Without You (One shot)

ONE SHOT

Connor varcò la porta con forte titubanza, mettendo lentamente un piede davanti all'altro con quei movimenti precisi e perfettamente sincronici che ci si aspetterebbe da un androide. Voltò la testa prima a destra poi a sinistra, facendo scorrere lo sguardo su una serie di dettagli che poco dopo si sarebbe soffermato a guardare meglio, assottigliando la vista.
L'angolo accanto al camino nel quale Sumo aveva sempre avuto l'abitudine di sdraiarsi era tristemente vuoto; la sua dolce presenza poteva essere ricollegata al presente solo grazie ai preziosi ricordi immagazzinati nella memoria del robot, che venivano resi più vividi e reali grazie alla piccola quantità di peli ancora presenti sul pavimento, ormai uniti alla polvere.
L'androide strinse i pugni e spostò lo sguardo sul tavolo della cucina, sul quale era posato un piatto sporco i cui residui ancora presenti sul fondo avevano iniziato a riempirsi muffa; e poco distante, poggiata sul dorso e girata al contrario, la foto di Cole.
La casa era avvolta da un silenzio surreale; le luci tutte spente, le finestre chiuse, conferivano all'ambiente un aspetto tetro. Connor riprese ad avanzare seppur la sua mente robotica fosse già fin troppo attanagliata da una terribile sensazione di dolore, che non era più correttamente paragonabile a nessuna emozione umana che non fosse la disperazione generata da una perdita. Imparare a conoscere le emozioni e addirittura riuscire a provarle in prima persona era stato per Connor un traguardo importante, un cambiamento che aveva riempito la sua esistenza di un magico e affascinante feeling con ciò che lo circondava. Adesso, tuttavia, chissà che cosa avrebbe fatto per impedire a sé stesso di percepire quella spietata disperazione.
La cravatta dondolava lentamente sul suo petto mentre percorreva il corridoio semi avvolto dall'oscurità, fino a raggiungere la stanza di Hank. La porta era aperta, il letto ancora disfatto; le coperte erano sollevate nella tipica posizione che assumono quando, al mattino, ci si alza e le si scanza svogliatamente. Un sottile strato di polvere vi si era adagiato, e luccicava sotto i raggi del sole che trapassavano il vetro sporco della finestra.
I recettori olfattivi di Connor si attivarono nel momento in cui il robot ispirò un'abbondante quantità d'aria. Un brivido percorse la sua schiera nell'istante in cui lo riconobbe: l'odore di Hank.
Quella stanza ne era impregnata, quelle pareti, quelle coperte.
Lo sguardo ora profondamente abbattuto dell'androide percorse lentamente gli oggetti riposti in modo disordinato sul comodino e per terra: qualche rivista, un pacco di fazzoletti, una vecchia sveglia a pile ed una bottiglia di whiskey vuota.  Ogni singolo dettaglio che il suo sguardo catturava lo riportava indietro nel tempo, e scuoteva la sua anima come fosse una bandiera travolta da una tempesta.
Avrebbe fatto di tutto per riavere il tenente al suo fianco; tuttavia, la sua morte li aveva divisi con una violenza inaudita in modo tanto improvviso quanto crudele. Li aveva strappati via l'uno dall'altro con la forza di un uragano, lasciando nella vita dell'androide solo un'immensa tristezza.
Lo sguardo di Connor si abbassò ancora, lentamente ed inesorabilmente, fino a tornare a posarsi su quella bottiglia.
"Whiskey Product. in U.S.A. 40%Vol".
In quel preciso momento, leggendo quelle parole, ebbe un'idea. C'era solo e soltanto un modo per vedere Hank ancora una volta.
Il sofisticato programma di ricostruzione di cui il suo modello era stato dotato, gli aveva permesso in quei lunghi mesi di lavoro al fianco della polizia di catturare devianti e risolvere i casi più complessi; ma questa volta, per la prima volta, ne avrebbe fatto un uso completamente diverso.
Focalizzò la sua vista cibernetica sull'oggetto, e tutto il resto dello spazio intorno divenne improvvisamente sfocato alla sua vista. Il robot avviò la ricostruzione riavvolgendo il tempo, finché la bottiglia non iniziò a muoversi.
Ecco che d'improvviso si alzò, compiendo un movimento a mezz'aria del tutto innaturale. Qualcuno la stava reggendo nella mano destra.
E quel qualcuno... Era Hank.
Connor alzò lo sguardo. La figura dell'uomo era appena accennata da alcune grezze linee che il suo sistema stava riproducendo nell'ambiente; tuttavia, di certo avrebbe riconosciuto il suo volto anche nelle più avverse delle condizioni.
Hank sollevò la mano e piegò lentamente la schiena più e più volte, mentre si portava la bottiglia alla bocca;
Connor lo osservò con tenerezza e sgomento, ma poi aggrottò la fronte divenendo pensieroso: mancava qualcosa.
//Ricostruzione incompleta//
L'androide avvolse il tempo una seconda volta, per poi ripetere gli avvenimenti nell'ordine esatto nel quale si erano susseguiti, circa tre settimane prima.

Hank è nella sua stanza, sta bevendo del whiskey. È di nuovo preda della sua tristezza, e come sempre affoga la sua sofferenza nell'alchool.
Connor lo raggiunge, apre la porta della sua stanza e gli dice qualcosa. L'uomo scoppia a piangere, getta a terra la bottiglia.
Poi fa un passo avanti, apre le braccia, e stringe l'androide forte contro al suo petto.

In quel preciso istante Connor mise in pausa il programma di ricostruzione fermando il tempo in modo brusco, e le sue labbra si piegarono in un'espressione di insopportabile dolore. Adesso la figura appena accennata del corpo di Hank era davanti a lui, con le braccia accerchiate, come stesse aspettando con impazienza che quel suo gesto d'affetto venisse ricambiato.
Una lacrima scese sulle guance di finta pelle del robot, ed i suoi occhi si chiusero come se in quel momento stesse cercando di catturare con la mente ogni dettagli più vivido di quel ricordo, ed unirlo al presente.
Fece un timido passo avanti e si immerse in quel finto abbraccio, unendo la sua figura ai contorni appena accennati del corpo di Hank.
Gli parve di sentire la sensazione scaturita dal contatto con le sue braccia, il rumore appena percettibile della sua maglia troppo larga che si appoggiava sulla sua camicia, ed il pizzichio dei capelli grigi e scompigliati sul suo collo.
Il led sulla tempia dell'androide si colorò di intenso rosso mentre, nel silenzio più totale, si lasciava cullare da quell'abbraccio così dolce, cercando conforto in una banale e triste illusione.


“Possiamo ancora vedere la luce di stelle che non esistono più da secoli. Così ancora ti riempie e folgora il ricordo di qualcuno che hai amato per poi vederlo andar via.” 
KHALIL GIBRAN

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