8

Marc

La clinica è decisamente troppo grande per i miei gusti.
Ci siamo persi almeno tre volte, ed siamo arrivati lì da mezz'ora.
-Ho un'idea.- dice all'improvviso Jenna.
Siamo nella sala d'attesa del reparto di cardiologia, e lei è appoggiata completamente alla parete con la schiena. Sembra quasi che stia bene, ma gli occhi la tradiscono, lo fanno sempre. Sono l'unica parte del suo corpo che lei non riesca a controllare.
Ecco un altro motivo per cui mi sono innamorato di lei, sette anni fa. Ma non penso che quello che siamo stati ci possa essere d'aiuto in questo momento.
-Spara.- le rispondo, e lei si volta a guardarmi.
Da quando il suo sguardo è così espressivo?
-Ieri ho preferito usare un coltello.- mi risponde, ed impiego qualche secondo per capire la sua allusione venata di fin troppo sarcasmo.
Mi porto una mano sugli occhi:- Scusa, non intendevo...
-Lo so. Volevo solo avvertirti che sono pericolosa. Starmi troppo vicino potrebbe non essere salutare per te.
Comincia a camminare lungo il corridoio, ed io la raggiungo. Le tocco un braccio con la mano, e lei sobbalza per poi ritrarsi di scatto.
-Jenna, non sei pericolosa. Ti prego, cerca di capirlo.- le dico, cercando il suo sguardo. Lei continua imperterrita a guardare davanti a sé, e con la lingua si puntella la guancia.
-Marc, certo che sono pericolosa. Ieri ho ucciso il mio ragazzo, non ho esitato un attimo a conficcargli un coltello nel cuore.
-Sei stata obbligata. Se non l'avessi fatto ora non saresti qua a parlare con me, ma ti troveresti distesa nell'obitorio della polizia.- le rispondo, cercando di farla ragionare.
Scuote la testa, ma almeno torna a guardarmi dritto negli occhi:- Forse. E se invece avessi aspettato l'arrivo della polizia? E se invece di prendere un coltello avessi afferrato una padella e gliela avessi lanciata addosso? Malcom non mi avrebbe mai uccisa.
-Non puoi sapere cosa avrebbe fatto Malcom se tu non ti fossi difesa, ma le persone agiscono senza sapere cosa fanno quando sono in preda alla follia.
Non risponde, ma si toglie il giacchetto di pelle nera che indossa. Sotto porta una camicetta bianca a maniche corte.
Quando le guardo le braccia sgrano gli occhi. I segni delle mani di Malcom sono neri sulla sua pelle. Riesco persino a contare le dita. Quasi non distinguo l'inchiostro del tatuaggio dalla sua pelle tumefatta.
Mi viene la pelle d'oca mentre ritorno a fissarla negli occhi.
-Vedi questi?- dice, indicandosi i lividi con il mento. -Sono un promemoria. Ci metteranno un bel po' per andarsene, e mi daranno il tempo per allontanare tutte le persone cui voglio bene.
Preferisco fare del male alle persone che non conosco piuttosto che a chi tengo.
-È per questo che hai convinto i tuoi genitori a restare a New York? Hai paura di ucciderli?
Non risponde, ed io non riesco più a trattenermi. Le prendo il viso fra le mani e costringo Jenna a guardarmi.
-Ascoltami. Quello che hai in testa di fare... è una pazzia. Te non hai nessuna colpa di quello che è successo ieri, e non ti permetterò di allontanare le persone alle quali dovresti aggrapparti per superare il trauma.
Scoppia a ridere, e per un attimo mi fa veramente paura:- Superare il trauma? Marc, sei serio? Sto bene.
-Stamattina non mi sembravi così in forma.- ribatto, ma lei esita un po' prima di rispondere.
-È buffo.- risponde poi.- Non ti sei fatto né vedere né sentire per cinque anni, e adesso credi anche di capirmi.
Mi afferra i polsi e si scrolla le mie mani dal viso:- Sai, ho aspettato per un anno inutilmente che ti facessi vivo, prima di rivederti al matrimonio di Frederick. E anche dopo, nonostante tutto quello che ti avessi detto là, ho continuato ad aspettarti finché non ho incontrato Malcom.
Sono uscita con diversi uomini prima di lui, ma nessuno era riuscito a prendermi, perché è stato capace di farmi capire che potevo tornare ad amare qualcuno di nuovo, nonostante tutto il dolore che avevo provato per te.
E adesso è morto, e la persona che ero riuscita a dimenticare grazie a lui pretende di consolarmi. La vita non finisce mai di stupirmi.
Il silenzio che adesso aleggia tra noi è pieno di imbarazzo.
Lei estrae il telefono della tasca e compone un numero. Si porta il cellulare all'orecchio e dopo qualche secondo riconosco la voce di Frederick dall'altra parte.
-Mi vieni a prendere? Sono al reparto di cardiologia e mi sono persa.- gli dice prima di incamminarsi verso l'ascensore e lasciarmi da solo, con più rimorsi che pensieri.
Mi appoggio alla parete e mi lascio scivolare a terra.

***

Non so quanto rimango seduto a terra, ma dopo un po' un medico passa e mi chiede se mi senta bene.
Annuisco, poi decido di rialzarmi. Lui continua a fissarmi, ed io decido di chiedergli indicazioni per neonatologia.
-Secondo piano, ultima porta in fondo al corridoio.- mi risponde, ed io lo ringrazio con un segno della mano.
Vado allo stesso ascensore che ha preso Jenna, e dopo neanche dieci minuti sto aprendo la porta di Neonatologia.
Frederick sta parlando al telefono, e quando mi vede mi sorride. Ricambio, e quando lui attacca mi abbraccia.
-Complimenti fratellino!- gli dico, e lui sorride ancora. Penso non faccia altro da stanotte.
-Come sta Camila?
-Si sta riprendendo, ma tutto sommato sta bene. Juliet è stupenda.
Annuisco, ed entro nella stanza di Camila.
Sta dormendo, e mia madre è seduta su una sedia accanto al letto. Tiene in grembo la bambina, ed ancora una volta non posso fare a meno di pensare quanto sia piccola.
Mi avvicino, e la guardo meglio. Ha la testolina piena di capelli nerissimi, ed il visino è ancora arrossato per lo sforzo del parto. Gli occhi sono chiusi, ma se li aprisse sarebbero del tipico colore dei neonati.
-Jenna cosa ha detto?- domando a Frederick, e lui mi guarda, stranamente.
-Jenna? Cosa centra ora Jenna?
-Prima ti ha chiamato, voleva che tu la venissi a prendere.
-Sì, infatti. Ma quando l'ho raggiunta lei si è resa conto di dover andare a prendere sua sorella all'aeroporto, mi ha abbracciato e se ne è andata. Pensavo lo sapessi.
Sospiro, quando mi rendo conto che le intenzioni di Jenna sono serie.
-L'aereo di sua sorella arriva tra due ore.- dico. -Jenna se ne è andata via, chissà dove.
-Stai scherzando?- mi chiede mio fratello.- Pensavo le fossi stato vicino in questo tempo.
-Infatti è così. Ma è ancora sotto shock, vuole allontanare tutti quelli cui vuole bene perché ha paura di fargli del male, ed ha iniziato da te.
Ho provato a farla ragionare, ma abbiamo finito per discutere.- taglio corto.
Frederick non fa domande, ma si limita a mettermi una mano sulla spalla.
-Non so dirti dove sia ora, ma so che tra due ore sarà all'aeroporto a prendere sua sorella.
-Oggi voleva chiudere un sacco di faccende.- dico.-Ma non sono nemmeno sicuro che passerà a prendere Sara. Se ha intenzione di prendere le distanze da tutti...

-E' passata a salutarmi, prima. Probabilmente lo farà anche con sua sorella.

***

Un'ora e mezza dopo sono in aeroporto. L'interfono ha annunciato l'arrivo dell'aereo da New York, e non mi rimane che aspettare l'arrivo di Jenna. Ho provato a chiamarla, ma non mi ha risposto.
In compenso ho mandato un messaggio a Sara, pregandola di non allontanarsi mai da sua sorella.
Spero lo legga prima che Jenna combini un disastro anche con lei.
Un quarto d'ora dopo intravedo Jenna avvicinarsi ad una scala mobile. Sorride.
Mi tengo a distanza fino a quando non la vedo abbracciare una ragazza dai capelli color miele.
Sgrano gli occhi nel riconoscere Sara, la sua sorellina.
L'ultima volta che l'ho vista aveva sedici anni, ed è cresciuta tantissimo da allora.
Mentre loro sono ancora strette insieme, mi avvicino e accarezzo la schiena di Jenna con la mano.
Lei si separa da sua sorella, e si gira a guardarmi.
-Mi dispiace.- le dico soltanto, prima che Sara mi salti al collo, abbracciandomi di slancio.
-Marc! Mi sei mancato così tanto, pensavo fossi andato a dipingere di Antartide!- mi dice, e poi si volta verso sua sorella, che la guarda senza parole.
-Non mi avevi detto che questo bell'imbusto ti stesse tenendo compagnia.- continua Sara, convinta di essere divertente anche se non lo è affatto.
-Non mi sta tenendo compagnia, è solo d'intralcio.- risponde Jenna, prendendo il borsone colmo di vestiti che Sara ha lasciato cadere a terra.
-Vi accompagno io.- le dico.- Non c'è bisogno che chiamiate un taxi. Posso portarvi ovunque vogliate.
-Grazie Marc, odio i taxi.- risponde Sara, ma non mi muovo finché anche sua sorella non annuisce.
-Ma se provi a portarle la borsa, giuro che te la lancio addosso.
Le sorrido, ma lei non ricambia.

***

Per tutto il viaggio verso Santa Monica, Sara non smette di parlare.
Incredibile come riesca a trovare qualcosa da dire su ogni cosa.
-La vita al college è eccitante.- dice.- Ma preferisco di gran lunga le superiori. Avevo meno da studiare, più tempo libero per uscire. Invece ora sono sempre in camera a studiare Economia.
Amo i numeri, a volte penso anche per numeri, adoro intuire i ragionamenti, ma vorrei avere anche più tempo per uscire.- dice, ed io evito di risponderle. Non saprei cosa dirle, non sono andato al college, ma a una scuola d'arte a Chicago.
-È meraviglioso il college.- le dice Jenna. È seduta accanto a me, e sta guardando fuori.
-Lo so, anche io ho detto che è entusiasmante, ma...
-Accosta qua.- dice Jenna, ed io eseguo i suoi ordini. Siamo davanti ad un appartamento di una ventina di piani, non troppo lontano dal negozio in cui lavora.
Scendiamo, e Sara mi sorride.
-Los Angeles è fantastica, Marc. Ora capisco perché hai deciso di trasferirti qua.
-A dire il vero non è stato perché è una bella città.- rispondo. Mi sono trasferito perché non riuscivo a stare a New York senza pensare a Jenna, ma evito di dirlo ad alta voce. Ho il sospetto che lei lo sappia fin troppo bene.
Jenna tiene ancora il borsone della sorella, e si avvicina al portone del palazzo.
Lo posa a terra ed infila una chiave nella toppa, e quando entra Sara ed io la seguiamo.
Non prende l'ascensore, ma si ferma davanti alla porta del primo appartamento.
-Quando hai trovato il tempo di trovarti un nuovo posto in cui stare?- le chiede Sara.- Voglio dire, Malcom è morto solo ieri.
Mi avvicino a Jenna e le poso una mano sulla schiena, pregando in silenzio che non esploda per la mancanza di finezza di sua sorella.
Fortunatamente è troppo persa nei suoi pensieri per accorgersi di qualcosa, e quando entriamo nel piccolo appartamento capisco perché.
Il salotto è occupato per metà da valigie, borsoni e scatole di cartone.
-Sei passata nel tuo vecchio appartamento per prendere le tue cose? Per quale assurdo motivo non mi hai avvertito?- le domando.
Jenna lancia il borsone di sua sorella suo divano, prima di rispondermi.
-Non ho bisogno che tu mi faccia da baby sitter.- dice.- Anzi, non ho proprio bisogno di te.
Non le rispondo, ma non posso far finta che le sue parole non mi facciano male.
E' cambiata radicalmente da stamattina, quando si accoccolava a me perché aveva bisogno di un abbraccio.
-Jenna, ho promesso a mamma che avrei fatto una foto alla spiaggia.- dice Sara.- Marc, mi accompagneresti?- mi chiede, e senza darmi il tempo di ribattere mi trascina via, lontano da Jenna.

***

-Non so cosa ti sia saltato in mente.- dico a Sara.- Ma a tua sorella non fa bene stare da sola. E...
-Jenna ha bisogno di circondarsi di persone che la trattino come se stesse bene, non come se fosse di porcellana.- mi risponde Sara.
Siamo usciti da casa di Jenna mezz'ora fa, e adesso siamo seduti all'Ocean Side.
-È per questo che in macchina continuavi a straparlare?- le domando.
Lei beve un sorso dalla sua spremuta d'arancia, poi annuisce:- Bisogna cercare di essere normali. Mia sorella non ha bisogno d'altro. Le ci vorrà tempo per superare lo shock, ma alla fine ne verrà fuori.
-Vuole allontanare le persone che le vogliono bene perché ha paura di essere pericolosa.- ribatto.- Come fai a non essere preoccupata?
-Marc, non sono un'idiota. Certo che sono preoccupata, ma differenza tua conosco Jenna. So come è fatta. E adesso non ha bisogno che le complichi la vita.
La guardo interrogativa, e lei appoggia i gomiti al tavolo per spiegarmi meglio.
-Non ho mai capito cosa avesse trovato in te mia sorella. Certo, sei un bel ragazzo. Gli occhi azzurri ed i capelli biondi sono un'accoppiata vincente. Sei un pittore, e in un certo senso lei rivede in te nostro padre. Ma poi? Sei terribilmente cocciuto e scontroso quando non ti piace come ti fa sentire un certo ambiente. Sei strano, non riesci a stare fermo in un posto per più di due settimane e non hai neanche un briciolo del senso dell'umorismo che ha Frederick.
O almeno la pensavo così prima che ti mettessi con mia sorella. Ho cambiato idea quando ho visto tutto quello che stavi facendo per lei. Eri diverso, ma in senso buono. Jenna è stata l'unica persona a farti fermare in un posto, a farti sembrare quasi normale.
Quando vi siete lasciati pensavo seriamente che prima o poi sareste tornati insieme, ma mi sono sbagliata.
Poi arrivo qua, vi rivedo insieme dopo anni... e praticamente è come se nono fosse passato un solo giorno, almeno per te.
Non ribatto. Cosa potrei dire? Che ha ragione? Sara sa benissimo di averla, e mi stupisco di quanto sia riuscita a psicanalizzarmi bene.
-La ami ancora, vero?- mi chiede, ed io torno a guardarla negli occhi.
-Non lo so.- rispondo sinceramente.
-Cosa hai provato da quando è tornata?- insiste, ed vorrei tanto riuscire a capirlo io stesso.
-Tante cose, ma l'unica che sono riuscito a capire è che sono dannatamente felice che sia tornata nella mia vita. Anche se per poco, penso. Non mi sentivo così bene da tantissimo tempo.- rispondo, convinto.
Lei sorride:- Sono felice di questo, ma... ora Jenna non ha bisogno di un ragazzo, ma di un amico. Qualcuno che possa chiamare a mezzanotte perché non riesce a dormire, o semplicemente per andare a fare una passeggiata in riva al mare. Se dovessi suggerire una persona per questo compito, direi Frederick ma è appena diventato papà e non avrebbe tempo per lei. Quindi l'unica scelta che rimane sei te. Sei disposto ad essere solo e soltanto un amico per lei?
-Certo.- rispondo senza esitare.
-Anche se dovessi capire di amarla ancora?
-Non so bene cosa provo per lei, ma sono sempre stato bravo a nascondere i sentimenti.
Sara sorride:- Ora è troppo instabile, ma dalle tempo. Non ti ha mai dimenticato veramente.
-Come fai ad esserne certa?- le chiedo, e lei beve un sorso prima di rispondere.
-Si è fatta un tatuaggio.- dice.- Proprio sopra il cuore. Una matita che traccia una B in corsivo.
Sgrano gli occhi:- Te credi che...
-La "B" simboleggia senza alcun dubbio Bonnie, ma la matita?- scuote la testa, poi ritorna a guardami.- La matita sei te.
-Non credo.- ribatto.- Io disegno, ma prima di tutto dipingo. Se simboleggiasse me avrebbe scelto un pennello.
-La pensavo così anch'io, ma qualche anno fa ero a cena da Jenna. Lei era strana, ed io mi sono preoccupata per lei. Così ho finto di sentirmi male, e sono sgattaiolata in camera sua. Tiene ancora il suo diario nello stesso posto in cui lo teneva da bambina. Leggerlo è stato facile.
-E cosa hai scoperto?
-Jenna aveva scritto queste esatte parole: "Una B per poter sentire Bonnie sempre vicina, e una matita che calca per ricordarmi che niente si cancella mai completamente, e Marc non sarà diverso."
Non rispondo. Ho semplicemente finito le parole.
Da quando ho rincontrato Jenna, non ho mai preso in considerazione che, un giorno, potremo ritornare insieme. Ma Sara crede che, in fondo, lei mi ami ancora.
-Te lo ripeto, Marc. Lei ora ha bisogno di te, ma come amico. Nient'altro di più. Ma chi lo sa? Magari tra un anno si renderà conto che non ha mai veramente smesso di amarti. Sei disposto ad aspettarla fino ad allora?

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