e quindi
Anni che non tocco questa tastiera. Anni che ho raggomitolato tutto in un angolo della stanza, pensando che diventare grande fosse imitarli, i grandi. E l'amarezza, il fastidio di sentirsi dire:"Sei seriosa". Il disagio che ho cucito addosso con diligenza, con obbedienza, del mondo sconosciuto. E ad ogni punto, cercavo di fare una bracciata nel mare infinito. E se il tessuto ero io, i punti erano le esperienze, il movimento del filo da un punto all'altro diventava mano mano labile e lento. Fino a fermarsi. La mano dell'ago non si muove più, è stanca, pigra. Si poggia e per un po' riposa, che poi sai, il tempo è tutto quello che abbiamo. È solo il tempo che abbiamo, non è molto, ma lo riteniamo. E mentre riposa, i bordi degli altri diventano sempre più delineati. Il tessuto rotto, sfilacciato, diventa una piega degna del miglior sarto, almeno quello degli altri. Io, come sempre, con pochi punti ho nascosto il tessuto rovinato in una piega malmessa e poi ho riposato. La verità è che, nonostante tutto l'infinito che mi chiama, la molla del non aver timore di affogare nell'acqua, di cadere dalla cima, del controllo che potrò esercitare o della sua completa inutilità in certe azioni, mi riporta indietro dal punto verso cui, con fatica, avevo camminato. E lo ammetto, lo avevo fatto su orme già tracciate e la polvere non le ha mai coperte. Però le ho solo un po' cambiate, quelle orme. Non nella grandezza del mio piede, ma nell'intimo, flebile anelito di una strada mia. Con il controsenso che mi contraddistingue, che qualcuno scambia per falsità, ho intrapreso un cammino percorso già da chi più amo e c'ho aggiunto il mio. Del diverso.
La verità è che nel tracciare i miei bordi, nel cercare chi fossi, nel capirmi e delinearmi ho fatto quello che più è la mia pecca, ho imitato senza chiedermi quanto e come fosse giusto. Come un essere senza personalità. Mi sentivo proprio così, fango da plasmare e io avevo, ho paura della forma che le mie mani e i miei occhi possono darmi. Ho paura di quella responsabilità tanto cieca, tanto pesata, tanta pesante. Nello scivolare in mezzo a quei punti che non avevo fissato col filo della vita, quelli che avevo fissato idealmente dagli abiti degli altri, mi sono vista costretta a capire quanto quell'imitare fosse giusto, quanto quel riposare fosse in realtà solo paura di esplorare e farsi male. E incoscienza di non capire che ciò che è, in qualche modo, riserva sempre un'insidia.
Sono stanca di rifilare tutto sotto al tappeto brutto e storto, alla piega mezza cucita, agli sguardi sfuggiti, alle parole tronche per il vuoto di un animo che per accogliere tutto, non ha più niente. Sono stanca. Non voglio una piega già definita, non voglio una piega, non voglio un bordo di tratti da percorrere, non voglio accontentarmi e dirmi che in fondo così doveva andare. Voglio andare, non per inerzia, ma con vita, con la gioia di saper condividere questa gioia con qualcuno. Perché se amo passeggiare ore in mezzo ai vicoli e le strade di Napoli e amo farlo da sola, amerei anche pensare che con una chiamata ci sarebbe una persona disposta a farlo insieme a me. Voglio camminare, correre, rotolare, ridere e pensare che se c'ho un graffio in fondo non è mica male. Vorrei amare, saper parlare, abbracciare, saper vivere con le altre persone, guardarle negli occhi se mi hanno stregate, se mi fanno impazzire, voglio saperci fare con la vita. Non andare a passi incerti per vie che dovrebbero essere quasi autostrade e che per me hanno tutte le fosse degne della peggior manutenzione. Vorrei saper leccarmi quelle ferite solo lì dove non sono mai andata a guardare, dove non sono potuta arrivare e vedere il mondo per vie traverse, da prospettive più difficili da raggiungere. Vorrei domande, sapermi fare belle domande e anche sapermi dare belle risposte. Vorrei poter cambiare e essere fiera in tutto il processo di me che mi accompagno lungo la strada.
Ché se questa è una strada, un bordo, una piega io non lo so. Non so se è a senso unico, se si torna indietro, se è senza uscita o sempre uguale, se la porta la puoi sfondare e stare in un vuoto atemporale di nulla infinito per poi potervi esplorare dentro. Io non lo so che cos'è tutto questo.
C'è un tratto, però, un punto in cui ti sembrerà sempre di stare al buio, nel vuoto, nelle onde che vengono da chissà dove e si riversano su chissà quale riva. Sia che tutto questo sia circolare, sia finito. Comunque sia, spero sia in noi il coraggio, l'amore per noi tale da rendere con la mano tesa reale l'aiuto che ci potremmo dare.
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