Capitolo 6 - Equilibri infranti

Elenoire si coprì la testa alzando il cappuccio e uscì dall'ingresso principale della dimora reale. A nulla erano valse le obiezioni del vampiro a cui era stato assegnato il compito di sorvegliarla: quella sera non voleva sentire ragioni, doveva andare al tempio.

Il mantello sfiorava terra in un movimento sinuoso, assecondando il ritmo della camminata; i capelli color miele era nascosti dal tessuto che ricadeva morbido ai lati del viso.

Pochi metri di fronte a lei, ai piedi delle scale, Alex stava impartendo ordini ai suoi uomini. Le spalle larghe e il portamento regale facevano pensare a un nobile cavaliere. Come se avesse percepito la sua presenza, il vampiro girò la testa e il volto subì un'immediata e istintiva trasformazione: l'espressione seria divenne dura e intransigente, le labbra si strinsero come a contenere parole impronunciabili.

Elenoire sostenne lo sguardo di quello che un tempo era stato il suo amico più caro, cercando di capire quale fosse stato il momento preciso della rottura tra loro. Gli passò accanto per dirigersi al tempio, incurante del fatto che per alcuni istanti il soldato che la seguiva si fosse fermato per chiedere il permesso ad Alex. Comprendere le motivazioni che lo avevano indotto a farla sorvegliare non implicava approvarle, soprattutto quando la facevano sentire una reclusa. Nonostante la sensazione di soffocamento che provava alla sola idea di avere qualcuno intorno a cui dover giustificare ogni spostamento, non poteva biasimare Alex per il rancore che le portava. In fondo lo aveva respinto e preso come compagno un traditore che aveva anche cercato di ucciderlo. Si rendeva conto che dal punto di vista di Alex l'intera situazione risultava drammatica, ma in realtà era solo sfalsata: il Destino conosce tutte le declinazioni del futuro e la visione globale dell' insieme è l'unica prospettiva che conta, l'unica angolazione da cui bisogna guardare i fatti.

Immobile, Elenoire aspettò che il vampiro distogliesse lo sguardo, per tornare a impartire ordini, prima di riprendere a camminare in direzione del tempio.
L'oscurità era densa e umida, da alcune notti il cielo era coperto di nuvole fisse che impedivano ai raggi lunari di oltrepassarle e posarsi sulla terra, bisognosa dei loro riverberi.

Le fiaccole ai lati della facciata si ergevano verso il cielo creando un antico gioco di luci e ombre. Le bastò spingere verso l'interno il pesante portone in legno intarsiato per restare inebriata da un delicato profumo di incenso e sentirsi finalmente a casa. Accese un paio di lumi a olio posti in piccole ciotole di terracotta, poi si piegò per prendere tra le mani un antichissimo manoscritto rilegato in pelle. I bordi sembravano ogni giorno più consumati; il colore del cuoio un tempo lucido ora appariva spento, come velato da una patina opaca; le pagine che prima avevano la consistenza della pergamena adesso erano quasi trasparenti.
Il manoscritto si stava consumando proprio come lei.

Lo appoggiò con cura al leggio in bronzo, pregando dentro di sé che questa volta le Leggi Sacre le permettessero di aprirlo. Avevano bisogno l'uno dell'altra per arrestare l'avanzata delle tenebre.

Elenoire rimase immobile, leggermente piegata in avanti verso il leggio, i palmi delle mani a contatto con il volume originario, la pietra miliare della storia dell'Antica Razza. Convogliò le poche energie rimaste verso le mani mentre pronunciava le formule tramandate dai suoi avi, chiedendo all'Universo di restituirle i poteri.

Rimase così per un tempo indefinito. A ogni minuto che passava la speranza si affievoliva, finché capì che il manoscritto non si sarebbe aperto neppure quella volta e la forza dei suoi poteri non sarebbe tornata a scorrerle nelle vene.

Mancava poco alla battaglia decisiva e lei non disponeva ancora delle uniche e indispensabili armi per combattere il vero nemico dell'Antica razza: suo cugino.
Ora che Damian aveva compiuto altre mosse, muovendo nuove pedine sulla scacchiera, Elenoire cominciava ad avere un'idea più precisa delle sue reali intenzioni, ma senza visioni e privata dei poteri non avrebbe potuto affrontarlo. Il nuovo Generale dell'esercito era determinato a portare a compimento il suo spietato disegno di conquista e lei doveva escogitare un piano alla svelta. Sapeva che ormai era solo questione di giorni, poi la situazione sarebbe diventata incontrollabile. Doveva fermarlo prima che riuscisse ad annientare le loro esistenze.
Non si parlava più di singoli individui, vi erano in gioco cose ben più importanti. La malvagità di Damian rischiava di compromettere gli equilibri delle Antiche Leggi se non addirittura quelli dell'intero pianeta.

***

La pausa concessale per riprendere un po' di energie era trascorsa in un baleno. Xenja avevo avuto giusto il tempo di fare una doccia veloce, un po' di stretching e dieci minuti di meditazione prima di infilarsi dei vestiti puliti. Non perdeva mai tempo ad asciugare i capelli o truccarsi, la praticità del taglio corto e di una semplice matita nera per gli occhi erano innegabili.

Un soldato la seguiva tenendosi a pochi metri di distanza, fedele come un cagnolino. Era infastidita dal pensiero che Esteban le avesse assegnato una scorta. Una come lei non ne aveva certo bisogno, come diavolo poteva farglielo capire? Xenja non rivolse la parola al collega: non era in vena di fare amicizie in condizioni normali, figurarsi quella notte. C'erano momenti in cui odiava essere donna, perché gli altri vedevano in lei un elemento potenzialmente debole ed era stanca di dover continuamente superare se stessa per dimostrare il contrario.

Capì che era successo qualcosa appena arrivò davanti alla dimora reale. Tutti i soldati si stavano radunando attorno ai due Generali.

«Vitus ha sguinzagliato alcuni vampiri affetti da brama di sangue sulle strade della città. Sono stati rinvenuti sei morti nel giro di mezz'ora», annunciò Alex.
Alcuni trattennero il fiato, altri imprecarono. La situazione era gravissima. Xenja rimase immobile, in attesa di altre informazioni.

Esteban parlò senza staccare lo sguardo dal tablet su cui annotava nomi e orari. «Se continuano così, da qui a domani la città sarà assediata da poliziotti e giornalisti, magari finirà per arrivare anche l'esercito. In rete ci sono già un paio di foto che ritraggono le vittime, la polizia sta intervenendo in forze».

Xenja si chiese come fosse potuto succedere. Magari c'era qualcuno tra di loro abbastanza bravo da riuscire a mandare in tilt tutte le connessioni della rete.

«Non possiamo permetterci uno scontro con gli umani, di certo non in questo momento», aggiunse Alex, risoluto.

«Quindi, come procediamo?» domandò uno dei soldati.

La tensione si poteva quasi toccare, ma tutti si imponevano di restare calmi, sapendo bene quanto fosse determinante mantenere la mente lucida.
«Dobbiamo fermarli prima che sia troppo tardi», asserì Esteban. Poi continuò, rivolgendosi ad Alex: «Io vado in città assieme a quattro dei miei. Tu prendi il comando fino al mio ritorno». Indicò i vampiri e fece segno di seguirlo.

Xenja rifletté brevemente sulla situazione. Forse le incursioni assassine in città erano solo un diversivo orchestrato da Vitus per dividere le Guardie del Wanax e approfittare del momento per attaccare la dimora reale. Restare uniti era indispensabile, ma lasciare un manipolo di vampiri affetti da brama di sangue in giro per le strade a mietere vittime non era ammissibile, sarebbe stato un pericolo troppo rilevante per l'intera Razza. Esteban voleva che la dimora reale rimanesse ben protetta, per questo aveva preso con lui soltanto quattro soldati, ben sapendo che una missione con così poche unità avrebbe comportato rischi enormi. I vampiri al soldo di Vitus non avevano più nulla da perdere e sotto gli effetti della brama di sangue si trasformavano in spietati e indomabili carnefici.

«Comandante, chiedo il permesso di partecipare alla missione», disse Xenja a voce alta. Alcune teste si voltarono nella sua direzione.
Esteban corrugò le sopracciglia. «Non ti ho convocata».
Suonava come un no.
«Il mio potere potrebbe rivelarsi utile in una città abitata», ribatté, sicura di aver colto nel segno.

I vampiri sapevano bene quanto fosse importante non attirare l'attenzione, infatti da sempre preferivano utilizzare le armi bianche piuttosto che quelle da fuoco. Passare inosservati era un modus vivendi che faceva parte della storia dell'Antica Razza sin dalle origini: gli umani dovevano restare all'oscuro dell'esistenza dei vampiri. Non si trattava di un fatto opinabile, era di primaria importanza rispettare il volere imposto e riconfermato all'avvicendarsi di ogni nuovo trono.

Dopo pochi attimi di silenzio, due occhi di ossidiana fissarono Xenja con durezza. «Partiamo subito».
Lei annuì, pronta a uno scontro durissimo.

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