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Le iridi di Levi si sgranarono, basite. Quelle parole non avevano alcun senso.
«Gioiello? Ti sembro una fottuta collana?»
Eren - questo il nome della creatura - tracciò con l'unghia affilata una linea immaginaria, la quale stridette contro la barriera invisibile che proteggeva il corvino, incredibilmente tangibile e concreta al suo tocco. Si leccò le labbra ancora una volta, come se quell'impedimento lo irritasse e divertisse insieme.
«Sei molto meglio... Se soltanto mi permettessi di avvicinarmi, potrei dimostrartelo. Lascia che ti sfiori...»
«Neanche per scherzo!»
«Non vuoi godere? Sono molto bravo, te lo assicuro... Potrei farti venire solamente con la lingua, basta che tu lo voglia» e come a voler avvalorare la propria tesi, la fece scivolare sui denti con fare suadente e peccaminoso. La schiena del giovane criminale venne attraversata da un brivido nell'attimo in cui la propria mente elaborò quanto il demone gli avesse appena proposto; subito dopo, ne comprese le relative implicazioni.
«Perciò questo muro... magico, sono io ad attivarlo? Risponde alla mia volontà?»
Eren si irrigidì, stringendo i pugni e serrando la mascella. Aveva parlato troppo. Levi allora sorrise, avanzando di un passo verso l'altro e facendolo indietreggiare in risposta.
«Sei meno spavaldo, vedo. Grazie per l'offerta ma posso provvedere da solo, al mio piacere.»
«Oh» sporse il labbro, offeso, «ne sei proprio sicuro? È veramente triste pensare che un bel bocconcino come te si masturbi in solitudine. Uno scenario piuttosto desolante... Pensa se invece ti leccassi ovunque, persino quel posto recondito che so per certo ti farebbe gemere e contorcere sotto le mie mani... Urleresti il mio nome, pregandomi di fotterti più forte che posso fino a farti svenire... Vuoi provare?»
La lama tornò all'interno del manico con un movimento deciso del polso di Levi, il quale prese a camminare come nulla fosse tra i cadaveri e il sangue, scuro e denso, in cui erano immersi, superandoli in punta di piedi con un moto di disgusto. Quell'odore ferroso gli dava il voltastomaco, molto più delle viscere e degli intestini in bella mostra che adornavano l'asfalto, accanto a teste mozze e orbite in fuori.
«Declino l'invito, puoi andare a trastullarti con qualche puttana prosperosa nel bordello giù all'angolo, se ti va. Magari avrai maggior fortuna e sfogherai i tuoi... istinti. Se non le ammazzi prima, ovvio.»
Eren lo seguì, osservando la sua espressione raccapricciata con genuina curiosità. «Non ho bisogno di cercare altrove. È te che voglio, non lo hai ancora capito?»
«Ah, davvero?» lo schernì con tono ilare, svoltando verso la strada principale. «Su quali basi, sentiamo.»
Sentì lo sguardo del demone alle sue spalle trafiggerlo da parte a parte, spogliandolo di tutto senza nemmeno toccarlo. Completamente vestito, Levi si sentiva esposto ai suoi occhi avidi e smaniosi di posarsi sulla sua pelle nuda, pronta ad essere segnata dai suoi artigli e dai suoi morsi.
«Mi piace il modo in cui mi sfidi. Sei uno che non si arrende, un vero combattente. Sei tenace, e dall'aspetto direi anche molto... resistente. Scommetto che potrei scoparti senza sosta per giorni, e non averne mai abbastanza.»
«Carino. Corteggi tutti così? "Ciao, dammi il tempo di commettere una carneficina e sono subito da te, che ti sbatto in quattro e quattr'otto"» lo scimmiottò il giovane, ed Eren rise di gusto.
«Sono un tipo diretto.»
«L'ho notato.»
Levi si fermò bruscamente, costringendo anche il proprio "salvatore" a fare altrettanto. Erano ai limiti della zona sotto il diretto controllo del Guercio, a un passo dai lampioni e dall'andirivieni dei passanti. Si voltò, osservando la creatura con fare pratico.
«Senti, ti ringrazio per l'aiuto ma non ho nessuna intenzione di farmi scopare per ricambiare il favore.»
«Prometto che sarò delicato, se preferisci un approccio meno rude...» gli sorrise Eren, sornione.
«Con quelle zanne? Ne dubito. Inolt-»
«È l'aspetto che ti disturba? Bastava dirlo subito.»
Sotto gli occhi increduli di Levi, i canini innaturalmente appuntiti lasciarono il posto a una normale dentatura, le unghie si fecero rosee ed arrotondate; l'incarnato si schiarì appena, divenendo bronzeo e le corna svanirono tra i ciuffi ribelli; infine, le iridi d'oro puro di trasformarono in smeraldi preziosi, incastonati nella madreperla al posto dell'onice. Il pantalone largo e logoro che indossava lasciò spazio a vesti moderne e comuni, coprendo la figura scolpita di quello che ormai, a tutti gli effetti, pareva un essere umano.
«Meglio? Sono di tuo gradimento, adesso?» si indicò soddisfatto, e Levi sbuffò. Non era male, adesso che rispecchiava maggiormente i suoi gusti, ma da qui a farsi montare come un animale ce ne voleva...!
«Sei meno ripugnante, te lo concedo. Qualche prostituta potrebbe anche starci, ma io non batto i marciapiedi e non provo una riconoscenza tale da indurmi a chinarmi a novanta gradi. Addio.»
Non si accorse del suo movimento repentino, non percepí nemmeno lo spostamento d'aria. Levi se lo ritrovò davanti in un battito di ciglia e, d'istinto, attivò inconsapevolmente lo scudo a sua protezione, provocando un moto di disappunto in Eren.
«Non vuoi proprio cedere, mh?»
«Non mi piego al volere di nessuno. Sono il padrone di me stesso» rispose, e il demone sorrise.
«Non te ne faccio un torto, la penso esattamente come te.» Spostò il peso da un piede all'altro, i pugni nelle tasche dei jeans slavati. Sembrava un normalissimo adolescente e non una creatura sovrannaturale. «Potresti almeno ospitarmi per la notte. Ti ho salvato la vita, dopotutto.»
Il corvino storse la bocca, l'odore sulfureo che l'altro ancora emanava gli irritava le narici.
«Non puoi tornare nel buco da dove sei venuto?»
Le labbra di Eren persero la forma genuina di poco prima, mestamente curve in un sorriso che non giungeva ai suoi occhi impossibilmente verdi.
«Preferirei prolungare il mio soggiorno qui, se non ti secca la mia compagnia.»
Levi lo fissò, indeciso: nessuno metteva piede nel suo appartamento, non era solito ricevere visite né le desiderava; tuttavia, offrirgli il divano sarebbe stata la cosa meno strana della serata, visti i recenti eventi. Un demone in casa sua, da non crederci.
«Tch, seguimi» bofonchiò con un gesto del capo, fermandosi a guardarlo da sopra la spalla dopo appena due passi. «E tieni le mani a posto, se ci tieni a conservarle.»
Il ragazzo proseguì, diretto alla propria abitazione, ed Eren non riuscì a non far cadere l'occhio sul sedere dell'altro, piccolo e sodo. Sospirò, le dita che formicolavano solamente nell'immaginare di poterlo sfiorare, graffiare con le unghie, segnare coi suoi morsi mentre si contorceva sotto di sé, agile e flessuoso, nell'impossessarsi del suo corpo... e non solo.
«Mi pregherai di non farlo» sussurrò tentatore e nel buio della notte, per un attimo, le sue iridi brillarono come oro.
-
Sul pianerottolo buio di un palazzo fatiscente, Levi aprì la porta di casa con una lieve spinta, i cardini arrugginiti e la serratura che faceva le bizze da almeno un decennio. Accese la luce che, con uno sfarfallio, schiarì l'ambiente spoglio e dall'intonaco leggermente crepato dal tempo.
«Entra, prima che qualche ficcanaso ti veda» sibilò ad Eren, e il demone fece quanto richiesto con un ghigno divertito.
«Hai paura che qualcuno scopra che stanotte perderai la tua virtù?» lo derise, mentre Levi richiudeva l'uscio con un tonfo secco e rumoroso.
«La mia virtù, come la chiami tu, l'ho persa da un bel pezzo; non me ne frega un cazzo di quel che pensano gli altri e l'unico buco che vedrai stanotte è quello nel muro del soggiorno, idiota. Mi interessa solo che continuino a temermi, tenendosi a debita distanza, e non mi scambino per un fottuto samaritano perché è l'ultima cosa che sono.»
Le chiavi vennero appese accanto all'ingresso e Levi fece strada all'interno. Un percorso breve, visto che l'appartamento era minuscolo.
Il piccolo corridoio dava direttamente nell'area principale della casa, ovvero una stanza con una sola finestra, un piccolo cucinino nell'angolo, un divano che aveva visto decisamente anni migliori, alcune mensole storte e una radio che, ad occhio e croce, risaliva al dopoguerra.
«Oh, lo so bene, Levi.»
Il corvino si congelò sul posto, il palmo già stretto intorno al serramanico nella tasca dei jeans. Non gli aveva detto il suo nome. Non c'era nulla, in quella casa, che potesse in alcun modo fornirglielo, nemmeno la targhetta sul campanello che recitava ancora "Kenny Ackerman".
«Cos'altro sai, di me...?»
«Hai compiuto il tuo primo omicidio a tredici anni. Sei giunto alle sue spalle e gli hai reciso la gola di netto come si fa con un maiale, facendogli gorgogliare sangue e bestemmie mentre la vita scivolava via dal suo corpo. Per un istante, ti sei sentito potente. Immediatamente dopo ti sei sentito un vigliacco e hai vomitato poco distante dal suo cadavere ancora tiepido, espellendo bile e senso di colpa dal tuo organismo.»
Levi percepiva Eren alle sue spalle, il tanfo di zolfo ad avvolgerlo insieme all'inconfondibile odore di morte, le iridi sgranate mentre fissava un punto indefinito di fronte a sé. Quei dettagli li conosceva solamente il suo vecchio, zio e mentore di un assassino in erba, ed era crepato tempo addietro portando quel segreto, insieme a tutti gli altri, nella fossa comune dove era stato sepolto.
«La tua mente è affollata dai pensieri, adesso. Come possiede queste informazioni? Sono in pericolo?» soffiò al suo orecchio, incredibilmente vicino ma non quanto bastava per essere respinto dallo scudo che avvolse Levi a sua protezione. Li separavano pochi centimetri, ma era come se Eren gli fosse fisicamente incollato addosso, un ulteriore strato al di sopra dell'epidermide che lo appesantiva di ogni singolo peccato di cui si era macchiato. Il ragazzo si sentiva soffocare, i polmoni saturi dell'angoscia che avevano provato le sue vittime.
Quell'opprimente sensazione svanì di colpo non appena il castano indietreggiò di un passo, lasciandolo così libero di respirare semplice aria e non puro tormento.
«Non è mia intenzione farti del male, Levi. Se così fosse, saresti già morto...»
«O forse è più corretto dire che non ti è possibile farlo...?» azzardò il criminale ed Eren sorrise.
«Touché» esclamò, lasciandosi cadere sulla stoffa consunta del divano, le braccia larghe sullo schienale sgualcito e le gambe distese con poca eleganza. «Le mie azioni, comunque, sono piuttosto chiare. Ti ho salvato da fine certa, questo non basta a confutare la mia sincerità?»
Levi lo fissò, gli occhi ridotti a due fessure. «Nessuno è mai totalmente onesto, perché mai dovrei fidarmi di un... demone?»
«Credi nell'Inferno e nel Paradiso?»
«Vuoi darmi lezioni di teologia?»
Eren rise, un suono oscuro, gutturale, facendo ondeggiare le ciocche d'ebano che fino a poco prima ospitavano un paio di corna solide e leggermente ricurve. «Gli uomini amano aggrapparsi a stronzate come il giudizio divino. La verità è molto più semplice di quanto crediate.»
«Illuminami, allora» sbuffò, poggiandosi coi fianchi al fornello sgangherato e incrociando le braccia, gli abiti ancora chiazzati di sangue.
«Questo pianeta è nato dal caos, un'esplosione cosmica la cui esistenza stessa poteva essere bilanciata unicamente dall'ordine. È dal loro perfetto equilibrio che la vita ha avuto inizio. Nessuna entità superiore ha sputato nel fango per crearvi, anche se questo la dice lunga sull'opinione che avete della vostra specie.»
«Non siamo migliori delle bestie, poco ma sicuro. Perciò, tu cosa sei?»
«Ci diverte definirci figli di Babele. Io e i miei simili viviamo al centro della Terra, circondati dal fuoco eterno che ne alimenta il nucleo e attingendo alle forze negative che regolano il flusso degli eventi. Ci nutriamo di tutto ciò che voi, comunemente, considerate un peccato: violenza, tradimento, perversione; sensazioni come inquietudine e angoscia ci scorrono nelle vene come linfa, alimentandoci senza sosta. Siete creature dai bisogni primordiali che si atteggiano ad esseri superiori, elevandovi erroneamente su un piano che non vi appartiene.»
«Insomma, niente Satana e Lucifero.»
«Abbiamo qualcosa di simile e altrettanto spaventoso.» Per la prima volta, da quando aveva iniziato a parlare, il volto di Eren si fece mortalmente serio, persino aggressivo, come se quello stato di cose gli provocasse enorme risentimento. Anche all'Inferno, allora, avevano dei grattacapi.
«E il famoso ordine...?»
«Ne parlate ogni giorno elaborando teorie, scrivendoci romanzi e film, gridando occasionalmente al miracolo. Non esistono emissari del Signore, così come non esiste alcun Dio. Le serve di Arione sono le vostre sirene e i vostri angeli, a perenne guardia di quelle brecce nella crosta terrestre dalle quali potremmo uscire indisturbati e dilagare senza sosta, ponendo fine alla sottile simmetria che ha dato origine a questo mondo.»
«Sarebbe stupido da parte vostra, non trovi?»
Eren scrollò le spalle, il viso più sereno e i tratti distesi. «Cosa vuoi che ti dica, siamo fatti di pulsioni elementari. La lussuria, in particolar modo, è la mia preferita. C'è del sublime, nel sesso, non sei d'accordo?»
Levi sollevò il mento con fare altezzoso, osservando il modo lascivo con cui il figlio di Babele si leccava le labbra. Lo avesse incontrato altrove e, soprattutto, fosse stato umano, avrebbe seriamente considerato una sveltina. Tuttavia, aveva visto il suo reale aspetto, mostruoso e terrificante, ed assistito alla sua trasformazione da lupo in agnello e non avrebbe ceduto così facilmente al richiamo della carne.
«È così che sei arrivato qui? Il vulcano più vicino è a chilometri di distanza» lo ignorò, tornando al discorso principale. La lingua di Eren schioccò contro il palato in un moto di stizza e disappunto, mentre volgeva lo sguardo al soffitto con fare annoiato.
«Sono veloce, molto più di quanto tu possa immaginare. Potrei percorrere l'intero globo in poche ore senza accusare stanchezza. Credi che questa possa essere un ostacolo?»
«Perché sei venuto proprio da me?»
«Perché sei stato tu a chiamarmi, te l'ho già spiegato.»
Levi lo fissò, basito. «Sì, ed io ti ho già detto di non averlo fatto. Non solo non ho aperto bocca, ma non ho neanche desiderato vendere l'anima al demonio, pur di salvarmi la pelle, quindi non rifilarmi stronzate. Cosa cerchi che non puoi ottenere altrove...?»
Le iridi di Eren si incupirono, perdendo il loro colore smeraldino solamente per tornare d'oro, letali e peccaminose.
«Tu sei la variabile impazzita in un proporzione perfetta, lo scompenso nella corrente che ci accomuna tutti. La tua stessa venuta al mondo è un errore dovuto al caso.»
Il corvino si era sentito dire più volte, nel corso della propria vita, che la sua nascita era stata uno sbaglio; di essere una disgrazia, una tragedia, una maledizione. Non era quindi un concetto nuovo, per lui. Eppure sentirselo dire da Eren gli fece male al petto, causandogli profonda sofferenza e turbamento. Persino il destino, il caos o qualunque fottuta forza governasse l'universo lo considerava uno scarto.
«Grazie per l'offesa, era da molto che nessuno mi accusava di esistere.»
«Non te ne sto facendo una colpa, tutt'altro!» Eren si alzò in piedi, avvicinandosi a lui con l'intenzione di toccarlo. La barriera, con un crepitio, lo respinse non appena allungò le mani verso il ragazzo dagli occhi gelidi. «Sei assolutamente perfetto, Levi. La sorte ha fatto sì che tu venissi alla luce per unirti a me. Sono secoli che ti cerco e oggi, finalmente, il tuo richiamo è giunto fino alle viscere della Terra, guidandomi affinché ti trovassi, reclamassi com'è giusto che sia. Tu mi appartieni.»
«Sarei un gioiello, mh?»
«Sì, è esatto.»
«Beh, non ci trovo nulla di poetico in questa trascendentale predestinazione, ma solamente l'ennesima rogna di cui non voglio occuparmi. Non sono un collier del cazzo, tantomeno un pupazzo da usare a tuo piacimento. È per questo che vuoi fottermi con tanta ostinazione? Sono il giocattolo con cui trastullarti?»
Levi avanzò, preda della collera che lo consumava, facendo sì che la coltre magica scottasse l'altro, l'odore di carne bruciata che invadeva l'ambiente angusto. «Mi dispiace per te se credi che quattro puttanate mitologiche mi spingano a sottomettermi. Non ho scelto di nascere né questa vita di merda, ma ho scelto di sopravvivere alle mie condizioni e sarà esattamente ciò che farò, fosse l'ultima cosa che faccio!»
A quelle parole urlate a pieni polmoni Eren perse la propria compostezza, riacquisendo alcuni tratti del suo aspetto originario; i canini si fecero nuovamente appuntiti, le corna sbucarono tra i capelli disordinati e le orbite tornarono nere come la pece, ingoiando l'oro delle sue iridi. Ruggì di rabbia, la bocca spalancata come se volesse azzannarlo da un momento all'altro.
«Tu sei mio, MIO! Non puoi negarti, né sfuggirmi in eterno! Questa barriera scomparirà ed io ti prenderò nel corpo e nell'anima, che tu lo voglia o no!»
«MAI!»
Un'onda di energia proveniente dalle membra di Levi, tremante di rabbia, sbalzò Eren contro il muro, crepandolo in tutta la sua lunghezza e stordendolo.
«Stanotte usa pure il divano, ma domani ti voglio fuori da qui.»
Il corvino sparì oltre una porta, probabilmente quella della camera da letto, ed Eren rimase a terra con la testa tra le mani, digrignando i denti talmente forte da farli stridere e impedirsi così di gridare a squarciagola, sfogando la propria frustrazione.
Non finisce così.
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