Colpo di fulmine

- Mi scoppia la testa, Sarè. Me ne vado a casa! -

Nina non attese una replica da parte dell'amica. Non ne poteva più.
Quella sera il locale le sembrava più rumoroso del solito. La musica le rimbombava nel cervello e la puzza di sudore mista a birra le stava facendo aumentare la nausea da emicrania.

Mentre recuperava la borsa guardò Sara rivolgerle un distratto cenno di saluto. Era talmente impegnata a flirtare con il nuovo barman, da non darle la minima attenzione.
In ogni caso Nina non si stupì affatto.
L'amica faceva sempre così: quando individuava una nuova e succulenta preda, partiva all'attacco come una leonessa della savana.
Era certa che quella notte sarebbero finiti a letto insieme, ma altresì era quasi matematico che il giorno dopo Sara non avrebbe ricordato nemmeno il suo nome...

Sempre che si sia sbilanciata a chiederglielo!

Nina la salutò sorridendo tra sé e prima di raggiungere l'uscita lanciò un'occhiata preoccupata verso il tavolo dove erano soliti sedersi Liam - il suo fidanzato - , suo fratello Matteo e i loro amici. Quella sera non si erano visti per niente e Liam non le aveva scritto nemmeno un messaggio.

Spero non si siano messi nei guai...

Una volta in strada, però, ricacciò indietro le proprie inquietudini e respirò a pieni polmoni l'aria frizzante di ottobre.
Adorava gli odori della sua città.
Rivolse lo sguardo al cielo e chiuse gli occhi per godersi il senso di sollievo procurato dalle piccole goccioline di pioggia mentre scivolano lente sul suo viso.

Anzio a quell'ora dormiva.

Nina sospirò pensando che in estate, a quella stessa ora, ogni stradina esplodeva ancora di gente.
A lei piaceva. Impazziva per il profumo costante di frittura che saliva dalle cappe dei ristoranti, amava camminare tra i turisti, guardare gli spettacoli degli artisti di strada nella piazza principale...
Ma nulla era più potente del senso di appartenenza che restituiva l'inverno.
Si sentiva la padrona della città.

Riaprì gli occhi quando si rese conto dell'aumentare della pioggia e seccata frugò all'interno della propria borsa alla ricerca dell'ombrello.
Un po' dispiaciuta lo aprì e con calma si incamminò verso casa. Avrebbe voluto passare per il lungomare come ogni sera in cui si sentiva troppo inquieta; la rilassava. Ma le bastò gettare un'occhiata al cielo rosso fuoco per desistere e allo stesso tempo accelerare il passo.

Per un centinaio di metri, gli unici rumori intorno a lei erano quelli delle sue scarpe a contatto con i sampietrini bagnati e il ticchettio della pioggia sul suo ombrello, e stava quasi per svoltare l'angolo che conduceva alla piazza quando un fruscìo alle sue spalle la fece inchiodare sul posto.

Si voltò di scatto, ma non vide nessuno. Rimase in ascolto per qualche secondo, certa di aver sentito qualcosa e infine deglutì, prese coraggio e mosse due passi verso il punto in ombra dal quale proveniva il rumore.
Sapeva di essere probabilmente diventata paranoica da qualche tempo, ma erano giorni che aveva la strana sensazione di essere seguita.

Non pensava di avere nulla da temere, ma... dato il contesto nel quale era cresciuta aveva imparato a guardarsi le spalle e per quanto possibile ad essere sempre pronta a reagire.
Comunque non sembrava quello il caso. Non c'era niente. Ma proprio mentre si stava voltando per tornare sui propri passi, un movimento improvviso dietro una pila di scatoloni le fece saltare il cuore in gola. Li guardò cadere a terra e stava per mettersi a correre dalla parte opposta quando il colpevole saltò fuori.
Nina scoppiò in una risata isterica osservando il gatto schizzarle accanto con tutto il pelo arruffato. Pensò che fosse più spaventato lui di lei.

- Ma cosa pensavi di trovare dentro degli scatoloni di Intimissimi? - gli urlò dietro, tirando poi un grosso sospiro di sollievo.

Si diede dell'idiota. Era davvero troppo tesa.
Liam non si era fatto sentire per tutto il giorno e la preoccupazione le aveva fatto esplodere il mal di testa.
Avrebbe fatto bene a rimanersene a casa, ma Sara aveva insistito così tanto che alla fine, anche solo perché la smettesse di darle il tormento, l'aveva accontentata.

Riprese a camminare e fu costretta ad accelerare perché, come aveva immaginato, la leggera pioggerellina si stava trasformando in un vero e proprio diluvio e imprecò verso se stessa per aver deciso di uscire a piedi. Aveva i piedi zuppi.

Stava ormai per imboccare la via di casa quando uno spettacolare fulmine illuminò il cielo sopra la sua testa, e il tuono conseguente non le permise di sentire il rumore di passi rapidi che puntavano dritto nella sua direzione.
Per questo motivo si ritrovò a subire il secondo principio d'infarto nel giro di pochi minuti e accadde quando, dal nulla, al suo orecchio, arrivò una voce maschile sconosciuta, calda, ma soprattutto... vicinissima.

- Allora, posso? -

Nina rimase impietrita. Accanto a lei era comparso un ragazzo fradicio dalla testa ai piedi, che con due occhi scuri e impenetrabili come la notte, la fissava con aria interrogativa.

Lui... Lui la fissava con aria interrogativa!

Erano fermi in mezzo alla strada, in balia di un temporale, entrambi ingobbiti sotto il suo minuscolo ombrello rosso. Lui che continuava a guardarla come se attendesse un qualche tipo di risposta e lei che non riusciva a fare altro se non ricambiare il suo sguardo. Troppo incredula per la bizzarra situazione per riuscire a replicare.

E poi cosa dovrei rispondere? Qual è la domanda? Da dove è saltato fuori questo qui?

Ma in tutto ciò, il fattore ancora più strano, se possibile, era che Nina non stesse provando nemmeno un accenno di paura. Questo la destabilizzò per un momento, perché vista la circostanza avrebbe dovuto essere il contrario.

- Scusa, ma per caso sei sorda? - chiese ancora lui, accennando un mezzo sorriso.

Nina lo scrutò assorta. Non sembrava pericoloso e di sicuro non era un balordo... o almeno lo sperava!
Aveva un buon profumo, reso ancora più intenso dalla pioggia. Sapeva di pulito. Sapeva di...

Ma che accidenti vado a pensare? Il profumo?

- Ci sento benissimo! Ma piuttosto tu chi sei, e cosa ci fai sotto al mio ombrello? - replicò poi stizzita, senza però riuscire a distogliere lo sguardo da quello divertito di lui.

- Io non direi, ti ho chiamata per tre volte. Un controllino te lo consiglio. - continuò a insistere il ragazzo misterioso, incrociando le braccia al petto.

Nina pensò alla situazione grottesca in cui si trovava in quegli istanti.
E rise immaginandola dall'esterno: due imbecilli immobili sotto un temporale pazzesco, con la ragazza che reggeva un ombrello troppo piccolo per riparare entrambi e lui, con la schiena curva per poterci entrare, che la fissava a braccia incrociate nell'evidente tentativo di non scoppiarle a ridere in faccia.

- C'è un temporale in caso non te ne fossi accorto. Per questo non ti ho sentito. - si giustificò lei, dopo essere tornata in sé. - Ora mi dici chi sei e cosa vuoi? Ti avverto: non ho soldi con me e ho un fratello particolarmente suscettibile. Valuta bene la tua prossima mossa! -

Dopo un attimo Nina rimase basita. Di nuovo.
Lui era scoppiato a ridere; ma a ridere di gusto. E la cosa ancora più assurda fu che lei fece altrettanto.
Mentre cercava di tornare seria pensò di aver esagerato nel rimproverarlo: se avesse voluto farle del male, valutò, ne avrebbe avuto tutto il tempo, tanto più che lei nemmeno lo aveva sentito arrivare.

Rimase a osservarlo mentre, ancora con le lacrime agli occhi, frugava all'interno delle tasche dei jeans neri. Lo guardò estrarre un pacchetto di sigarette, portarsene una alla bocca e poi offrirne una anche a lei.
Nina sollevò entrambe le sopracciglia e gli indicò con un gesto la loro posizione.
- Ma ti sembra il caso? Che ne so, vuoi anche una birra? Fai pure... tanto c'è spazio! -

La risposta di lui non tardò ad arrivare.
- Tu sei matta scocciata! -
Le sorrise, soffiandole sul viso una sottile nuvola di fumo. - Sono Riccardo, piacere. -

Le porse la mano libera dalla sigaretta e lei la strinse dopo un attimo di titubanza. Lui parve accorgersi della sua inquietudine, tanto che dopo aver sfoggiato un altro dei suoi sorrisi, si affrettò a chiarire: - Ti chiamavo semplicemente per chiederti un passaggio sotto l'ombrello. Ho dimenticato le chiavi di casa al lavoro e mentre tornavo indietro si è messo a piovere. Tutto qui! Non sono uno scippatore né tantomeno uno stupratore, puoi tornare a mettere la museruola a tuo fratello. -

Dio, che figura! Tanto più che non stavo nemmeno più pensando alla nota pericolosa di questo incontro dal momento in cui il suo odore...

- O-okay! - Nina si schiarì la voce, imbarazzata per la strana piega dei suoi pensieri. Distolse lo sguardo. - Io però sono quasi arrivata, tu dove abiti? - gli domandò, mentre impacciata aveva ripreso a camminare.

- All'inizio del lungomare, in pratica dall'altra parte di Anzio. Non fa niente dai... un po' d'acqua non mi ucciderà. - le rispose lui, un po' deluso.

- Se vieni fino al mio portone poi ti presto l'ombrello, non voglio certo averti sulla coscienza! - esclamò lei divertita, guardandolo di sottecchi.

Lui ricambiò il suo sguardo, strinse le palpebre e gettò a terra la sigaretta.
- Ma allora sai anche essere gentile! -

Nina non rispose. C'era qualcosa nei suoi occhi che era in grado di metterla in soggezione.
Fu di nuovo lui a parlare, e lo fece mentre le toglieva il manico dell'ombrello dalle mani e le passava un braccio intorno alle spalle.
- Va bene, però... guido io. Altrimenti mi avrai sulla coscienza per il mal di schiena con cui mi sveglierò domani mattina. -

Nina non disse una parola. Di nuovo.
Quel contatto l'aveva fatta irrigidire come una quindicenne al primo approccio e in cuor suo sperò che lui non se ne fosse accorto.
Sapeva che quel gesto non aveva nessun fine malizioso, Riccardo lo aveva fatto solo per praticità, ma la sua vicinanza le stava provocando qualcosa di inaspettato. Qualcosa che Nina non sapeva bene come definire.
Una sensazione... piacevole. Troppo.

- Tu invece come ti chiami? - le domandò lui dopo alcuni istanti, interrompendo ancora una volta la pericolosa strada che i suoi pensieri avevano intrapreso.

- Nina. - rispose lei, prima di indicargli di svoltare verso sinistra.

- Che sarebbe il diminutivo di...? -

Lei sorrise e lo guardò con la coda dell'occhio. - Di niente. Sono Nina e basta. -

Lo osservò soppesare la sua risposta. Non era il primo a chiederglielo, ma era il primo a non protrarsi in altre inutili osservazioni tipo: che nome particolare. Oh, ma allora sei straniera. Non è che ti chiami Pasqualina?

- Dove te ne andavi tutta sola di mercoledì sera? -

- Ero al Village Pub con un'amica, ma lei ha trovato compagnia e quindi ne ho approfittato per andarmene. - rispose lei facendo spallucce.

Lui la guardò. - Ne hai approfittato? Quindi non ti stavi divertendo. -

- Non molto. Quando c'è questo tempo mi piace stare a casa, nel mio letto, a gustarmelo sotto le coperte... -

Ma che cazzo sto dicendo? A uno sconosciuto! Potrebbe interpretare male...

- Anche a me. - rispose infatti lui, rivolgendole quello che sembrava a tutti gli effetti uno sguardo allusivo.

Nina finse di non capire, ma d'istinto accelerò ancora il passo finché non intravide il portone di casa.
Glielo indicò, si sciolse in fretta dal suo abbraccio e si allontanò per ripararsi poi sotto la tettoia.
Lui era rimasto fermo sul marciapiede, sembrava divertito.

Nina approfittò della distanza e della luce gialla del lampione per ossevarlo meglio. Ora che aveva la schiena in posizione naturale si accorse di quanto era alto, forse una ventina di centimetri più di lei e i capelli erano scuri quanto i suoi occhi. Sembrava allenato; il fisico asciutto, le spalle larghe... forse era per questo, pensò, che aveva provato quel senso di sicurezza quando lui l'aveva stretta a sé mentre camminavano.

Si ritrovò a deglutire quando si accorse che anche lui la stava scrutando. Si sentì terribilmente a disagio, anche perché si rese conto di essere vestita malissimo.
Era uscita talmente svogliata da infilare le prime cose che le erano capitate sottomano: un paio di leggins neri, le converse rosse consumate... e per fortuna il parka nascondeva la vecchia felpa dei Guns N' Roses con cui a volte andava anche a dormire.
In pratica sembrava essersi preparata per un corso di Zumba più che per una serata al pub e lo confermava anche la coda di cavallo tiratissima.

Davvero sexy... complimenti a me!

- Sei tornata sorda... non prenderla a male, ma se vuoi posso consigliarti un otorino davvero in gamba. -

Nina sussultò e anche se non poteva vedersi, era certa di essere diventata paonazza.
- Scusa, ero sovrappensiero... che hai detto? - domandò con finta noncuranza, ma portando il peso da un piede all'altro dopo aver infilato le mani nelle tasche del giaccone.

Riccardo sorrise e attraverso un leggero accenno di barba lei riuscì a scorgere quella che sembrava una fossetta sul lato destro del viso.

Merda! La fossetta no! Sembra il capitolo di un libro per adolescenti dove il ragazzo bello come un attore stende la sfigata di turno con il suo bianchissimo sorriso e quell'alone misterioso che aleggia nei suoi occhi impenetrabili.

- Ti stavo ringraziando per il passaggio e... niente, spero di rivederti in giro... -

- Questo è poco ma sicuro, devi restiturmi l'ombrello. - provò a scherzare lei, mentre con troppa veemenza cercava le chiavi dentro la propria borsa. Appena le trovò ne approfittò subito per dargli le spalle, e cercando di non apparire troppo imbranata le infilò nella toppa.
Si voltò a guardarlo da sopra la spalla.

Era ancora lì. E la stava fissando.

Non c'era più traccia d'ironia negli occhi di lui e questo la mise ancor di più in soggezione.
Accennò quindi un veloce saluto con la mano e si infilò dentro al portone. Si ritrovò poi a lasciarsi scivolare con la schiena lungo la sua parete interna per riprendere fiato.
Aveva fatto appena in tempo a vederlo rispondere con un cenno della testa e anche quel banale gesto aveva smosso qualcosa di incomprensibile dentro di lei.

Ma che cazzo mi è successo?

Decisa a levarsi dalla testa quei due occhi indagatori, ancora confusa da quello strano incontro e dopo essersi raddrizzata, salì i gradini fino ad arrivare alla porta del suo appartamento.
Una volta dentro, però, lasciò cadere la borsa sul divano e mentre si sfilava il giaccone attraversò la sala per raggiungere la finestra.

Non riuscì a trattenere una risata quando scorse un ragazzone allontanarsi con tutta calma, con un piccolo ombrello rosso sopra la testa. La sua camminata era tranquilla e a lei sembrò quasi di sentirlo fischiettare.

Lo seguì con lo sguardo finché lo squillo del telefono non la costrinse ad allontanarsi dalla vetrata. Corse verso il divano e lo tirò fuori dalla borsa.

Liam...

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