Aporia Crataegi
I gigli statuari stan bianchi schierati in giardino
e nella penombra chiara della stanza
sedimenta il flusso di un'altra alba.
Un vento inquieto per tutta la notte ha atteso,
ora con un vortice riempie improvviso
un angolo della finestra con aghi di pino.
Bianco il tappeto sul pavimento
così come il letto _ isola di ghiaccio _ silente,
da dove ti osservo sdraiata:
la gota dal sangue esaltata
e sul fondo maculato dei tuoi occhi inusitati
dal corpo traspare, nel sole fugace, un'anima rinnovata.
Il ricordo di me e delle mie dita
ricopre con fremiti e viticci d'un manto
di nuova conoscenza le tue spoglie membra;
il tuo sesso tra le sete bianche
ai miei occhi appare come un fuoco d'ombra
in un agitato mare di tiepide pallide onde.
La mia bocca si ferma ad assaggiare,
mentre si ingioiella di brina,
la tua freschezza di fiore di fava.
Fai quanto la mia lingua ti dice di fare
_ come un'umile schiava _
indicandoti lui che sta in disparte a guardare.
Questo sentiero di carne che percorriamo
ci fa sprofondare in un mare di brame.
I tuoi bianchi seni tra le mie mani
riscaldano come candidi cuori
di una primavera che insieme assaporiamo
mentre le tue cosce mi stanno a cullare.
Ti sussurro all'orecchio di darmi di più
e tu mi dai tutto aprendoti come un fiore
a lui che affonda nel tuo soave calore.
Mentre un aroma _ come di isole esotiche _ si sprigiona,
lente, come la vita fosse il sogno che sognano
ce ne andiamo.
Terra bianca, lenzuola sfatte, noi stessi e nient'altro
assieme in un unico abbraccio.
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