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Jenna

Chiudo gli occhi ancora una volta, togliendomi l'ultima lacrima dagli occhi.
Un agente è davanti a me, e sta cercando di interrogarmi da dieci minuti, senza successo.
Non sono nelle condizioni psichiche di dire alcunché.
Quando ho visto degli uomini della scientifica entrare in casa per analizzare la scena del crimine sono crollata definitivamente. Sono a malapena riuscita a chiamare Frederick, ma a quanto pare Camila è entrata in travaglio. Juliet, la figlia del mio migliore amico, potrebbe venire alla lice da un momento all'altro ed io sono bloccata in una stupida sala interrogatori senza riuscire a parlare.
Sono stata scortata qui in una macchina della polizia come se fossi una criminale, quando non ho fatto altro che proteggermi dalla furia improvvisa del mio ragazzo.
Respiro profondamente, cercando di ritrovare la forza di dire qualcosa.
-Signorina Martins... riesce a raccontarmi cosa è successo in casa sua? Tra poco inizieranno ad occuparsi del caso gli agenti del NCIS, e non saranno esattamente gentili con lei se si rifiuta di lasciare una deposizione.
Annuisco:- E' stata legittima difesa.- ripeto almeno per la centesima volta quel giorno.
-Sono andata a correre come quasi ogni giorno. Io e Malcom... ci siamo trasferiti qui una settimana fa. Prima vivevamo a New York. Stiamo...- mi interrompo per prendere ancora una volta un respiro.- Stavamo insieme da tre anni, ma eravamo andati a convivere solo da un paio di mesi.
-E prima di questa mattina non aveva mai mostrato atteggiamenti violenti nei suoi confronti?
-No, assolutamente no. È sempre stato rispettoso con me.
-Cosa è successo stamattina di diverso? Perché l'ha aggredita?
Incrocio le braccia al petto. Davanti a me vedo la mia immagine riflessa nello specchio da cui so che mi stanno guardando altri agenti. Probabilmente stanno anche registrando le mie parole, come prova.
-Sono andata a correre.- ripeto- E quando mi sono ritrovata davanti ad un locale a Santa Monica mi è venuta voglia di fare colazione con lui. Così gli ho mandato un messaggio, chiedendomi di raggiungermi.
Poi sono entrata e...- tentenno un po'. Non vorrei coinvolgere Marc, ma è inevitabile. Forse interrogheranno anche lui, ma ora decido di non preoccuparmene troppo. E comunque lui non ha fatto nulla. Sono io che ho ucciso il mio ragazzo.
-...ho incontrato un mio amico. Siamo stati insieme, alcuni anni fa. Mi ha offerto la colazione, e l'avrebbe offerta anche a Malcom se non mi avesse dato buca. Ci siamo seduti, e abbiamo parlato per alcuni minuti. Poi Malcom mi ha chiamata, chiedendomi di rientrare a casa subito. Allora ho salutato il mio amico, e sono uscita dal locale. Quando sono arrivata a casa Mal sembrava come impazzito.
Ha iniziato a chiedermi dove fossi stata, perché ci avessi messo così tanto a rientrare. Gli ho spiegato che mi ero attardata al bar a parlare con Marc, e...
-Marc è il suo amico?- chiede l'agente, ed io annuisco.
-Può darmi il nome completo di questo ragazzo?
-Marc Juves.- rispondo. Lui lo scrive su un bloc-notes, poi mi invita a proseguire con un gesto della mano.
-Dopo avergli detto che mi ero vista con lui si è infuriato ancora di più. Mi ha afferrato un braccio, mentre mi vomitava addosso parole orribili.
-Di che genere?
Sospiro, poi mi prendo la testa fra le mani:- Ha detto di aver letto i miei diari, di aver scoperto così della mia vecchia relazione con Marc. Per non parlare del fatto che non gli avevo detto che la mia migliore amica è morta sette anni fa. Era arrabbiatissimo per tutte le cose personali che non gli avevo raccontato.
Poi mi ha strattonato contro l'armadio, bloccandomi anche l'altro braccio. Allora l'ho colpito in mezzo alle gambe, e lui ha allentato la presa, dandomi modo di scappare. Mi sono chiusa in cucina e ho chiamato la polizia... ma lui ha iniziato a lanciarsi contro la porta per sfondarla.
È stato a quel punto che ho preso il coltello, e quando lui ha scardinato la porta mi sono solamente difesa. Praticamente mi si è lanciato addosso.
L'agente annuisce, e finisce di scrivere qualcosa:- Le faremo fare una visita medica, poi sarà libera di andare signorina Martins. Se ci dovessero essere altri punti da chiarire la convocheremo nuovamente, ma le dinamiche sono piuttosto evidenti. Si accomodi in sala d'attesa, il medico la chiamerà a breve.
Lo ringraziai, ed uscii velocemente da quella stanza. Il distretto era pieno di poliziotti, intenti a mettere insieme i pezzi dei numerosi casi che attendevano ancora delle risposte.
Mi sedetti nella prima sedia che trovai libera, e mi rifiutai di guardare la maglietta che indossavo. Le macchie rosse del sangue di Malcom erano evidenti. Mi sentivo sporca nel profondo di me stessa, sporca come non mi ero mai sentita in tutta la mia vita.
All'improvviso la consapevolezza di quello che era successo mi cadde addosso. Avevo ucciso una persona. Avevo ucciso la persona che amavo e che diceva di amarmi a sua volta.
Mi venne voglia di urlare, ma il rumore di quel posto e le sirene della polizia che si sentivano dall'esterno mi stavano facendo venire il mal di testa.
Volevo urlare fino a perdere la voce, ma allo stesso tempo tutto quello che avevo intorno mi dava fastidio. Quanto potevo essere contorta?
-Jenna?- disse una voce. Alzo lo sguardo e mi ritrovo davanti Marc. Mi guarda con uno sguardo preoccupato, e sgrana gli occhi quando vede il sangue sulla mia maglietta.
-Dimmi che non è il tuo.- mi dice, indicando le macchie rosse.
-Cosa ci fai qua, Marc?- gli domando.- Dovresti essere in ospedale insieme a tuo fratello. Stai per diventare zio, è una cosa bella grossa.
-Ci stavo andando, ma poi Frederick mi ha chiamato ed ha farfugliato qualcosa di incomprensibile. Quando gli ho chiesto di spiegarsi mi ha detto solo di raggiungerti alla centrale della polizia, perché eri in pericolo. Cosa è successo, Jenna?
Chiudo gli occhi. Non ce la faccio più a ripetere quelle cose.
-Malcom ha avuto una scenata di gelosia e mi ha aggredita. L'ho ucciso per difendermi.- sussurro soltanto.
Marc impreca:- Dannazione. Avresti potuto chiedermi di accompagnarti a casa, eravamo insieme. Perché non l'hai fatto?
-Non era mai successa una cosa simile. Come avrei potuto saperlo?- gli rispondo.
In quel momento una dottoressa mi chiama. Mi alzo velocemente:- Scusa, devo andare a fare la visita medica di controllo.
-Vuoi che ti accompagni?- mi chiede, ma io scuoto la testa.
-Ti aspetto qui fuori. E non accetterò un no come risposta. Sono ancora tuo amico, Jenna.
-Va bene.- rispondo, poi seguo la dottoressa lasciandolo lì da solo.
Entriamo in una stanza bianca, con una piccola finestra in alto. È buia, e tutti gli apparecchi medici della medesima tonalità di grigio non contribuiscono a rendere quell'ambiente felice.
-Puo' sdraiarsi, signorina Martins.- dice la dottoressa, indicandomi il lettino.
Lo faccio, e la osservo preparare il misuratore della pressione. È una donna sulla cinquantina, e tiene i lunghi capelli biondi legati in uno chignon ordinato. Ha gli occhi di una bella sfumatura di marrone, più chiara rispetto alla mia più simile al cioccolato.
-Ti dispiacerebbe toglierti la maglietta? Devo controllare che non ci siano lesioni.- mi chiede gentilmente.
Mi sorride, cercando di tranquillizzarmi. Vorrei tanto ricambiare, ma proprio non ce la faccio.
Alzo le braccia e mi tolgo la maglia, rimanendo in reggiseno sportivo. Lo indosso sempre per andare a correre.
Misura il mio battito, poi i lividi sulle braccia attirano la sua attenzione.
-Te li ha fatti il tuo ragazzo?- mi chiede, cercando di essere delicata.
Chissà quante ragazze come me vede ogni giorno.
Annuisco alla sua domanda, e lei poggia due dita sulla parte bluastra del mio braccio.
-Sono ancora caldi, vuol dire che ancora non hanno smesso di formarsi. Ti metterò una pomata, aiuterà la guarigione e dovrebbe evitare al livido di diventare troppo scuro e doloroso.
-Grazie.- sussurro.
La dottoressa osserva ancora la mia pancia, poi prende un pezzo di scottex, apre l'acqua nel lavandino e lo bagna leggermente.
Si avvicina a me e me lo passa sullo stomaco:- Il sangue ha attraversato la stoffa della maglietta e ti ha sporcata.- mi rassicura.
Chiudo gli occhi, cercando di non pensare a quanto sangue abbia assorbito la mia maglietta. Se solo potessi evitare di indossarla ancora, ma non ho un cambio con me.
-Ho finito, signorina Martins. Può rivestirsi.- mi dice la dottoressa, ed io la ringrazio ancora.
Lei mi sorride, poi apre la porta e se ne va, lasciandomi sola a rivestirmi.

***

-Ho parlato con un poliziotto mentre eri con la dottoressa. Ha detto che non potrai tornare a casa fin quando non avranno finito di analizzare la scena del crimine. E comunque dubito che tu voglia tornare a stare lì. Frederick ha detto che puoi stare da loro.- mi dice Marc.
Sono in macchina con lui e non ho la più pallida idea di dove stiamo andando.
-Prenderò una camera in un motel.- gli dico- Ma ora vorrei solo togliermi questi vestiti.
-Frederick ha detto che puoi prendere qualche abito in prestito da Camila. Ma non credo che sia una buona idea stare da sola in un motel. Sei ancora sotto shock.
-Dove stiamo andando?- gli chiedo, finalmente.
-Ho le chiavi di casa di mio fratello.- mi risponde. Non conosco la strada che sta percorrendo, ma ancora non riesco ad orientarmi a Los Angeles. È troppo grande.
-Ti cambierai, e poi resterò con te a meno che tu non voglia andare in qualche posto particolare.- dice ancora Marc.
-Non voglio farti perdere la nascita di Juliet.
Sorride:- Non preoccuparti. Se andassi in ospedale probabilmente metterei troppa agitazione a Frederick, ed è già isterico per conto suo. Per non parlare dei miei genitori...- dice, ma poi si interrompe.
Lo guardo, invitandolo a proseguire. Parcheggia vicino alla casa di suo fratello, e dopo aver spento l'auto mi risponde, voltandosi verso di me.
-Ho chiamato tua sorella, prima.- dice.
-Cosa? Stai scherzando?!- gli chiedo, scostandomi dal sedile.
Scuote la testa:- Avrei voluto chiamare tua madre, ma non ho mai avuto il suo numero. Ho raccontato a Sara quello che ti è successo. Domani mattina la tua famiglia sarà qui.
-Marc, non avresti dovuto. Avrei dovuto avvisarli io, e...
-No, Jenna. Li ho avvisati perché so quanto faccia male rivivere le cose brutte quando le si racconta a qualcuno. Volevo evitarti questo, visto che scommetto tu non ne possa più di ripetere sempre le stesse cose.
Vorrei ribattere alle sue parole, ma ha ragione. Sono esausta, e non vedo l'ora di farmi la doccia e togliermi questi vestiti di dosso.
-E poi, Sara non sembrava così scossa quando ha risposto al telefono.- aggiunge, e per la prima volta da stamattina mi viene quasi da ridere.
-Ha sempre avuto un debole per te, Marc.- gli dico.
In qualsiasi altro momento mi sarei sentita a disagio, alludendo alla nostra relazione. Ma ora sono troppo stanca e scossa per sentirmi in imbarazzo.
Apro lo sportello ed esco dalla sua macchina.
Frederick e Camila hanno anche un garage, ma non so perché Marc non ci abbia parcheggiato.
Aspetto che trovi la chiave giusta, poi entriamo e lui accende la luce.
-Sai dove sono i vestiti di Camila?- mi chiede, ed io scuoto la testa.
-Mi arrangerò aprendo tutti i cassetti finché non li trovo.- rispondo, e mi dirigo verso la camera da letto dei miei amici al piano superiore.
Le scale in legno scricchiolano sotto i miei passi, ma le ignoro.
Sto per girare la maniglia della loro stanza, quando vedo una camera con la porta aperta. Mi avvicino e mi fermo sulla soglia.
È la cameretta di Juliet. Sorrido quando riconosco il tocco di Marc nella principessa disegnata sulla parete.
Un letto singolo è addossato al muro, per quando sarà più grande, e più vicino alla porta trova posto una culla in legno bianco.
-Ti piace?- mi chiede Marc. Mi volto. È dietro di me, ma non l'ho sentito salire le scale.
-Ti ho acceso la stufetta in bagno e ho fatto scorrere l'acqua della doccia finché non è arrivata calda.- dice ancora, senza aspettare che io risponda alla domanda precedente.
-Grazie.- dico, poi finalmente vado in camera di Frederick e Camila.
Apro un'anta dell'armadio, e l'odore rassicurante di Frederick mi avvolge. Vorrei essere con lui ora.
Se solo Juliet avesse deciso di nascere un giorno dopo...
Chiudo quell'anta e apro l'altra. Camila ha davvero tantissimi abiti, ma in fondo all'armadio riesco a trovare dei pantaloni della tuta e una semplice maglietta bianca.
-Jenna.- mi chiama Marc. Respiro profondamente quando riconosco quel tono di voce. Non ammette discussioni.
Un brivido mi scorre lungo la schiena. Non so quanto sia positivo. Significa che sto ricominciando a sentire qualcosa, e non so quanto reggerò quando la consapevolezza di aver ucciso la persona che amo mi piomberà addosso.
Mi dirigo verso la porta della camera, pronta ad andare in bagno ma lui mi coglie di sorpresa, abbracciandomi.
All'improvviso il torpore dovuto allo shock abbandona il mio corpo, e mi reggo a lui per non cadere a terra.
Inizio a piangere, e piano piano scivoliamo a terra insieme. Mi stringe più forte, e mi sussurra parole consolatorie all'orecchio.
Piango, piango fino a che non mi sento un po' meglio. Non so quanto tempo sia passato, ma mi rendo conto che le braccia di Marc mi tengono ancora, ed il suo odore, un tempo rassicurante, mi fa aumentare il battito nel petto.
Ho smesso di piangere da un paio di minuti, ed il silenzio che avvolge la casa mi spaventa un po'.
Sento solo il suo respiro regolare ed il suo cuore che batte forte nel petto. Mi concentro sul suo ritmo per ritrovare un po' di tranquillità, così come faccio con le onde del mare.
Uno, due, tre. Uno, due, tre.
Paradossale come abbia compiuto questi stessi gesti stamattina per liberarmi dalla confusione dovuta a Marc, e come ora invece mi stia concentrando su di lui per ritrovare un po' di pace.
-Come va, ora?- mi chiede. Il fatto che mi abbia chiesto come sto in questo istante significa che è consapevole che prima, nonostante ostentassi tranquillità, non stavo affatto bene.
Lo ringrazio mentalmente per essersene accorto, mentre gli rispondo.
-Stavo meglio stamattina, quando correvo sulla spiaggia di Santa Monica inconsapevole di come si sarebbe evoluta disastrosamente questa giornata.
Sorride, ed allenta la stretta quando provo ad alzarmi.
-Vado a farmi la doccia.- gli dico una volta in piedi. Lui è ancora a terra, e mi annuisce.
Sto per uscire dalla camera, quando mi giro a dirgli ancora qualcosa.
-Grazie Marc.- dico, e lui mi sorride.
-Non pensavo che saresti stato te ad aiutarmi, ma grazie, sul serio. Per essere venuto subito alla stazione di polizia, per avermi portata qua, per avermi concesso di usarti come fazzoletto umano.- dico, alludendo alla sua maglietta, bagnata sul petto per le mie lacrime.- E grazie ancora per avermi scaldato il bagno. È stato un gesto carino.
Sorride ancora:- Non c'è di che, Jenna. Avresti fatto lo stesso per me.
Prima che una nuova cappa di imbarazzo possa avvolgerci, lascio la camera e mi dirigo verso il bagno, bramando la doccia.
Forse quando mi sarò cambiata da questi abiti intrisi di sangue e mi sarò lavata potrò sentirmi meno sporca di come mi sento ora.
Magra consolazione. Uccidere qualcuno, seppur non intenzionalmente, lascerà per sempre una macchia sulla mia anima.
Non so quanto potrò sopportarlo.

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