- Capitolo Ventuno -
Il viaggio verso Berkeley era stato lungo per me e pieno di pensieri.
Ero stanca, volevo dormire per almeno un giorno.
Tutta colpa di Noah e della pressione che mi metteva addosso con i suoi occhi.
In quei pochi attimi, mi aveva sfiancato.
Non ero capace di essere alla sua altezza, ma non perché mi sentivo inferiore ad altre.
Anzi, la mia autostima era alta e forgiata nel tempo, scendeva solo un po' quando mi guardavo allo specchio nuda e vedevo le mie imperfezioni.
Ma per il resto io mi sentivo inesperta.
Non avendo avuto nessuno in passato, per me era tutto nuovo.
Gli sguardi, la voglia di stare vicino a qualcuno, la sensazione di essere abbracciata per davvero.
Anche se il mio corpo rifiutava tutto questo, dentro di me ne avevo bisogno.
Provavo sensazioni mai sperimentate.
Un desiderio viscerale.
Mi ero sempre chiesta come fosse il fuoco della passione, del volersi e del desiderarsi.
Ma chi lo aveva mai capito?
Il desiderio in sé, potevi sperimentarlo solo se vivevi e io ultimamente ero morta dentro.
Forse era la sensazione che provavo mentre lo guardavo?
Quel tremolio nella voce che sentivo quando parlavo?
Quella sensazione strana sulla pelle, che mi faceva diventare calda come un falò in estate?
Non lo sapevo, ma ero convinta di una cosa però: Noah mi piaceva, almeno un po'.
E per me era già una bella vittoria.
Sentire il suo sguardo sfiorare la mia pelle, guardarlo negli occhi.
Con lui provavo forti emozioni, un desiderio ardente e vivo, solo guardandolo.
Voi mi direte, per tanto poco?
Ovvio che sì!
Io non ero nulla prima, ero meno di zero.
E vedere come lui mi aveva riaccesa dopo anni per me era vittoria e adrenalina..
Sapete cosa vuol dire essere circondati da ragazzi e aver paura di essere toccate? O meglio non volerlo essere perché nessuno riusciva a scalare la mia montagna di merda?
Ecco io sì!
Odiavo essere nel mezzo, a scuola, nelle uscite con Charlie, ai falò sulla spiaggia, nei bar, in tutti i luoghi che frequentavo.
Tutti, dopo che in qualche occasione avevo avuto atteggiamenti assurdi tanto da volermi nascondere nell'armadio nello stesso istante mentre li avevo, mi aveva catalogato come la "STRANA".
Ovviamente nessuno sapeva nulla della "mia notte".
Ma loro comunque avevano già catalogato me anche per questo.
Io ero "Strana" perché non volevo abbracci, baci, carezze oppure non volevo essere palpeggiata da milioni di ragazzi.
Io ero "Strana" perché non ero come le altre.
Io ero "Strana" perché per loro ero pesante, noiosa e non divertente come volevano loro.
Io ero "Strana" perché amavo bere, ma non ubriacarmi o anche fumare, ma non drogarmi.
Ma cosa cazzo voleva dire la parola "Strana"?
Strano, singolare, difforme dal normale.
Tutto per dire DIVERSO.
Sapete cosa mi sono sempre chiesta?
Chi dice che la strana sono io? E se fosse tutto il contrario?
Io giusta e loro sbagliati?
«Siamo arrivatiiiiii!»
Celine scelse proprio quel momento per tirarmi fuori dai mille pensieri che ogni volta mi giravano in testa.
«Dio mio, che viaggio! Non ce la faccio più», dissi scendendo dalla macchina.
«Ragazze, ci vediamo dopo da Stuart. Ok?»
Miki e David erano rimasti in macchina, pronti a ripartire verso il loro appartamento.
«Non abitate qui nei dintorni anche voi?» dissi, ignara di ogni cosa nel giro di due chilometri.
«No, cucciola, noi siamo in confraternita, ma dista più o meno dieci minuti da qui.»
Le mie sorelle avevano affittato un appartamento poco distante dal campus. Ma non ero a conoscenza di tutti gli altri.
Mi guardai intorno mentre le ragazze stavano parlando di qualcosa con i ragazzi, relativo alla sera stessa.
Mi spostai gli occhiali sulla testa e stiracchiai leggermente le ossa, fino a piegarmi in due per toccare la punta dei piedi con le mani.
Ero davvero, davvero stanca, mi facevano male i piedi e stranamente sentivo dolore anche alle caviglie.
«Che panorama»
Mi bloccai in quella posizione alzando solo la testa in direzione della macchina dei ragazzi.
La sua voce era inconfondibile, ma non riuscivo a vederlo.
Mi alzai lentamente e mi girai.
Era appoggiato alla sua moto, senza casco e con i capelli al vento.
Boom.
Il mio cuore fece un rumore sordo e inequivocabile.
Mi stava guardando il culo.
Razza di bifolco.
«Sei un maiale.»
«E tu una strega.»
«Stronzo»
«Rompiscatole»
«Imbecille»
«Coglione» dissi e lo guardai di traverso, stufa di questa lite da quindicenni con gli ormoni a mille.
«Ma la finite? Siete due bambini.» affermò Crystal mentre ci guardava impaziente ma con un sorriso sotto i baffi.
«Noah, come sta Lullaby?» continuò mia sorella mentre cercavo le mie sigarette nella borsa, già stanca delle stupide conversazioni che sarebbero arrivate tra cinque minuti.
«Bene, ha qualche graffio, problemi alla marmitta, avranno fatto qualche ritocco... ma sicuramente Jeff saprà sistemare la mia piccola»
Marmitta?
Lullaby?
Graffi?
Ritocco?
Parlavano della moto... Dio, ma quanto sei...
Rimasi immobile con la sigaretta in bocca accesa e gli occhi spalancati, guardai Noah ridere a crepapelle.
Volevo sotterrarmi.
«Che succede, ora non parli più, scimmietta?» disse con fare sornione.
Ero diventata una statua di pietra.
Ferma sul posto.
«Meglio così allora, Jeff ha rimesso in sesto anche quella di King.
Ty, entriamo che dobbiamo prepararci»
Mia sorella cominciò a tirarmi per il braccio per farmi rientrare, mentre Celine stava venendo verso di noi.
«Crystal..» guardai Noah negli occhi, quei due pozzi blu erano diventati perle nere assetate di rabbia e vendetta, mentre fulminava mia sorella.
«Scusami non dovevo, dai Ty, andiamo...»
Stuart? King? Jeff?
Non ci stavo capendo più nulla.
Con una spinta, Noah mi venne incontro, mi guardò negli occhi, mi rubò la sigaretta e dopo aver posizionato le sue labbra precisamente nello stesso posto dove erano le mie due secondi prima, fece un tiro e poi la buttò schiacciandola con il piede.
«Fa male, ricordalo. Celine, Crystal, ci vediamo dopo, forse» disse senza distogliere lo sguardo da me.
Lentamente si girò, salì in sella e se ne andò.
«Dai Ty, andiamo.» disse Crystal, mentre continuavo a guardare Noah sfrecciare con la sua moto.
«Dove, Crystal, dove? Mi hai tirato per il braccio dieci volte in cinque minuti... cos'è tutta questa fretta?» dissi entrando in casa dopo che mia sorella mi aveva trascinato per tutto il viale.
Mi accomodai su un morbido divano celeste, ma non feci in tempo a guardarmi intorno che tornado Celine colpì con tutta la sua forza.
«Si va a ballareeeeee»
«Nonono nono no. SCORDATEVELO!» dissi fiera delle mie decisioni.
«E invece sì, smettila di fare la reclusa.»
«Enne O. Come ve lo devo dire? Se volete, chiedo al presidente degli Stati Uniti se posso cambiare la scritta Hollywood con un immenso NO per farvelo capire bene» allargai le mani per far capire che le mie intenzioni erano serie, ma soprattutto per far capire la grandezza del mio "No".
«Smettila di fare l'infantile»
«Ho detto di no, Crystal, punto!»
«Aspetta, mi squilla il telefono... Drin drin drin. Oh, un messaggio! Vediamo chi è... Il presidente degli Stati Uniti... Vuoi sapere che mi ha scritto? Te lo dico a voce: Hai rotto il cazzo, esci e divertiti... ma soprattutto scopa. Distinti Saluti»
Scoppiai a ridere mentre Celine metteva in atto la sua messinscena con il telefono.
«Ti ho convinta amore?» disse con disinvoltura, puntando gli occhi nei miei, mentre posava una mano sul fianco sinistro.
«Emh... aspetta... No!» vidi la sua espressione sorridente diventare triste in un battito di mani e poi di nuovo agguerrita, pronta a vincere la battaglia a tutti i costi.
«Dai, per favore, vedrai ci divertiremo»
«Posso pensarci?»
«Grande! Vado a farmi una doccia» esultò Celine prima di correre in bagno.
Le gemelle erano come i bambini.
Quando cominciavano a fare i capricci, bastava un "vediamo, posso pensarci, poi te lo dico".
Loro si calmavano e tu potevi comunque restare della tua idea.
Sarei rimasta a casa loro, mentre loro si divertivano, ero troppo stanca dal viaggio di questi giorni per accompagnarle.
Con calma mi distesi sul divano dove ero seduta e, mentre decidevo cosa fare tra le opzioni che avevo, caddi nelle braccia di Morfeo.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top