Capitolo 7 - La missione
Esteban impiegò venti minuti per arrivare in città, nonostante avesse spinto la moto al massimo. I cinque soldati lo avevano seguito a breve distanza.
Parcheggiarono in prossimità del centro, tra un antico palazzo rinascimentale e un magazzino con le saracinesche abbassate, facendo attenzione a non dare nell'occhio. I vampiri affetti da brama di sangue avevano già dato spettacolo quella sera, fin troppo, non serviva altro clamore.
«Per stanare e fare fuori i traditori abbiamo a disposizione soltanto quindici minuti». Premette un pulsante sul display del tablet. «Vi ho appena inviato le coordinate della zona che dovete coprire, se non riuscite a gestire la situazione chiamate rinforzi». Nessuno dei presenti proferì parola, quindi Esteban concluse con un «In bocca al lupo» che assomigliava più a un «Non fatevi ammazzare».
Xenja guardò il display del suo palmare, le aveva assegnato le vie centrali.
«Luc, ci sei?» gli sentì domandare mentre premeva un pulsante sull'auricolare.
La risposta del vampiro biondo arrivò forte e decisa: «Quando vuoi».
«Ora», ordinò Esteban.
La parola del Comandante fu seguita dal buio più profondo: l'intera sistema di illuminazione della città vecchia era appena stato disattivato. Avevano quindici minuti di blackout garantito, dovevano sfruttare al meglio il tempo disponibile. Ogni secondo era prezioso.
Xenja non perse un attimo e, come gli altri quattro soldati, iniziò a camminare a passo rapido per le vie lastricate. Nonostante la polizia avesse diramato lo stato di allerta, alcuni curiosi si erano riversati nelle strade a caccia di sensazioni forti, incuranti del pericolo reale che stavano correndo.
La vampira si concentrò sui battiti del cuore dei passanti. Era un metodo infallibile per individuare gli schiavi della brama di sangue. Quando questa stringeva nella sua morsa, venivano ad accelerarsi tutti i processi fisiologici del corpo inducendo il cuore a pulsare in modo frenetico e irregolare, tanto da risultare inconfondibile rispetto a quello degli umani.
Poi sentì una stretta al polso sinistro e si immobilizzò.
«Shh... ascolta...», sussurrò Esteban a pochi centimetri da lei.
Come facesse a restare così tranquillo era un mistero. Xenja era attenta, pronta a scattare, risoluta. Ma non certo calma.
Lo guardò senza capire, cercando di afferrare al volo il senso di quel gesto. Non ci riuscì.
«Cosa succede?» gli domandò infine. «Stiamo sprecando tempo», aggiunse subito dopo.
«Sono particolarmente agitati», asserì il suo Comandante.
Xenja si domandò come lui potesse conoscere così bene lo stato emotivo degli effetti della brama di sangue. Chi se ne fregava, l'unica cosa certa era che avevano già sprecato un minuto abbondante senza prendere nessuno. Che cosa aveva in mente Esteban? Lui era quello che prima ti staccava la testa e poi chiedeva se eri in grado di dimostrare la tua innocenza. Perché uno come lui in una situazione come quella se ne stava invece lì fermo in mezzo a una via stringendole un polso?
Le sirene spiegate di un'ambulanza coprirono quasi del tutto la voce di Esteban. «Eccoli», disse lui un istante prima di muoversi come un'ombra verso la piazza principale.
Xenja lo seguì, consapevole che stava per accadere il peggio. Erano ormai faccia a faccia con i traditori. Spinsero in un vicolo tre balordi individuati dal Comandante e li attaccarono impietosi. Lo scontro tre contro due non era per niente bilanciato, ma Esteban era forte e spietato. Con movimenti velocissimi riuscì a ferirne due e utilizzando il potere del vuoto li uccise prima ancora che potessero rendersene conto. Lei piantò una lama di iridio nel petto del terzo e con un calcio lo fece volare davanti ai piedi del Comandante. Rimase a guardarlo mentre Esteban investiva il vampiro esanime con il suo oscuro potere. Ne era sempre rimasta affascinata e la ricordava come una cosa straordinaria, ma vederlo in azione sul campo era tutt'altra cosa. I lembi di energia scuri e trasparenti generati dal suo potere si trasformavano in volute di nebbia che a contatto con la vittima si addensavano prendendo corpo, come tentacoli di pece bollente nera e lucidissima che inghiottiva ogni cosa trascinandola nel vuoto.
«Che spettacolo», commentò Xenja sottovoce. Apprezzava il proprio potere che, oltre ad averle salvato la vita più di una volta, era anche segno di un buon lignaggio, ma certo non era come quello di Esteban, lo stesso che scorreva anche nelle vene del Wanax.
A interrompere il suo pensiero fu una voce impassibile: «Siamo solo all'inizio del lavoro». Esteban le diede le spalle e si avviò. L'invito a seguirlo era implicito.
Imboccarono i vicoli che portavano a Piazza della Trinità. Percorsero gli oltre trecento metri in meno di trenta secondi e raggiunsero altri due soldati. Vedendoli circondati da alcuni bastardi affetti dalla brama di sangue, Esteban non ebbe alcuna esitazione e si scagliò sui traditori. Lei fece altrettanto.
Per uccidere uno di essi che per primo si era trovato sulla sua traiettoria, Xenja utilizzò un'affilata lama di iridio, e subito dopo inseguì un altro nello stretto vicolo che rasentava un palazzo di cinque piani attaccato alla chiesa. Quell'infame imboccò una via così stretta che bastava allargare le braccia per sfiorare i muri. Però si accorse che quella carogna non stava scappando da lei, ma più probabilmente correva per dare man forte a un altro vampiro infetto, che in quel momento stava tenendo testa a uno dei soldati di Esteban. Purtroppo non si era sbagliata. Uno dei quattro selezionati per quella missione era in seria difficoltà, costretto in un angolo da due feroci assassini.
Xenja calcolò in fretta angolazione e velocità e, sfruttando l'inerzia della rincorsa, attaccò il traditore un istante prima che piantasse l'arma nel petto della Guardia del Wanax. Attivò il suo potere e svanì per un paio di secondi, il tempo utile per disorientare il nemico. Fece un balzo verso l'alto e atterrando trapassò la gola del vampiro infetto che cadde sulla schiena, moribondo.
Bastò un attimo di distrazione, impegnata com'era nel gestire lo scontro, e una lama sottile le trafisse il braccio destro. Il dolore esplose diventando atroce in un attimo e rafforzando così amaramente le sue conoscenze dell'iridio. Reagì d'istinto, colpendo il bastardo che l'aveva ferita, mandandolo a sbattere contro l'edificio rivestito in pietra serena. Fu l'altro soldato a terminare il lavoro, eliminando l'infame.
«Stai bene?» le domandò la Guardia del Wanax.
Era successo tutto in un lampo.
«Alla grande», rispose secca, cercando di non fare trasparire lo stato d'animo. Stava ripercorrendo con la mente gli attimi che avevano preceduto il ferimento, interrogandosi sull'istante in cui evidentemente aveva sbagliato qualcosa. Non si perdonava i propri errori, era convinta che fosse l'unico modo per non ripeterli.
Altri due vampiri arrivarono di corsa. Dietro di loro ecco Esteban.
«Ottimo lavoro, piazza pulita», si complimentò il Comandante.
Tempo trascorso: dodici minuti e dieci secondi. O venti? Xenja non era sicura. Il suo subconscio aveva smesso di contare nel momento in cui era stata sopraffatta dal dolore lancinante al braccio. Si appoggiò al palazzo avvertendo la ruvidezza della pietra, le ginocchia piegate. Non sapeva se quella fosse la posizione migliore per sopportare il dolore che pulsava nel braccio, ma l'alternativa era accasciarsi a terra e lei non era disposta a tanto, non certo di fronte al Comandante che la stava guardando, imperturbabile.
Mentre Esteban attivava il suo potere per fare sparire i corpi che giacevano a terra, Xenja si morse il labbro inferiore per evitare di gridare e girò la testa di lato. Cercava un punto immaginario su cui concentrarsi per non pensare al dolore, ma anche senza volerlo incrociava solo cadaveri di vampiri affetti da brama di sangue.
«Tornate in fretta alla base» ordinò il Comandante ai quattro.
I soldati assentirono e a passo spedito si incamminarono subito sulla via del ritorno.
Xenja provò ad alzarsi in piedi, facendo leva sulla schiena appoggiata al muro del palazzo. Pessima idea: il dolore fu così forte da fiaccarla. Si sentiva stordita, aveva caldo e sentiva la stoffa dell'imbottitura appiccicarsi alla pelle. Si tolse a fatica il giubbotto.
«Hai perso parecchio sangue», le fece notare Esteban, in tono piatto.
Xenja girò la testa e guardò la ferita. Parecchio non rendeva minimamente l'idea, non era da escludere che quello stronzo prima di crepare fosse riuscito a recidere l'arteria.
Il Comandante si inginocchiò, le prese il giubbotto dalle mani e strappò la stoffa della fodera per ricavarne una lunga striscia. Con movimenti rapidi fasciò il braccio, stringendo forte per frenare l'emorragia.
«Mi piaceva», commentò lei. Parole che non erano una protesta, ma una semplice constatazione.
«Te ne regalerò un altro», tagliò corto il vampiro.
Esteban si alzò in piedi e le teste la mano, lei allungò il braccio sinistro e si lasciò aiutare.
«I quindici minuti sono scaduti, devo dire a Luc di ripristinare le linee elettriche e le connessioni internet», la informò prima di telefonare al vampiro biondo per dargli l'ok.
«Fiat lux», disse lei, appena i vicoli lastricati tornarono a illuminarsi.
Per non correre il rischio di essere notati, presero viuzze buie e poco frequentate allungando il percorso fino alle moto.
«Grazie». Quella parola pronunciata a bassa voce da Esteban spezzò il silenzio. «Hai rischiato grosso pur di salvare una guardia, te ne sono grato».
«Come fai a sapere che...?». Xenja si interruppe. Conosceva la sua abilità nel ricostruire le dinamiche. «Non importa».
Camminarono l'uno accanto all'altra, in silenzio, tra i palazzi.
«Ce la fai a guidare?» le domandò appena arrivarono alle moto.
«Sì». Non sarebbe salita dietro di lui neppure se l'avessero aperta in due, figurarsi per una ferita al braccio. «Va' pure avanti, alla dimora i soldati hanno bisogno del loro Comandante».
Esteban puntò gli occhi nei suoi. «Sei ferita», si limitò a dire, come se quella fosse una spiegazione al perché non voleva lasciarla da sola.
«Non sono una ragazzina, ce la faccio benissimo a guidare, sarò solo un po' più lenta, tutto qui».
Lui annuì. «Appena arriverai un medico ti visiterà ». Con quelle parole si congedò, voltandole le spalle.
Xenja aspettò che si allontanasse prima di guardare il braccio ferito. Doveva sbrigarsi, il sangue aveva ormai inzuppato anche la fasciatura di fortuna. Il dolore si stava trasformandosi in qualcos'altro, una forma di indolenzimento all'arto superiore. Il suo corpo avrebbe superato anche questo, ne era certa. Erano i graffi dell'anima a dover essere temuti, non quelli della carne. I tessuti guarivano più o meno con facilità e al massimo restava una cicatrice ben visibile, il cuore invece poteva rimanere lacerato per anni, persino decenni, con ferite aperte che non volevano rimarginarsi. Nei periodi migliori sembrava che cominciassero a cicatrizzarsi, piccoli passi nel lungo cammino verso la guarigione, ma poi bastava una sciocchezza, un semplice ricordo e le ferite tornavano a sanguinare.
La vampira si lasciò trasportare dalla moto, cercando di inspirare il vento e la notte. Non aveva alcuna voglia di addentrarsi nelle pieghe del suo subconscio, non voleva guardare ancora una volta da vicino la membrana trasparente di dolore e ricordi in cui era finita. Tanto valeva andare dritta nella direzione del suo inferno personale, quello dal volto severo e gli occhi neri di lava che molto tempo prima le aveva azzerato l'esistenza, togliendole persino la forza e la voglia di guardarsi in uno specchio.
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