Capitolo 1

Il ragazzo correva a più non posso, oltrepassando persone su persone, spingendosi tra uomini e donne che camminavano ammassati, lenti e tranquilli, guardando i cellulari o ciò che avevano attorno senza un minimo di preoccupazione, tutto l'opposto rispetto a lui.

Il giovane infatti era visibilmente agitato, più di quanto non fosse mai stato... E constatando quante volte quella emozione aveva preso il possesso sulla sua mente, era dire veramente tanto.

Perciò, in quel panico totale che lo avvolgeva e lo stritolava tra le sue soffocanti spire, non poteva non avanzare con tutto sé stesso, ignorando le sue gambe che parevano quasi urlargli contro sotto il duro sforzo a cui le poneva, il suo sguardo che guizzava a destra e manca nella speranza di vedere delle chiazze di sabbia o di sporgenza rocciosa, mentre la sua pelle pallida veniva percorsa da gocce di sudore.

Il suo bagaglio, una borsa a tracolla verde dalla forma cilindrica e dall'aspetto tale che pareva fosse sul punto di esplodere per quanto era piena - dimostrato parzialmente dalla frazione di camicia che sbucava fuori dalla cerniera - , sballonzolava lungo il suo fianco ripetutamente, cosí tanto che chiunque avrebbe potuto perdere la calma, ma anche essa veniva facilmente lasciata perdere.

Era troppo assorto, troppo spaventato ed insicuro a riguardo del suo arrivo per farsi giocare e controllare dai dettagli.

Sí, era stramaledettamente in ritardo e lo sapeva alla perfezione, era un concetto che non si scostava neppure di un centimetro dalla sua mente.

Lo sapeva cosí bene che il suo pensiero non faceva altro che contare il procedere dei minuti di totale e plateale distacco tra l'orario di partenza e quello che invece avanzava in quel momento, quindi sì, ne era davvero a conoscenza, sul serio... E se avesse potuto, poiché aveva saputo l'orario dannatamente bene anche in precedenza, avrebbe voluto essere puntuale come un orologio svizzero, ma...

Diciamocelo.

Passare da una città Americana a quella di Copenaghen, scoprendolo quando mancavano solo quaranta ore... Aggiungendo perlopiù il traffico di trasporti e i problemi vari, ovvie sfighe che il mondo era deciso puntualmente a gettargli addosso, bhe.

Era già tanto che vi era arrivato, a Copenaghen... Essere precisi precisi, nella mezz'ora richiesta... Non era stata una sua opzione accessibile - come molte, troppe cose, d'altronde - e quindi era lì, a quel punto.

A quel preciso istante, con il cuore che sembrava addirittura morirgli nella cassa toracica, sbattendo in maniera incontrollata... Con i ticchettii ed il suo non riuscire a respirare.

Sentiva la gola secca ed il suo respiro raspante, cosí affaticato che non sapeva se buttarlo fuori o cercare di recuperarlo nel mentre che sfuggiva dalle sue narici, perché più correva e più l'ossigeno sembrava mancare, tanto da indurlo a temere un possibile svenimento.

Ma non poteva permettersi di svenire. Era la paura ad ordinargli di procedere: se c'era qualcosa che lo aveva sempre contraddistinto era il suo pieno attaccamento alla vita, la speranza quasi costante di poterla migliorare e di non lasciarla concludere senza trovarvi un senso, di brillare almeno un minimo.

Sapeva che se avesse perso tempo per crollare a terra senza sensi, la differenza di tempo di arrivo si sarebbe allargata, come una crepa durante un terremoto, tramutando la sua ricerca di speranza in una completa sconfitta mista a sconforto, con il vuoto mai occupato che avrebbe preso il controllo, divorandolo interamente dall'interno, pezzo dopo pezzo come piranha affamati.

E cosí semplicemente continuava nella sua agitata, frettolosa, distruttiva corsa contro il tempo, l'angoscia che voleva sovrastarlo, ma che rimaneva di sfondo, un po' come ogni imprecazione ed ogni insulto che riceveva quando involontariamente sbatteva e ribaltava un passante, arrivando perfino a fare crollare biciclette al suolo, a provocare incidenti tra motorini e ad essere quasi investito dalle auto che talvolta frenavano agli incroci in completo panico, suonando il clacson bruscamente, perfino con violenza, gettando fuori dalle labbra delle parolacce e delle maledizioni nei suoi confronti.

Maledizioni. A lui.

In generale la cosa gli avrebbe strappato una smorfia arrabbiata ed un occhiataccia fumante cosí carica di risentimento che se gli sguardi avessero avuto la capacità di uccidere davvero, bene, quella persona sarebbe stata assolutamente morta stecchita.

Però, appunto, non ci fece caso: non fece caso a nessuno, assolutamente a niente, se non al ticchettio mentale che sentiva costantemente nel suo cervello, il suo lanciare sguardi al vero e proprio orologio che era allacciato al suo sottile braccio, il suo inspirare ed espirare e...

Un suono in lontananza gli fece spalancare le palpebre, al punto tale che sembrava quasi che i suoi occhi sarebbero potuti uscire al di fuori delle sue palpebre.

Era quello il suono precedente alla partenza della nave, quando in teoria tutti i passeggeri erano saliti a bordo? Merda!

All'udirlo, oltre ad aprire gli occhi in maniera parecchio fuori misura,  perfino rischiò di perdere l'equilibrio, finendo con l'inciampare per via di un quasi non visibile gradino mentre cercava di girare alla lettura di un cartello, evitando di schiantarsi come un sacco di patate solo grazie alla seconda gamba che quasi si mosse da sola per sorreggerlo.

Il cartello che aveva notato aveva scritto, su di esso, la parola 'Porto' , affiancato da '25m'.

Ciò bastò a rimetterlo in carreggiata, difatti le sue gambe schizzarono in una corsa anche più affrettata di quella precedente, iniziando finalmente a notare il marmo sparire, sostituito da legno e sabbia bollente, surriscaldata dal sole cuocente che illuminava ogni cosa in quelle due e mezza pomeridiane.

Il giovane sentiva le cosce quasi bruciargli, tendendosi disperatamente ogni qualvolta che si sforzava ad aumentare la sua rapidità più di quanto essa già non fosse, al punto tale che non si sarebbe affatto sorpreso se da un attimo all'altro fosse stato capace di spiccare il volo per quanto forte andava - una cosa che non era nel suo reparto, poiché tra tutte le creature sovrannaturali era una delle poche che si distanziava ben poco dall'umanità... Ma in ogni caso era staccato dalla normalità, quindi perché no?-.

Solo in quegli istanti, pieni di disperata accelerazione, poté iniziare a percepire l'aria che gli attraversava i vestiti e che gli agitava i capelli come se questi fossero posseduti, mentre il suono di fauna e flora, tra stridii animali e l'assordante volume del vento e del mare che si rigirava su sé stesso, lo circondavano, facendogli realizzare come avesse zittito il mondo poco prima.

Ma questa fu una fase breve, infitesimale, un pensiero sul milione che nacque quando i suoi occhi videro il profilo della nave della salvezza -cosí la avevano chiamata tutti ed automaticamente aveva preso a farlo pure lui. Era esattamente quello, quindi non risultava un esagerazione o una frase hashtag da postare su Instagram o Tumblr-.

Una nave che però si stava allontanando sempre di più, pronta a tramutarsi in una sola e semplice sagoma di paesaggio.

Il muscolo al centro del suo petto esebí un tonfo sordo, come se questo fosse caduto, schiantandosi violentemente al suolo, riducendosi in un ammasso senza vita.

Il ragazzo a tale visuale iniziò a sentire le mani tremargli, come se una crisi di panico si stesse per approcciare in lui da un momento all'altro, le pupille che iniziavano a bruciargli di irritazione, poiché lacrime volevano uscire, ma lui si rifiutava di farle slittare lungo le sue goti.

Ed il bruciare inondò anche la sua bocca, producendo in lui il desiderio di vomitare.

Vomitare e vomitare ancora, poi di nuovo, e cosí a lungo, vomitare l'acido che si muoveva sul suo palato, non sapendo se accasciarsi, piegandosi come un animale randagio alla ricerca di calore, in mezzo ad ansiti e lamenti... O se invece direttamente crollare a pancia in giù, sputando fuori perfino la sua stessa anima.

Il terrore si districò in ogni particella che componeva il suo cervello, lasciando solo i cadaveri dei suoi pensieri speranzosi originali, strappati e stracciati fino a che non sembravano altro che vecchie memorie offuscate e dunque non piú leggibili.

Boccheggiò come un pesce fuor d'acqua - buffo, contando che in questo caso era proprio l'acqua ad essere il problema- cercando di ingoiare l'amarezza che si annidava e si arrampicava nel suo corpo come un parassita, un ospite indesiderato che era sempre più difficile scacciare e che era sempre più frequente lì, dove esattamente si trovava, a respirargli aspramente sul collo, ma soprattutto tentando di mettere lucidità nella sua mente per poter avviare un qualsiasi tipo di ragionamento, ed allo stesso tempo sperando che ogni cosa fosse soltanto un sogno, un incubo, pregando di potersi svegliare e di ritornare dunque al periodo in cui era stato bambino.

Ci aveva sperato tantissimo, così tanto da perdere in tali speranze perfino il sonno, implorando innumerevoli volte, ma la sua speranza, la sua attesa, era sempre stata tradita e sotterrata dal semplice fatto che tutto era reale, in ogni sua sfaccettatura, in ogni suo karma mai meritato -nella vita precedente a quella, lui era più che sicuro di essere stato un vero e proprio stronzo, perché, sul serio, non era possibile altrimenti -.

E quindi, nonostante le sue preghiere, lo sapeva anche in quel momento, sapeva che era tutto vero, percependo il dolore trasmesso dal suo stesso corpo, affacciatosi ai suoi muscoli tesi, pronti ad un nuovo scatto di corsa, sbattutosi contro i suoi polmoni, ancora incapaci di recuperare aria da poter respirare che non gli apparisse estremamente rarefatta... Fissando la sua unica salvezza con lo sguardo di un bambino, terrorizzato dal buio della sua stessa camera da letto.

E dunque, dopo istanti in cui l'acido continuò a tormentarlo, prendendosi gioco di lui, scimmiottandolo in un silenzio rimbombante ed opprimente, il ragazzo vomitò davvero.

Ma invece di vomitare la sua colazione, o i suoi succhi gastrici, come invece si sarebbe aspettato, lui vomitò urla.

Grida scivolavano dalle sue labbra, precedentemente rimaste socchiuse, cercando di attirare l'attenzione, cercando di essere udite, di fare comprendere che era lì, che non voleva essere ignorato e lasciato lì a marcire, a morire, a sparire dalla faccia della terra come tutti i rimanenti abitanti che non avevano ascoltato i consigli dati... E con un unica, tremenda differenza che lo aveva sempre staccato da chiunque, pesando sulle sue spalle.

Continuò dunque ad urlare, agitando perfino le braccia e facendo salti, chiamando e chiamando ancora nonostante il tremare che lo sconvolgeva ovunque, non più solo nelle sue braccia .

<< Ehi! Ehi!! Sono qui! Mi sentite? Per favore, io sono ancora qui! Ho tutto! Eehii!>>

Aveva ignorato tante cose durante la corsa, aveva ignorato tutte le emozioni allegate a lui che non fossero state basate sulla determinazione, ma in quel momento, con le lacrime che lo punzecchiavano ed insistevano per uscire davvero, bhe.

Ignorarle era davvero difficile: stavano zampillando fuori da argini percossi e rovinati ed erano pronti a liberarsi definitivamente.

E quindi continuava ad urlare con tutto il fiato che aveva nei polmoni, quel poco rimasto, rimanendo infatti presto senza, percependo le urla morire, diventando un suono pietoso che si abbassava di volume fino ad essere inudibile.

I secondi passarono lenti e pesanti, capaci solo di infiammare il tormento del ragazzo nel mentre che il concetto finale prendeva possesso del suo spirito.

Era esausto. Psicologicamente e fisicamente.

"Nessuno mi ha mai sentito. Nessuno mi ha nemmeno mai ascoltato. Perché mi sono illuso che stavolta fosse diverso?"

Si lasciò cadere in ginocchio, coprendosi la faccia con le mani ed emettendo un roco verso di completa frustrazione, questo prima che si ritrovasse immobile e vulnerabile, percorso da un freddo tremendo che aveva dato il primo morso alle sue carni, fissando poi il legno senza scopo e senza desiderio alcuno, neppure cercando di occupare la sua testa con un dettaglio, una venatura o una sfumatura di quel marrone nocciola.

No, non aveva davvero più motivi, non li trovava.

"Perché? Perché, nonostante tutti i miei sforzi, nonostante tutte le mie ricerche, nonostante il mio tirare avanti, non ho mai ricevuto neanche un frutto, in cambio? Non ho mai fatto male a nessuno, non ho mai neppure desiderato ferire, non sono passato sotto scale, non ho rotto specchi e non ho mai versato sale. Allora perché? Perché, nonostante tutto, continua ad andarmi tutto così storto? La maledizione che ho ricevuto non si basava su fortuna o sfortuna. Non capisco"

Sospirò: inutile allungare le sue pene facendosi domande a cui non sapeva rispondere. Si era arreso. Non ne voleva più sapere.

Mugugnò un << Grandioso >> a bassa voce, un unica parola che sapeva sia di amaro che di apatico allo stesso tempo, tirando su col naso  e serrando i pugni fino a ficcarsi le unghie nelle carni.

"Va bene" pensò "Se proprio devo essere ucciso, però, preferisco morire a modo mio. Non lascerò il permesso ed il tempo ad una stupida onda marina di strapparmi via la vita. Se proprio lassú mi detestano così tanto, allora scelgo il suicidio. Non possono prima distruggermi come un castello di carte e poi uccidermi"

Si mise in piedi, passandosi una mano tra i capelli biondo platino, resi quasi bianchi dalla luce, tirandoli all'indietro, prendendo un grande grosso respiro e facendo per voltarsi.

Ma una volta giratosi, si ritrovò ad emettere un urlo strozzato, pieno di sorpresa e shock.

Davanti ai suoi occhi era comparsa una bambina, la quale gli arrivava praticamente alle ginocchia.

La piccola aveva dei capelli blu elettrico, mossi, tanto che ad osservarle, così, ancora preso alla sprovvista, lo portavano a pensare alle onde marittime.

Si ritrovò a fissarla, imbambolato, chiedendosi se anche lei come lui fosse arrivata in ritardo per poter salire sulla nave, ma l'idea si cancellò in fretta, difatti ella sembrava troppo radiosa e felice per essere qualcuno che aveva perso un mezzo di sopravvivenza.

Continuò dunque a guardare la piccola figura, deducendo mentalmente che non doveva aver più di cinque o sei anni.

<< Uhm >> fece, guardandosi attorno, cercando un possibile genitore nelle vicinanze, deglutendo almeno tre volte << Ti sei persa, per caso?... >>

La bambina scoppiò in una risata argentina, molto strana a suono, tanto bizzarra da farlo accigliare, allargando il sorriso che già in precedenza era stato dipinto su quelle goti, mostrando tutti e trentaquattro i suoi denti e scuotendo la testa con due rapidi movimenti.

Il ragazzo cercò di non arrossire, sentendosi come preso in giro e allo stesso tempo inquietato dalla mocciosa - non perché quell'adorabile sorriso fosse inquietante. No, assolutamente no. Semplicemente non era abituato a simili espressioni e questo lo agitava un po'. - preferendo piuttosto che fosse lei a dire qualcosa, perché davvero ne faceva a meno di una seconda risatina di cui non sapeva le motivazioni e che lo avrebbe fatto sentire tonto.

<< Su! >> esclamò la piccola, piuttosto, sempre sorridendo, a dir poco smagliante, allungando le braccia verso di lui  << Prendimi in braccio! >>

<< Ma cos...? >>

<< Prendimi in braccio!>> lo interruppe di nuovo la bimba, non permettendogli di protestare o di portare domande, facendo due salti in sua direzione, gli occhi celesti che luccicavano di gioia.

<< O...okay? >> fece il Maledetto, confuso ed incerto come non mai, mettendosi in ginocchio e lasciando che la bimba si sistemasse tra le sue braccia, non avendo la più pallida idea del perché lo stesse facendo.

Di certo, se già non si era aspettato la comparsa di quella bimba, ancora meno di sarebbe aspettato che una lunga, lunghissima corda apparisse dal nulla e che gli si legasse attorno ai fianchi, scattando e trascinandolo via drasticamente, non lasciandogli neppure la capacità di lanciare un urlo .

La fune semplicemente lo trasportò a massima velocità attraverso tutto il mare che lo distanziava dalla Golden Lion, facendolo sentire aggredito dalla violenza della corrente che gli sbatteva addosso, quasi strappandogli le sue stesse carni.

Il ragazzo era totalmente paralizzato, ma questo non voleva dire che , se le sue labbra non sputavano suoni, il suo cervello non stesse chiedendo aiuto a massimo volume, fallendo semplicemente nell'emettere tali suoni, percependo invece la rumorosa risata della bambina e... Le sue gambe venir parzialmente bagnate dall'acqua marina: nell'arco di trasporto, il biondo aveva, immerse nel liquido, da piedi fino a poco sopra le ginocchia, verso le cosce.

Il momento in cui il trasporto fu concluso, fu l'istante più bello di tutta la sua esistenza: toccare il legno del pavimento della Golden fu come sapere al cento per cento di essere in salvo... E se prima lacrime di rabbia avevano continuato ad infastidirgli la sclera, allora stavolta era per lacrime di sollievo.

Era in salvo. Era davvero in salvo.

Ma perché? Questo non lo capiva.

Sapeva però per certo che c'entrava qualcosa la bimba. La aveva presa in braccio e poi era comparsa la corda! Di certo non era un caso.

<< Eheh. Non è stato divertente? >> chiese la piccola con una risatina, interrompendo la sua rete di domande mentali, lasciandogli poi notare in un certo senso come la fune fosse sparita, proprio nella stessa maniera in cui era comparsa, una volta che l'azzurra scese dalle sue braccia.

Il Maledetto aprí e chiuse bocca, non sapendo cosa dire di preciso.

A lui non era esattamente piaciuta come cosa, ma era grato di essere salvo, con tutto il suo cuore. Per questo annuí e basta, ottenendo solo maggiore allegria dalla più piccola.

<< Bhe. Piacere! >> esclamò la bimba, allargando ancora di più il sorriso e porgendogli la manina << Io sono Yael Golden Lion, la Klabautermann costruttrice di questa nave! Ma se vuoi essere mio amico, puoi chiamarmi semplicemente Yael. Tu invece sei? >>

<< Hycarus >> asserí, battendo le palpebre due volte di fila, come per cercare di capire se stesse sognando o meno  - nel suo viaggiare, non aveva mai, ma proprio mai, visto dei Klabautermann prima! Ne aveva parlato un vampiro americano, ma di sicuro non aveva calcolato di trovarsene uno vicino così presto!- ed allungando poi la mano a sua volta, stringendo quella della creaturina.

<< Mi piace il tuo nome! É molto arcaico >> fece ancora Yael, lo stesso sorriso esibito in precedenza << In ogni caso, Hycarus, ben venuto alla mia nave! Seguimi, ti porto alla tua stanza>> .

La bambina, come in precedenza aveva già fatto, non aspettò che rispondesse, iniziando semplicemente a tirare il biondo a più non posso, obbligandolo a seguirla... E neppure un cane avrebbe tirato così, davvero, testimoniato dal fatto che sentiva di poter perdere l'equilibrio da un momento all'altro.

In men che non si dica, Hycarus si ritrovò dunque a procedere un lungo, lunghissimo corridoio, le cui porte avevano numeri diversi, ma una lettera ed un colore in comune: la C ed il rosso.

Venne, in genere, sballottato così a lungo che per un attimo si ritrovò a credere  che il percorso non avesse fine alcuna e che perciò sarebbe avanzato in eterno... Ma poi si trovò davanti alla destinazione, facendo frenare di scatto la Klabautermann, in un atteggiamento cosí brusco da farlo sussultare.

<< Eccoci! Stanza 11C. >> Yael buttò una mano nella tasca, agitandola in essa, come se nella sua ricerca vi fossero mille cose che tentava di spostare, cacciando poi fuori da essa una chiave oro dai ghirigori argento, i quali ricordavano lettere greche e semplici spirali << Se volessi cambiare per via di problemi tra coinquilini, vai al piano Zero, dove troverai l'hall e la reception. Alla reception potrai parlare all'addetta del tuo problema e chiedere lo scambio. Non riceverai risposta immediata, ma verrai archiviato momentaneamente nella speranza che qualcuno legga la bacheca nella hall e che si offra per lo scambio. >> Yael agitò lievemente la mano, lasciando l'oggetto, quello precedentemente cercato, stretto tra le sue dita, al di sopra del palmo del biondo << Se vuoi scendere di piano o salire, in ogni caso, percorri il corridoio che ti si mostra davanti fino alla 1C e raggiungi il punto di raccolta. Troverai scale e ascensore. Le camere, in generale, vanno dal piano Tre al piano Uno, suddivisi in maschi e femmine con le lettere: A, C ed E sono maschili, B, D ed F femminili. Al Meno Uno vi è il ristorante. >> Hycarus cercò di non mostrare troppo interesse a tale parola << Chiunque può offrirsi come cuoco per la troupe, anche perché ne abbiamo ben pochi a lavoro. >> l'azzurra fece un sorriso tranquillo ed il diciannovenne tossicchiò, muovendosi su sé stesso nervosamente, nonostante la sua espressione fosse abbastanza distante e fredda.

<< Se hai portato provviste, appena hai finito di sistemare la tua roba, vai subito lì, grazie! >>

L'ultima parte la esclamò, questo prima di battere le scarpe tra di loro, come un cavallo irrequieto... Ed incitando Hycarus ad entrare nella sua stanza con un largo sorriso ed un movimento di testa.

<< Grazie >> fece il Maledetto, la fronte aggrottata mentre osservava il pezzo di metallo gelido sulla sua mano, questo prima di decidersi a portarlo alla serratura e quindi spalancare la porta, aspettandosi di trovarsi davanti i suoi compagni, non troppo impaziente di fare la loro conoscenza...

Ma, una volta fatta la sua entrata, sentendo Yael canticchiare di sfondo, attraversando l'iniziale stretto spazio che lo avviava verso la destinazione e allo stesso tempo si apriva su un bagno stretto, raggiungendo la camera in vero e proprio, realizzò che in essa non vi era nessuno.

Si strinse nelle spalle, rilassandosi gradualmente fino a gettare fuori un grosso sospiro, guardandosi attorno con attenzione.

La camera aveva sei letti, due dei quali erano a castello, i più vicini alla finestra con il balcone, altri due disposti a matrimoniale, ma che si potevano dividere alla prima occasione, cosa notabile anche dal fatto che qualcuno aveva già incominciato a dividerli, lasciati poco lontano dai letti a castello... E poi gli ultimi due erano disposti ad L, nell'angolo che gettava verso la porta: tutti e sei erano dallo stesso lato del muro, poiché l'altro muro era interamente occupato da un gigantesco armadio.

Prestando un po'di attenzione a tutti i letti, Hycarus dedusse che cinque su sei erano già stati occupati... E che l'unico rimasto era uno di quelli nel letto a castello, quello alto.

Salí dunque la scaletta ed appoggiò la sua borsa sul materasso, cominciando subito a dare una rapida controllata a quello che vi era dentro: abiti, un sacchetto marrone abbastanza grosso che conteneva il cibo rimastogli dalle provviste tenute, il suo taccuino con tutti gli appunti per trovare la strega e i bracciali, la sua collezione, raccolti nei viaggi - erano circa trentasette, tutti molto diversi tra di loro, trentasette non contando l'orologio che aveva al polso sinistro e il bracciale-collana al destro-.

Una volta fatto, portò il taccuino al petto e lo strinse con tutta l'intensità che gli fosse capace tirare fuori, chiudendo gli occhi.

"La troverò. La troverò assolutamente!"

Fatto ciò, tirò fuori anche il sacchetto, chiuse la borsa e scese dalle scale.

"Piano Meno Uno, giusto? E piano Meno Uno sia" pensò tra sé, lasciando che la chiave gli scivolasse nella tasca della maglia, uscendo in fretta dalla camera, non assumendo espressione alcuna al notare che la Klabautermann non era più nei dintorni, preferendo concentrarsi sul percorso.

O almeno provando, poiché si ritrovò piuttosto a soffermarsi sul bellissimo paesaggio che si mostrava a vista d'occhio, bloccandosi lí, in mezzo al corridoio, senza neppure accorgersene.

E forse per questo, una persona gli finí addosso.

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Un commento = how make me smile uwu plus probabili mille parole per il prossimo capitolo/ velocità nell'aggiornare.

Anyway! Here we are !
Lo avevo detto... Che i capitoli saranno leggermente più lunghi haha

Già. "Leggermente"
Sono solo 3800+ parole, poteva essere più lungo, ma poi sarebbe stato noioso.

So

vi è piaciuto il capitolo?
Quanto volete il prossimo da 1 a 10?
Avete visto errori grammaticali?
Qualcosa che cambiereste?
Cosa ne pensate di Hycarus?
E di Yael?

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