Capitolo quattro

Alla fine, Patroclo andò con Ettore.
La scelta era stata abbastanza facile: da un lato, la coppietta felice di cervelloni, dall'altra il suo ex che doveva già andare in quella direzione.

<Sicuro che posso venire con te? Non disturbo?> chiese di nuovo ad Ettore.
<Per la cinquantesima volta, no. Sali. Ti offro un caffè mentre di disperi per il biondo> ironizzò l'altro.
<Sei uno... uno... uff, lo sai che non scelgo di chi innamorarmi> Patroclo si allacciò la cintura e chiuse lo sportello.
<Si, lo so. Per questo al posto di darti dell'idiota ti offro il caffè, no?>
<Ovvio. Mai visto ragionamento tanto geniale> ironizzò.
<Si, beh> Ettore si passò una mano tra i capelli. Lo stava guardando in modo troppo preoccupato.

Era sempre preoccupato per Patroclo; aveva sempre paura che qualcuno ripetesse il suo errore. Non che provasse qualcosa per lui in quel senso: soltanto, aveva realizzato di essere stato un idiota. E poi aveva capito che tutti gli amici di Patroclo soffrivano di un grave caso di cecità: il castano passava le giornate a sorridere soltanto pronunciando il nome di Achille. C'era bisogno di un cartello luminoso o cosa?

<Fammi un favore> disse a Patroclo. <Chiama un momento Andromaca e dille che arrivo un po' tardi. Almeno non si preoccupa.>
Fosse stato un altro, tipo Paride, si sarebbe dovuto sorbire un "E perché non la chiami tu?"
Invece era Patroclo, che sapeva quanto Ettore fosse fissato con le regole della strada.
<Subito> rispose, cercando il numero in rubrica.
Andromaca rispose e i due si misero a parlare.

Ettore svoltò a sinistra e di nuovo a sinistra, cercando di non sbagliare strada. Gli arrivò un messaggio, ma lo ignorò.
A volte la vita era proprio incasinata. Senza Andromaca sarebbe già andato fuori di testa. Era stato così felice quando lei aveva accettato di sposarlo.
Mancava così poco ai loro diciotto anni, poi, finalmente, sarebbero potuti andare a convivere, sposarsi, avere qualche bambino e...

<MA PORCA PALETTA!>

Patroclo si prese un colpo, mentre una brusca frenata lo faceva rimbalzare in avanti. <Santa cintura!>

<Che succede?> chiese la voce allarmata di Andromaca dall'altro lato del telefono. <Patroclo? ETTORE?>

<Mi ha tagliato la strada!> urlò il ragazzo al volante. <Patroclo, hai visto?>

<No, ero distratto. Stai bene?> chiese.
<Si si, non mi sono fatto niente. È stato solo uno spavento> Ettore riprese lentamente fiato. Una macchina rosso fuoco, apparentemente molto costosa, aveva fatto una strana curva, schiandosi contro un albero. Due persone erano uscite, apparentemente illese.

Poi una delle due, la più bassa, si era accasciata sull'erba.

Patroclo lanciò uno sguardo ad Ettore, e insieme si precipitarono fuori dall'auto, verso i due maldestri automobilisti.

<Tranquilli, sono un medico> disse quello che non era sdraiato a terra.
<No, sei un cretino!> gli urlò contro Ettore. <Per poco non mi prendevi!>
<Senti, amico, mi dispiace, ma-
<Non siamo amici> replicò Ettore.

<Apollo, tappati quella bocca e dammi una mano> il ragazzo a terra si massaggiava le tempie. Patroclo gli tese la mano. <Però non ti mettere in piedi. Potresti avere una commozione celebrare>.
<Grazie... emh...?>
<Sono Patroclo. Non sforzarti. Ti ricordi il tuo nome? Quante dita vedi?>

<Senti, qui il medico sono io> si intromise Apollo. Poi, all'altro ragazzo: <E tu ti ricordi il tuo nome, giusto?>
L'altro sospirò: <Non sei un medico, sei al massimo uno studente di medicina. Ed è ovvio che mi ricordo il mio nome!>
Apollo si imbronciò. Il ragazzo fece per alzarsi, ma Patroclo e l'aspirante medico lo bloccarono all'istante.

<Guarda che dicevo sul serio. Dovresti andare in ospedale.>
<Senti... Patroclo, no? Sto bene, voglio solo andare a casa, uccidere il mio ragazzo e poi dormire. Non per forza in quest'ordine> il ragazzo sembrava furioso.

<Eddai, Giac> intervenne Apollo. <Non fare il tragico!>

<CI HAI FATTI SCHIANTARE> urlò l'altro.

<Siamo vivi, no? Quindi tutto okay.>

<Sei così... così... ahhhhhhh> Giac, o quello che era, si massaggiò le tempie.

<Davvero, dovreste andare in ospedale> riprovò Patroclo.
Ettore iniziava a sentirsi una specie di palo.

<Non ci voglio andare> fece Giac.
<E perché?>
<Senti, signor automobilista casuale, mia madre è medico e io non la sopporto. E mio padre è primario all'ospedale. Si preoccuperebbero senza ragione> spiegò il ragazzo.
<E poi mi odiano> fece presente Apollo.

<Senti,> decise di intervenire Ettore. <lasciarti qui è omissione di soccorso. Ti accompagno, anzi, accompagno entrambi all'altro ospedale, quello fuori città. Va bene?>

Patroclo sospirò: <Grazie agli dei. Si, andiamo lì>.

Apollo scambiò un paio di sguardi con il suo ragazzo: <E io e Giac come lo sappiamo che non siete degli psicopatici?>

Giac sospirò: <Amore, sei tu che gli hai tagliato la strada. Credo che gli psicopatici, qui, siamo noi>.

Ettore rise, forse più per nervosismo che per vero divertimento: <Okay, in macchina. E, Patroclo?>

<Si?>

<Richiama Andromaca. Sarà disperata, ormai.>

×Angolo Autrice×

Non ho resistito e ho messo la Giacinto×Apollo. Ho pensato sul serio di far morire Giac qui ma no, mi sembrava troppo.
Imparate da Ettore, l'omissione di soccorso è reato ;)

×Helen×××L.×

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