A casa, insieme.
«Manuel! Allora?! Fai strada con me? Se te stai chiedendo ancora che ora è te lo dico io: è tardi!» la voce di Dante giunse alle orecchie dei due ragazzi che erano seduti alla scrivania di Simone, intenti a fare colazione.
«Simone, glielo vuoi dire anche tu che deve sbrigarsi?!»
Il professore spuntò alla porta della camera, bussando vigorosamente alla porta, prima di entrare.
«Sì. Manuel, avanti dai. » fece Simone.
«Ma non sta a fà manco due gocce de pioggia!» sbuffò il maggiore, allargando le braccia in segno di esasperazione
«Non me succede niente se prendo 'a moto mia!»
«Succede che dovesse iniziare a piovere con la moto ti bagni tutto, poi ti viene pure la febbre e gliela passi a Simone.» lo incalzò subito il professore.
Fece un attimo di pausa mentre Manuel era visibilmente immerso nei suoi pensieri.
«E non pensare sia una buona idea come la scusa per non studiare, Manuel.
A scuola, ti interroghiamo lo stesso. Sia chiaro.»
«Professò e da quando lei legge nel pensiero?» chiese sfacciatamente il riccio.
«Da quando so quanto tu sia prevedibile!Ti aspetto giù tra due minuti.
Simone, mi raccomando. Se hai bisogno, chiama. Il mio numero lo sai.»
«Seh. Tanto non je risponde.»
«Per questo ci sei tu, Manuel! Giù tra due minuti! » ripeté il professore, salutando ancora una volta il figlio e avviandosi rapidamente verso le scale.
Simone guardava divertito quello scambio di battute tra i due.
Suo padre e Manuel, in fondo, erano anche vagamente simili.
E a lui faceva piacere che avesse instaurato questo buon rapporto, necessario, tra l'altro, affinché Manuel continuasse a vivere con loro.
«So che è brutto ma dovresti andare.» mormorò Simone.
La vocina triste di chi sapeva che avrebbe passato sei ore completamente da solo, in balia dei suoi pensieri.
«Si.Giuro che sto andando.» rispose l'altro, buttando giù un ultimo sorso di caffè.
Controvoglia, si alzò dal tavolo e recuperò dall'armadio la sua giacca verde militare e una felpa grigia.
«Simò, viè qua. Ti aiuto a metterla»
«Ma non sento freddo»
«E che vale solo per me il fatto de non prende freddo? Viè qua, t'ho detto.»
Simone si arrese presto, girandosi un po' sulla sedia per finire con il busto rivolto verso l'altro ragazzo. Ormai era abituato al doversi rassegnare in fretta.
Manuel afferrò la maglia del pigiama e la tirò lentamente su.
«Alza 'n po' le braccia»
Il più piccolo eseguì.
Manuel gli sfilò finalmente la maglietta. Vide Simone sussultare leggermente per il freddo ed istintivamente portò subito la maglietta sulle sue spalle, a coprirlo.
Recuperò la felpa e lo aiutò ad indossarla.
Era diventato piuttosto bravo ad aiutarlo, avevano trovato la loro sequenza di azioni per essere coordinati.
Prima infilava la testa, poi arrotolava una manica della felpa, allargandola un po', inseriva la sua mano e recuperava quella di Simone, accompagnandola piano lungo il tessuto.
Faceva la stessa cosa anche con l'altra manica e poi srotolava bene il resto della maglia, sistemandola lungo il busto.
«Ecco qua. Va meglio, no? Così non senti freddo.»
Simone annuì e poi gli sorrise, come per ringraziarlo.
«Lasciale qui 'ste cose, Simò.» indicando con il dito il vassoio e le tazze della colazione appena consumata.
«Ci penso io quando arrivo. Te pensa a fà gli esercizi che ti ha detto de fà er coso»
«Il fisioterapista. »
«Seh. Lui.»
Si avvicinò al più piccolo scompigliandogli un po' i capelli con una carezza e posando un bacio tra i ricci.
Un colpo di clacson, suonato da Dante, lo riportò all'attenzione. Doveva sbrigarsi.
Andò verso la porta e si girò, ancora una volta, a guardare Simone.
«Torno presto, eh.- E nun me guardà co' sti occhioni, te prego, che sennò me resto a casa.»
Simone non si era nemmeno reso conto del fatto che lo stesse guardando, evidentemente, con occhi imploranti.
Si ricompose subito e «No, vai.», con il tono più deciso che riuscisse ad avere.
«Tanto..me trovi qua, no?» - incurvò leggermente le labbra in un sorriso stretto e un po' isterico- «A più tardi.» aggiunse, schiarendosi la voce e accompagnando il saluto ad un cenno lieve con la mano.
Manuel uscì dalla stanza, raggiunse le scale, si voltò e rapidamente tornò in camera di Simone.
«Giuro, è l'ultimo.» scattò verso Simone, che era ancora seduto intento a spalmare lentamente un po' di Nutella su di una fetta biscottata, e gli lasciò un bacio velocissimo sulla guancia.
Simone fu colto di sorpresa da quell'ennesima dimostrazione di affetto e un sorriso luminoso gli apparve in volto.
Non ebbe nemmeno il tempo di metabolizzare che vide Manuel uscire di corsa dalla stanza.
Il maggiore scese le scale così velocemente che Simone sentì subito il rumore della porta d'ingresso venir chiusa.
Si girò a guardare fuori dalla finestra e lo vide raggiungere l'auto di suo padre, con le braccia alzate in segno di resa.
Sbuffò una risata, già lo immaginava tutto imbronciato, sul sedile passeggero, costretto a sorbirsi una ramanzina durante tutto il tragitto per l'aver fatto tardi e sperò arrivassero presto a scuola.
Purtroppo per Manuel, la speranza di Simone risultò vana, del resto, si trattava sempre di Roma.
Manuel era chiuso in auto con Dante, imbottigliati come non mai, nel traffico.
«Vedi perché ti avevo detto di sbrigarti?»
«Professò me scusi, Simone aveva bisogno di una mano!» si scusò mentalmente con Simone per quante volte lo aveva usato per giustificarsi delle proprie mancanze.
«Vabè. Vorrà dire che tu entri a seconda ora, con me.»
«E ti prego, Manuel.» continuò Dante.
«Qualsiasi cosa dica il professore Lombardi, tu- non- devi-rispondere. Lascia parlare me! Tu fila in classe e stai- zitto. » scandendo bene ogni parola per far sì venisse ben recepita.
Manuel annì, sconfitto.
Negli ultimi tempi, i rimproveri del professor Lombardi si erano fatte sempre più taglienti e lui trovava molte difficoltà nel mantenere la calma
Fece un sospirò e «va bene professò, ricevuto.»
« Oh! Bene, bravo! »
«A proposito. Ti ho preparato dei riassunti.» proseguì Dante, indicando una busta poggiata sopra il cruscotto dell'auto.
«Li trovi in quella busta. Leggili. Subito. Appena arriviamo in classe ti interrogo su quelli»
Manuel si allungò a recuperarli, erano dieci fogli con un riassunto su Nietzsche.
Scritti fronte e retro.
«Professò ma sò venti pagine e manca mezzora! Va bene che me piace la filosofia ma non sò diventato tutto 'sto esperto»
«Vorrà dire che devi darti 'na smossa!»
Manuel restò a guardarlo per un secondo, sperava scherzasse ma intuito che quello era tutto fuorché uno scherzo, prese a leggere velocemente a leggere i fogli, per memorizzare quante più informazioni possibili.
Arrivarono poco dopo a scuola. Dante si precipitò in aula docenti a recuperare il suo registro, Manuel si avvicinò alla classe, in attesa del cambio dell'ora.
Dante lo trovò poco dopo, seduto sulle scale con ancora i fogli sulle ginocchia, intento a leggere.
Si mise a sedere accanto a lui.
«Pagina tre e cinque.»
«Che?»
«Ti chiedo gli argomenti di pagina tre e di pagina cinque.»
Manuel prese i due fogli numerati rispettivamente tre e cinque, sventolandoli per un attimo davanti lo sguardo quasi divertito del docente.
«Questi due? Ao professò, non faccia scherzi, la prego. Già c'ho Lombardi che me boccia sicuro.»
Dante sbuffò una risata.
«Pagina tre e cinque.»
In quel preciso istante suonò la campanella ed entrambi scattarono in piedi e si avviarono in classe.
Come preannunciato, Dante interrogò Manuel.
Poche domande a cui ragazzo seppe rispondere prontamente, strappando un bel nove, tra lo stupore di tutti.
Manuel tornò al posto, bisbigliando un "grazie" al professore.
Tirò fuori il cellulare dalla tasca del giubbotto e avvisò subito Simone, con un messaggio.
Lo immaginava leggere il messaggio e rispondergli, sorridendo come solo lui sapeva fare quando era tutto fiero di lui.
Ed effettivamente la scena a casa era andata esattamente come Manuel la stava immaginando.
Simone se ne stava seduto sul letto, quando aveva sentito squillare il suo cellulare.
L'aveva recuperato dal comodino sul quale era poggiato e aveva trovato la notifica del messaggio appena arrivato.
Era Manuel.
"Simò! 9 in filosofia!"
Subito dopo, un altro "Tu tutto bene?"
Aveva risposto brevemente con un "Grande! Si, tutto ok." con un sorriso stampato in volto.
Per quanto non lo ammettesse apertamente, era davvero orgoglioso dei progressi di Manuel.
L'impegno stava dando, poco a poco, i suoi frutti e Simone l'aveva visto prendersi un bel po' di soddisfazioni.
E lui non poteva esserne più felice.
Così da felice da percepire ogni suo successo, anche come proprio.
Giocherellò con il telefono ancora qualche secondo, prima di metterlo nella tasca della felpa.
Un altro messaggio richiamò la sua attenzione.
Era di nuovo Manuel.
"Li stai a fà gli esercizi?"
Roteò leggermente gli occhi, sapeva bene che avrebbe dovuto farli, quei dannati noiosissimi esercizi riabilitativi suggeriti dal fisioterapista, durante la prima visita.
Ma detestava farli.
Evitò quindi di rispondere al messaggio di Manuel e rimise in tasca il telefono.
Si mise lentamente in piedi per recuperare dalla scrivania un barattolino di plastica trasparente pieno di graffette colorate, si mise a sedere e svuotò il barattolino sulla superficie.
Iniziò ad afferrare una ad una le graffette e a rimetterle dentro il barattolo.
Non poteva fare a meno di chiedersi come quella cosa avrebbe potuto aiutarlo, ma sapeva bene di non saper mentire. Non a Manuel.
Non voleva nemmeno farlo.
Per cui, per evitare ramanzine, si era messo lì a fare quanto suggerito.
Maledì sé stesso ogni volta che, senza volerlo, non controllando bene i suoi movimenti, rovesciava il barattolino e doveva ricominciare tutto daccapo.
Ripeté il tutto venti volte. Si stupì nel sentire dolore alle mani.
Tirò fuori dalla tasca il cellulare.
Aprì la chat con Manuel.
"Si Manu, li ho fatti."
Erano le 14 passate quando Simone sentì la porta d'ingresso aprirsi.
Manuel e Dante erano finalmente rientrati.
«Guarda che se la sbatti leggermente più piano si chiude lo stesso, Manuel, eh!»
«Me scusi, professò.»
Si liberò velocemente dello zaino, buttandolo a terra e della giacca che subì la stessa sorte.
«No Manuel, tu ora prendi tutto e -»
«Sisi, mò scendo e faccio tutto. Vado sù da Simone» non aveva nemmeno finito di dire la frase che si era già precipitato sù per le scale ed era entrato in stanza.
Fiondandosi sul più piccolo e abbracciandolo forte.
Simone fu letteralmente travolto da quell'abbraccio. Aveva quasi perso quell'equilibrio precario che lo teneva in piedi, poggiandosi con le mani alla scrivania dietro di lui per non cadere.
Si morse le labbra in una smorfia di dolore per la stretta quasi eccessiva.
Dolore che scomparve subito, quando Manuel affondò il viso nell'incavo del suo collo, sul quale posò un piccolo bacio, si accoccolò a lui con una guancia sulla sua spalla e sospirò piano.
«Manuel, cos'è succ-»
«Shhh.. non è successo niente. È successo solo che oggi me sei mancato tanto, Simò.»
«Tanto tanto.» aggiunse, bisbigliando appena.
Il cuore di Simone aveva già fatto mille piroette, i battiti si erano fatti incredibilmente più veloci.
Cercò di ricomporsi e ricambiò con il braccio buono l'abbraccio.
Restarono qualche istante così, incollati l'uno all'altro, stretti in quell'abbraccio che li completava.
Fu Manuel il primo a staccarsi.
Era visibilmente imbarazzato, rosso in viso. Gli occhi un po' lucidi. Le labbra schiuse.
Si schiarì leggermente la voce.
«Come ti senti?»
«Bene. Io sto - bene.»
Manuel notò quanto il più piccolo, una volta staccatosi da lui, fosse instabile.
Lo prese quindi per mano e lo portò a sedersi sul letto.
Gli si piazzò davanti, accovacciandosi e poggiando le mani sulle sua ginocchia.
«Sei un po' pallido, però. Sei sicuro che stai bene, si? Non è che hai la febbre?» gli accarezzò lievemente la guancia e portò una mano sulla sua fronte.
«Chissà come fa mi madre a capire quando uno c'ha la febbre.» guardò il più piccolo con un'espressione buffa ed interrogativa.
«I super poteri delle mamme.»
«T'o giuro che non l'ho mai capito. Viè qua. » Lo avvicinò a sè e poggiò le labbra sulla fronte.
«Manuel, sto bene.»
Il più grande lo guardò di nuovo, un sopracciglio alzato.
«Sicuro? Guarda che non ce stiamo niente a prende un termometro per controllà.»
«Te lo giuro, Manu, sto bene.»
Nella sua voce c'era una nota di esasperazione che Manuel notò subito.
Tutto voleva tranne far sentire Simone soffocato dalle sue attenzioni.
Rimproverava sempre a se stesso di non conoscere vie di mezzo.
E probabilmente, anche in quel caso, nel voler prendersi cura di Simone, stava esagerando.
«Scusami.»
«Me sò fatto prendere un po' la mano dall'entusiasmo de essè crocerossino» cercò di stemperare quel momento di tensione.
Funzionò.
Simone sbottò a ridere e quello era per lui il suono più bello del mondo.
Si sollevò un po' per lasciare un bacio tra i ricci di Simone, poi si rimise giù, lo strinse a sè e lasciò prima un bacio sulla pancia, poi sulle dita della mano.
Simone accennò una risata. Non aveva mai osato chiedere il perché di quei baci sulla pancia, sapeva solo che ormai erano quotidiani e che gli facevano anche un po' solletico.
Restò ad osservare Manuel che, ancora chino, sollevò lo sguardo. Puntando gli occhi nei suoi.
«La prima cosa che hai detto quando te sei svegliato è stata che te faceva male la pancia.
Me sei sembrato un bambino indifeso, eri proprio- minuscolo.
Agli occhi miei a poco ce scomparivi, su quel letto.
M'hai guardato e m'hai detto "Manuel, mi fa male la pancia". »
Fece una piccola pausa, poi riprese a raccontare.
«Non sapevo che fare per farti star meglio, allora me sò inventato 'sta storia dei baci che fanno passare tutto.»
Il più piccolo sorrise di nuovo. C'era un'infinita dolcezza nelle parole di Manuel e lui si sentiva davvero fortunato ad esserne il destinatario.
Si stupiva del fatto che Manuel ricordasse dettagli che lui aveva completamente rimosso.
Non che lui fosse stato particolarmente in sè, durante quei giorni passati in ospedale.
Ricordava poco e niente.
Ma in quel poco che ricordava, Manuel c'era.
Manuel c'era sempre.
Si incupì un attimo nel pensare quanto Manuel rimasto terrorizzato dalla situazione, per aver ancora quelle scene così nitide nella sua memoria, dopo mesi.
I sensi di colpa bussarono ancora una volta alla sua coscienza, era stato lui a creargli quel trauma.
Con la punta delle dita un po' tremanti sollevò piano il volto del maggiore, per incrociare i suoi occhi, velati dalle lacrime.
Si chinò a posare un bacio sulla sua spalla.
«Grazie per tutto quello che fai per me, Manu.» gli sussurrò all'orecchio.
Manuel scosse il capo.
«No. Tu non me devi ringrazià, Simò, mai.»
«E comunque- il peggio è passato, no?» si ricompose rapidamente e guardò Simone con un sorriso rassicurante.
«L'importante è che tu sei qua, Simò. Che semo qua. A casa, insieme.»
Posò un altro bacio sulla pancia « e vedrai che passa tutto presto.»
Gli diede un lieve colpetto sulle gambe e si rimise in piedi, allargando in aria le braccia per stiracchiandosi un po'.
«Scendo 'ste cose della colazione in cucina, prima che tu padre prima me mena- e poi me caccia de casa. »
«E c'avrebbe pure ragione, a cacciamme.» aggiunse, sbuffando una risata.
«Credo si sia pentito d'aver deciso de famme vive qui solo per il fatto che 'sta casa era super in ordine prima che entrassi io a fà er delirio. Prima o poi, do 'na sistemata, giuro.» si portò una mano sul cuore, come segno di promessa solenne.
Simone era ancora seduto sul letto ad osservarlo con un piccolo sorriso stampato sulle labbra.
«Era solo molto vuota. » lo rassicurò
«Eh. Mò è vissuta. »
Si avvicinò quindi alla scrivania, recuperò il vassoio e uscì dalla stanza per portare tutto in cucina, al piano di sotto.
Simone lo seguì con lo sguardo.
Poi chiuse gli occhi, aveva ancora il suo profumo addosso.
Poteva sentire la pressione di quell'abbraccio che l'aveva travolto.
Sentiva le sue carezze, i suoi baci leggeri.
Si lascio andare sul letto e portò le mani sopra il volto.
Dio, come l'amava.
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