per aprire la porta d'ingresso, con una semi piroetta su sé stesso, si voltò indietro verso le camere. 

«Anzi, mà! me fai 'na cortesia prima? »

«Certo! Che te serve? »

«Ho il cellulare mezzo scarico! Je puoi mannà 'n messaggio a Simone? »

«Certo, aspetta che recupero il mio cellulare! Che gli scrivo? »

«Che l'amore suo sta per arrivà! Che je vuoi scrive? »

Seguì con lo sguardo Anita che scattava da una stanza all'altra alla ricerca della borsa dove, con netta probabilità, aveva lasciato il cellulare.

« Me raccomando, non gli dire che ho il cellulare scarico, nemmeno se te lo chiede, che se preoccupa e non me va de farlo preoccupà. Digli solo che sto arrivando! »

«Va bene, va bene. Tu però allacciati bene il casco e non correre!»

«Non corro! Ciao mà!»

Sfrecciò giù per le scale che costeggiavano la sua vecchia casa, salì in sella alla moto e diede gas per tornare da Simone. 

Le strade di Roma, complice anche il freddo che si era abbattuto in quella giornata, si era già svuotate. 
Impiegò meno di dieci minuti per arrivare a casa. 

Bussò rapidamente alla porta bianca che si aprì rapidamente, svelando un Dante ancora immerso in una delle sue letture pomeridiane. 

«Manuel, ma non t'ho dato le chiavi una cosa come quattro mesi fa?
Ma perché non te le porti dietro?»

«Perchè tanto ce sta lei ad aprì, professò! » rispose rapido il ragazzo, gettando zaino e casco in un angolo accanto alla porta. 

«Simone?»

«In camera, spero stia studia- » non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase, prima di vedere Manuel scattare sù per le scale come un corridore dopo lo sparo iniziale. 

Entrò in stanza lasciando sbattere la porta, aperta con foga. 

Trovò Simone, chino sulla scrivania. Il cellulare tra le mani, intento a digitare qualcosa sul piccolo tastierino comparso sul display. 

«Amore! Sò a casa! »
Raggiunse in fretta la scrivania, sfilando dalla mani di Simone il cellulare.
Prese tra le mani il volto del minore per baciarlo, stando attendo a non sfiorarlo con i polpastrelli ancora neri di grasso. 

Si staccò qualche istante dopo, osservando il suo volto per accertarsi stesse bene. 

«Amore, ciao. M'ha scritto tua madre, poco fa. Le stavo giusto rispondendo »

«Si si, dille che sono arrivato, che sò vivo così se tranquillizza e poi 'a saluti che te devo dì 'na cosa importante.»

Si spostò rapidamente in bagno dove si spogliò della tuta da lavoro, lavò via le macchie nere dalle braccia e dalla mani e, con solo i boxer addosso, fece ritorno in stanza. 

«Ce stanno i tuoi vestiti nello zaino. Comunque poi ce pensamo! Vieni qua.» prese per le mani il più piccolo che si lasciò trascinare verso di lui, si abbracciarono e si baciarono con foga,  muovendosi goffamente sincronizzati fino a ricadere sul letto.

«Mi sei mancato-» mormorò mentre le labbra saettavano lungo il volto del minore. 
Un bacio sulle labbra, sugli zigomi, una scia di baci fino alle orecchie «-tantissimo.»

Le mani strinsero i suoi fianchi, per stringerlo e per ricercare i lembi del maglione e della camicia. Le dita li afferrarono celermente, tirandoli verso l'alto fino a scoprire il petto del più piccolo. 

Si chinò a baciare e leccare ogni angolo della sua pelle, strisciando con il suo corpo sopra quell'altro. 

Tornò a ricercare le sue labbra, picchettandovi lievemente sopra in una danza scomposta di rapidi baci.
Si avvicinò al suo orecchio, una mano a coprirsi il viso per l'ultima confessione all'orecchio.

«Voglio fare l'amore con te.»

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