Capitolo 2 - La gabbia

Esteban fermò la moto davanti alla robusta porta di metallo del centro di addestramento. I due soldati a guardia dell'ingresso lo salutarono e lui ricambiò con un cenno. Oltrepassò la soglia, a passo sostenuto, infilando le chiavi in una tasca dei pantaloni.

Damian, uno dei tre Comandanti che si occupavano della sicurezza della famiglia reale, era arrivato e lo stava aspettando. Intravide la sua sagoma attraverso la porta semiaperta di una saletta laterale. Il Generale al comando dell'esercito del Wanax si era impegnato personalmente a convocare, nel giro di quarantotto ore, trenta dei migliori soldati in circolazione. Al telefono gli aveva detto di averli scelti in base a particolari meriti, caratteristiche e abilità. Per Esteban non sarebbero comunque mai stati all'altezza di quelli che aveva addestrato personalmente e che erano stati uccisi per mano di Vitus. A lui interessava solo che sul campo fossero davvero spietati e pronti a sacrificare la loro vita per il Wanax, il resto non contava.

Si diresse verso la porta da cui filtrava una fredda luce al neon, deciso a fare più in fretta possibile. Non era entusiasta all'idea di inserire dieci soldati sconosciuti all'interno del gruppo da lui guidato. La prioritaria era conoscerli e poi vederli in azione per capire di che pasta fossero fatti.

«Ti piaceranno», gli disse Damian appena lo incrociò.

A lui non piaceva mai nessuno, ma ritenne che in quel momento non fosse il caso di sottolinearlo, e così non replicò per evitare di risultare sgarbato.

Alex entrò in quel momento. Indossava l'uniforme delle Guardie del Wanax. Notò che anche Damian era vestito in modo formale, segno che entrambi davano molta importanza alla selezione dei soldati. Senza perdere tempo il Comandante dagli occhi ossidiana raggiunse la grande sala centrale della palestra, dove trenta soldati erano divisi in tre gruppi da dieci.

«Il primo gruppo arriva dagli Stati Uniti, il secondo dall'Australia e il terzo dal nord Europa», li informò Damian. «Alex, cominciamo da te?».

Era una proforma e lo sapevano bene, di fatto un gruppo valeva l'altro, ma la scelta dei soldati era un rituale importante nelle dinamiche dell'esercito: l'essere selezionati aveva un significato profondo e di grande onore.

Esteban, in quel momento, non aveva alcuna voglia di pensare a certe formalità. Il suo sguardo aveva vagliato ognuno di loro, per poi fermarsi su un solo elemento.

Sentì vagamente le parole di Alex mentre prendeva sotto la propria ala il primo gruppo, quello degli americani, e subito dopo Damian con un gesto del braccio lo invitò a scegliere a sua volta.

«Voglio il terzo gruppo ma senza la ragazza, per me può tornarsene a casa. Nove unità sono più che sufficienti », affermò Esteban, mantenendo un tono il più possibile piatto. Il suo sguardo era rimasto fisso sullo stesso punto per lunghi e interminabili secondi, ne era pienamente consapevole e non faceva nulla per nasconderlo. In quel gruppo c'era un elemento che di sicuro non voleva al suo fianco.

«Puoi prendere gli altri dieci», gli fece notare Damian, con garbo.

Esteban aveva più di un motivo per ignorare il suggerimento e continuò: «Se non sbaglio il Regolamento mi consente di dare prova dell'inadeguatezza di un elemento».
La freddezza con cui pronunciò quella frase fermò il respiro a molti. Un Comandate avrebbe dovuto ben guardarsi dall'insinuare di fronte ad altri soldati che un elemento del suo esercito poteva essere debole. Era la più bruciante umiliazione che un vampiro potesse infliggere a un altro membro della sua stessa specie. Esteban lo sapeva bene.

Xenja rimase immobile di fronte a quelle parole sferzanti, sputate con cattiveria dalla bocca di chi sarebbe potuto diventare il suo Comandante. Era una delle pochissime femmine vampiro in servizio nell'esercito e sapeva fin troppo bene cosa significava guadagnarsi ogni giorno il rispetto di colleghi e superiori.

Rimase in silenzio per ascoltare l'ordine che stava per arrivare, come qualsiasi bravo soldato avrebbe fatto. Se avesse dato retta al suo istinto, non avrebbe esitato ad affrontare il grosso vampiro che forse pensava di essere il migliore solo perché aveva il potere. Ma lui era un Comandante e lei un semplice soldato, il mondo girava così da millenni e lei era consapevole che non avrebbe mai potuto dire quello che pensava davanti a tutti. Ci sarebbero state altre occasioni per farlo, ne era certa.

Con i piedi ben piantati a terra e lo sguardo dritto davanti a sé, rabbrividì nel sentirgli dire: «Se vuoi restare, dovrai dimostrare quanto vali, tenendo testa a cinque soldati nella gabbia. Per tre minuti».

Girò di poco la testa verso sinistra cercando di mantenere un'espressione imperturbabile. La gabbia era una struttura di otto metri di diametro, realizzata con sbarre di acciaio intrecciate tra loro a comporre una forma perfettamente sferica. In alcuni punti strategici erano fissate catene, corde e manette utili a bloccare l'avversario. La gabbia poteva essere usata in modi diversi. Spesso lì dentro si affrontavano due vampiri e vinceva chi riusciva a immobilizzare l'altro. Nelle prove più difficili un soldato doveva affrontarne altri due e per vincere la sfida doveva uscire dall'unica porta posizionata sul fondo della sfera. Era rarissimo che a un soldato venisse richiesto di affrontarne più di due per un tempo prestabilito. A lei era stato imposto di resistere senza farsi immobilizzare fino allo scadere del tempo, ovvero finché la porta non si fosse aperta. Intrappolata lì dentro con cinque tizi ben più grossi di lei per addirittura tre minuti: era un'impresa pressoché impossibile. Esteban voleva mandarla a casa a tutti i costi.

Xenja non fiatò e si diresse a testa alta verso quella maledetta gabbia.

«Niente armi», sentì aggiungere dal Comandante, come se non fosse una cosa ovvia.

Tolse il giubbotto di pelle, la maglia in cotone e rimase con una canottiera e un paio di pantaloni molto attillati, i vestiti larghi erano pessimi alleati quando bisognava evitate di farsi prendere. Tenne gli anfibi, sarebbero stati utili per assestare qualche calcio, ma infilò dentro i lacci, sugli stinchi, per ridurre al minimo gli appigli. Era pronta.

Mentre i cinque soldati scelti da Esteban si avvicinavano Xenja valutò gli aspetti a suo favore: il suo margine di errore era pari a zero quando bisognava contare i secondi con la mente, anche sotto sforzo; inoltre risultava sempre tra i primi quando si trattava di velocità e il potere che possedeva dalla nascita le permetteva di scomparire per alcuni istanti, di solito bastava per disorientare l'avversario. Il principale elemento di sfavore era, invece, quello di non avere esperienze di combattimenti lunghi più di sessanta secondi. Avrebbe voluto non pensarci, ma una voce insidiosa e ridondante ripeteva che era fregata. Entrò per prima dentro quell'inferno d'acciaio. Diede una rapida occhiata intorno cercando di memorizzare bene dove fossero state posizionate catene, corde e manette.

«Via!». L'inizio della prova arrivò a sorpresa, un colpo basso che la fece infuriare ancora di più.

Xenja accolse i cinque con un sorriso tirato. Se doveva uscire di scena, meglio farlo con stile. Avrebbe lottato con le unghie e con i denti, non tanto per l'obiettivo di entrare a fare parte delle Guardie del Wanax, massimo privilegio a cui potesse assurgere un soldato, ma perché la sua dignità come donna era stata calpestata, per l'ennesima volta.

Sferrò il primo calcio a uno degli avversari e poi attivò il suo potere, scomparendo per una frazione di secondo, spostandosi sul lato destro di circa mezzo metro. Ben presto quei cinque avrebbero scoperto la sua strategia e per lei sarebbe stato più difficile resistere, ma fino a quel momento la tecnica restava quella di colpire e sparire, sparire e colpire. Dieci secondi. Andò avanti così per un po' e al trentesimo secondo poteva vantare sei calci ben assestati e due incassati. Quel vantaggio non sarebbe durato a lungo. Stava bruciando una quantità incredibile di energie, ne aveva bisogno per attivare il potere e non aveva modo di fare diversamente.

Al quarantottesimo secondo sorprese alle spalle un primo soldato e riuscì a immobilizzargli un polso con le manette. C'erano altri quattro energumeni da sistemare. Doveva ricordarsi di non avvicinarsi troppo a quello ammanettato: aveva denti, gambe e un braccio liberi.

Lo spazio intorno a lei divenne più stretto quando i quattro la accerchiarono. Saltò facendo leva con il piede destro sulla spalla del soldato ammanettato e durante la caduta trascinò con le gambe uno degli avversari. Gli passò fulminea una catena intorno al collo per bloccarlo contro le sbarre di acciaio.

Settantaquattro secondi. Ne restavano tre. Per un istante gettò uno sguardo fuori dalla gabbia. Gli occhi di Esteban erano fissi su di lei. 'Fanculo!

Un calcio la colpì in pieno viso, facendole sbattere la testa contro le sbarre d'acciaio freddo. Il sapore del sangue le riempì la bocca. Non poteva essere bloccata già dopo ottanta secondi! Facendo finta di non avere le forze per reagire, si trascinò verso la corda. Appena il soldato la afferrò per legarla, lei attivò il suo potere, scomparve per pochi secondi, solo il tempo di volare alle sue spalle, coglierlo di sorpresa e passargli la corda attorno al collo. Non era certo facile abituarsi a un avversario che ogni tanto scompariva. Grazie mamma! Si allontanò in fretta dal soldato che scalciava e si dimenava nel tentativo di liberarsi. Se non voleva morire soffocato gli conveniva restare fermo, era piuttosto bravina con i nodi scorsoi.

A novantasette secondi, restavano ancora due soldati e poche energie su cui contare. Se avesse continuato a scomparire e riapparire sarebbe caduta priva di sensi. Conosceva i suoi limiti e non le sembrava il caso di provare a superarli proprio in quell'occasione. Fece alcune veloci rotazioni su se stessa nel tentativo di guadagnare secondi preziosi. Quando mancava ancora un minuto, nella sua mente era già iniziato il conto alla rovescia. Impiegò venti secondi buoni per immobilizzare il quarto vampiro. Ne aveva quaranta per mettere Ko il quinto.

Sapeva bene che non sarebbe stata un'impresa facile. L'ultimo avversario fino a quel momento non aveva alzato un dito, era fresco come una rosa, mentre lei faceva fatica perfino a respirare. Nonostante i tentativi, non riuscì a colpirlo, cosa che invece fece lui, ripetutamente. Tenergli testa si stava rivelando un'impresa davvero dura. Per cercare di sfuggire al soldato che la incalzava, attivò il potere più volte di quanto avrebbe voluto. Riuscire a colpirlo sembrava impossibile. Le assestò l'ennesimo calcio quando mancavano ancora quindici maledetti secondi. Non ce l'avrebbe mai fatta.

Cadde a terra, sfinita. Tredici secondi. Girò la testa verso i suoi compagni, vide nei loro occhi un'accorata incitazione. Non poteva arrendersi proprio alla fine. Posò i palmi delle mani a terra e, raccogliendo le ultime forze rimaste, si diede una spinta per tirarsi su.

«Meno male, cominciavo ad annoiarmi», la sfotté il soldato.

Xenja intuì che lui avrebbe tentato di immobilizzarla solo vicino allo scadere del tempo, platealmente. Era un esibizionista, per fortuna. Un altro al suo posto l'avrebbe bloccata senza perdere tempo ma quello era talmente sicuro di sé da volerla umiliare fino all'ultimo, convinto com'era della propria forza.

Affidandosi alle poche energie che le restavano, tenute insieme dalla caparbietà più che dalla forza, fruttò gli ultimi secondi per dare spettacolo, scomparendo in modo intermittente, ma di continuo. Se non poteva sconfiggerlo doveva almeno provare a non farsi catturare, del resto le regole lo consentivano.

Incassò altri calci ma riuscì a ricambiare assestandone uno ben piazzato con la punta degli anfibi dietro al ginocchio del soldato. Non sperava certo di mandarlo a tappeto, ma avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di guadagnare tempo. E ci riuscì. Quella mossa si rivelò vincente.

Allo scadere dei centottanta interminabili secondi, l'intero gruppo di soldati a cui apparteneva esultò e l'entusiasmo contagiò anche gli altri due gruppi convocati.

Usciti dalla gabbia, l'ultimo avversario le strinse la mano. «Mi devo ricredere. Sono onorato di averti qui con noi», le disse cogliendola alla sprovvista. Appena liberato, il soldato che era stato immobilizzato con la corda le diede una pacca sulla spalla, mentre un altro le riservò addirittura un inchino. Gli altri due non la guardarono neppure ma del resto non poteva biasimarli, era facile immaginare quello che li attendeva al cospetto di Esteban. Girò lo sguardo verso i tre Comandanti. Mentre Alex e Damian parlottavano tra loro, Esteban guardava con durezza i soldati neutralizzati da Xenja nella gabbia.

«A rapporto», ringhiò.

Provava quasi compassione per loro: Esteban non ci sarebbe andato leggero. Si passò il dorso della mano sul viso per asciugare il sudore. Scoprì che era soprattutto sangue.

«L'addestramento inizia tra quattro ore, vi voglio in forze», disse Esteban. Aspettò che tutti abbassassero la testa con deferenza, poi salutò Alex e Damian, voltò loro le spalle e se ne andò.

Da quando era uscita dalla gabbia, il Comandante non l'aveva degnata neppure di un'occhiata. Ma a lei non importava. Strinse le palpebre per una frazione di secondo prima di alzare la testa come gli altri. Era ufficiale: faceva parte dei dieci soldati scelti e doveva considerarsi agli ordini di Esteban. La cosa più eccitante e terrificante che sarebbe mai potuto capitarle.

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