Prologo

Buon pomeriggio!🌹
Con questa storia sono stata in fermo per moltissimo tempo e devo ammettere che non sapevo se continuarla o meno.
Avevo pensato di sospenderla e revisionarla solo alla fine di "Harding Hill Sanatorium", ma non mi sembrava giusto per chi l'ha sempre seguita e aspettava un continuo. Così, ho deciso di riprenderla in mano, revisionare trama e capitoli, e pubblicare di nuovo.

Mi dispiace che abbiate dovuto aspettare così tanto, mi ero ripromessa di pubblicare a metà luglio, dopo la fine degli esami. Ma qualcosa mi ha bloccata.
Chi mi segue da un po' sa che non mi piace pubblicare i capitoli così come vengono, senza un'accurata revisione.

Per concludere questa breve nota, vi auguro una buona lettura e vi presento (finalmente) il nuovo prologo di "Desiderio e Proibizione".❤

Eleonor  M. Duse~ 🌹

Le prime luci dell'alba illuminarono la facciata principale della maestosa cattedrale di Notre Dame. I raggi si riflettevano sulle rive della Senna, scaldando le acque torbide. Le grandi torri campanarie delle cattedrale più famosa di Parigi incorniciavano l'immensa distesa di case grigie a tetti spioventi. Una lieve brezza carezzò la superficie stagnante del fiume, disegnando le piccole increspature che riflettevano l'immagine sconnessa di un ragazzo.

George sospirò. La sera precedente non aveva chiuso occhio e sapeva che sarebbe stato poco presente alla riunione della confraternita. Sapeva che Hector non gliel'avrebbe fatta passare liscia. Si vedevano solo un paio di volte al mese per discutere delle informazioni in loro possesso, ed esigeva la massima attenzione da tutti i partecipanti. Non erano state molte le informazioni che aveva ricavato e si domandò se avesse fatto la scelta giusta a presentarsi, quel dì. Aveva considerato diverse volte l'idea di saltare l'incontro per vedersi con Dominic la sera, alla locanda dei Dantès. Hector lo considerava il suo braccio destro e non sarebbe stata la prima volta che l'amico gli riportasse l'argomento della riunione.

La brezza gli carezzò il volto, smuovendo alcune delle ciocche biondo grano. Si strinse nel cappotto. Sebbene erano i primi giorni di maggio, la mattina faceva ancora freddo per camminare senza il pesante soprabito. Un sorriso gli sfiorò le labbra, trovava stupido che quelli come lui sentissero freddo. I Rossi non né provavano, si domandò perché dovevano essere loro a patire.

Perché dovevano essere loro, i più deboli.

Conosceva la risposta, eppure si sforzava sempre di trovare un'alternativa. Detestava quella condizione che lo obbligava a stare nel mezzo. Troppo particolare per essere un umano e troppo umano per essere un vampiro. "I Bianchi erano l'anello debole della loro specie", così gli aveva detto differenti volte Harmon, il re dei Rossi.

Strinse i pugni, lo odiava.

Sapeva che quel bastardo aveva ragione e lo sapevano anche i suoi compagni. Ma non sarebbe stato così per sempre, avrebbero avuto la loro rivincita. Era per questo che si trovava lì.

Si strofinò i palmi e si diresse verso la facciata nord della cattedrale, di fronte alla grande porta rossa che dava sul retro. Il rosone illuminava la navata principale, di solito avvolta nella penombra. Mise le mani nelle tasche del giaccone e fece qualche passo in avanti per ingannare il tempo. L'edificio era silenzioso e non c'era traccia dei suoi compagni. Si fermò a osservare le figure dei martiri e degli apostoli sulle vetrate, abbassando lo sguardo sul gioco di luci che decorava il pavimento. Era davvero bello, pensò. Gli sarebbe piaciuto sposare lì la sua Leonor. Se la immaginava già con l'abito bianco, al centro della navata ad attenderlo.

Sorrise, decidendosi a lasciare la navata per raggiungere la congrega. Camminò per il transetto, non potendo evitare di sollevare le iridi verso la volta a crociera che lo sormontava. Svoltò a destra, dirigendosi verso la grande statua del cristo benedicente, al centro della parete di fondo.

Dietro si ergeva una piccola porta in legno, dove la confraternita dei Vampiri Bianchi si riuniva per discutere dei propri piani. Era stata costruita agli inizi del milleduecento e in pochi ne erano a conoscenza. Il pesante portone non faceva trapassare alcun suono e le mura erano così spesse da impedire qualunque assalto.

Si richiuse la porta alle spalle, attraversando la volta a botte che collegava l'ingresso alla stanza dove Agnés e Leon stavano discutendo. Era certo che li avrebbe trovati lì, a litigare. Succedeva sempre.

Gli altri membri non erano ancora arrivati e nemmeno lui avrebbe desiderato trovarsi lì, in quel momento.

"Non possiamo attaccare! Sarebbe una carneficina."

Agnés incrociò le braccia al petto, portando su i seni schiacciati dalla fascia che aveva sotto la camicia. Leon le indirizzò uno sguardo torvo, tornando a poggiare le mani sul tavolo. Detestava che una donna gli desse degli ordini, specie se quella donna era l'insopportabile Agnés.

Agnés, nella confraternita, era soprannominata la mediatrice. La pensava proprio come Hector e non erano mancate le volte in cui i membri del gruppo avevano chiesto consiglio a lei, prima di rivolgersi al loro capo. Leon la detestava.

Riteneva che le donne dovessero occuparsi della famiglia e non progettare piani suicidi in un covo segreto, in Notre Dame. Avrebbe dovuto restare nella sua magione,contornata da ricchi rampolli e dai genitori, così ansiosi di trovarle un marito. Vestita di merletti preziosi e non di quegli stracci che Dominic le aveva dato in cambio. Gli abiti maschili le stavano davvero male, pensò, quando la vide passeggiargli davanti.

Prima che arrivasse lei, Hector teneva in considerazione ciò che diceva Leon. Le sue idee non gli sembravano tanto irragionevoli e violente, all'epoca. Non sapeva se fosse stata la presenza di Agnés a rammollirlo o se il tempo l'avesse reso più prudente. Persino i membri del gruppo lo stimavano di più, prima che arrivasse lei. Lo ascoltavano, senza contraddirlo. Si domandò, forse per la prima volta in dieci anni, se la sua figura non fosse stata più quella di un despota, che di un leader.

Agnés li ascoltava, era questa la differenza. Quella piccolezza che lo aveva allontanato dalla stima dei suoi compagni. I ragazzi non avevano timore di opporsi, il loro pareva più un dialogo colloquiale che una proposta di guerra.

George avanzò nella stanza, godendosi quel momento di pace privo delle loro grida. Salutò Agnés con la mano, che ricambiò sorridendo e poi Leon, poggiato alla libreria in legno. Leon guardò ancora la donna, ne studiò i movimenti come faceva con i nemici in battaglia. Si convinse che gli uomini della confraternita non la temevano per la sua costituzione. Non avevano paura di lei soltanto perché possedeva il tipico aspetto debole delle donne altolocate.

Non la temevano solo perché era una donna.

George prese posto su una sedia, dinnanzi alla corvina. Stava per intervenire, quando Leon riprese la parola.

"Detesto le tue insulse idee da femminuccia. Se Hector ti ascoltasse meno, ora non saremmo qui a vacillare nel buio."

Sbuffò, staccandosi dalla libreria per avvicinarsi a lei.

"Detesto il tuo infantile maschilismo. " Replicò, "forse dovresti avvalerti del fatto che ragioni con il cazzo, invece che con il cervello."

George per poco non si strozzò con il liquore che stava bevendo per scaldarsi. Non credeva che Agnés fosse capace di esprimersi in un linguaggio tanto scurrile, aveva pur sempre origini nobili. Ipotizzò che Leon l'avesse davvero esasperata con le sue risposte. Tutti nella congrega le portavano rispetto. Aveva imparato a guadagnarselo anni fa, quando Hector l'aveva accettata nella confraternita. All'epoca, il loro capo era l'unico a pensare che fosse degna di farne parte.

Leon era il solo a considerarla ancora inferiore.

"Se Hector mi avesse ascoltato almeno una volta da quando facciano queste inutili riunioni clandestine, ora Harmon sarebbe già morto!"

"Sì, e noi sotto terra. L'esercito di Harmon è molto più numeroso del nostro. Ci avrebbe schiacciati come insetti, non ricordi com'è andata l'ultima volta?"

George li osservò camminare per la stanza, sembravano un topo e un gatto che si rincorrevano. Agnés aveva tutta l'aria di essere un agile felino.

Lei era solita gesticolare, quando si trovava nel mezzo di un acceso dibattito. Specie se era Leon, la persona con la quale stava discutendo. Aveva lo stesso atteggiamento che una madre furiosa avrebbe riservato al proprio figlio, nel tentativo di spiegargli come stavano le cose.

Forse era proprio così che Agnés reputava Leon, un bambino viziato.

"A causa delle tue idee impulsive abbiamo perso molti uomini. Dobbiamo agire d'astuzia, elaborare una strategia efficace che ci permetterà di attaccare dall'interno."

Leon non trovò il tempo per ribattere che una roca voce lo precedette.

"Ha ragione."

Hector entrò, l'eco della sua voce rimbombò nell'angusto locale. Alle sue spalle, Dominic teneva in mano alcune carte. George si alzò, riponendo nella giacca il liquore che aveva finito di bere. L'ingresso di Hector venne seguito dagli altri membri della confraternita.

Leon strinse i pugni, ciò che detestava di più al mondo si era ripetuto. Era stato ripreso da Hector, che aveva approvato di nuovo le idee deboli di Agnés. La donna si distanziò da lui, raggiungendo il capo e indirizzando un'occhiata all'amico Dominic.

Il gruppo si era radunato attorno al piccolo tavolo, in attesa di ascoltare quello che Hector aveva da comunicargli. Era la quarta riunione che facevano quel mese e tutti si aspettavano qualcosa di importante. Erano soliti incontrarsi un paio di volte ogni mese e il loro capo non trasgrediva mai le regole. Se aveva ritenuto essenziale convocarli con così poco preavviso e in circostante piuttosto disdicevoli, allora doveva essere grave, o forse aveva trovato il modo per far fuori quel folle di Harmon.

"Attaccare in queste circostanze sarebbe un suicidio." Disse l'uomo, riprendendo il discorso interrotto pochi istanti prima. Guardò poi Leon, che non attese un permesso per obiettare.

"Per quanto continueremo così?"

Quasi urlò, ma lo sguardo severo del suo capo lo fece ritrarre.

"Sapete che ci sta ancora cercando perché siamo gli unici a dargli problemi. Cosa stiamo aspettando?Che Harmon ci sorprenda e metta fine alla congrega?"

"Non possiamo batterlo, è per questo che ci incontriamo. Per raggruppare le informazioni apprese ed escogitare un piano." Harmon era calmo e sicuro. Ribadiva quel concetto da diversi incontri e si aspettava che a Leon fosse chiaro già da tempo.

"E per questo ci nascondiamo? Come se fossimo dei vermi schifosi?"

Leon cominciò a infuriarsi. Tutta la calma che aveva acquisito dopo l'acceso dibattito con Agnés era svanita. Nessuno avrebbe voluto essere nei suoi panni, in quel momento. Né possedere il suo carattere irascibile. In pochi contraddicevano Hector, quando si mostrava fermo nelle decisioni. Era aperto ai consigli della congrega, ma sapeva essere anche piuttosto severo.

Era un capo esemplare, solo Leon non riusciva a percepirlo.

Hector non rispose alla provocazione del giovane vampiro, sapeva che era l'inesperienza a parlare e l'impulsività tipica del suo carattere. Scosse solo la testa, alzando gli occhi verso quelli del giovane.

"Se non sei d'accordo con i piani della congrega, puoi andare."

Indicò la porta, poi si girò a guardare gli altri.

"Lo stesso vale per voi."

I componenti si scambiarono degli sguardi, ma nessuno osò muoversi. Sapevano che spodestare Harmon dal trono non sarebbe stato facile, ma la congrega era stata creata per perseguire quell'ideale e liberare i mortali dalla perenne tirannia dei Rossi. Era quello il loro obbiettivo e avrebbero fatto qualunque cosa pur di raggiungerlo, anche perdere la vita.

L'unico ad abbandonare la stanza fu Leon, sotto l'espressione sgomenta e dispiaciuta dei suoi compagni. Si richiuse la porta alle spalle con forza, producendo un rumore acuto che sfiorò le alti torri campanarie.

Hector fissò a lungo il pesante portone, poi riprese a parlare, invitando Dominic a posare sul tavolo le carte ingiallite. I fogli raffiguravano una serie di figure confuse e quasi incomprensibili, linee all'apparenza senza significato che il tempo si era divertito a spazzare via. Agnés sfiorò con attenzione la superficie ruvida, paventando che potesse sgretolarsi da un istante all'altro. La sua confusione era evidente; Hector intuì presto i dubbi che aleggiavano nella mente dei compagni. Si stavano tutti domandando se non si fosse impazzito, infatti.

Cosa avrebbero potuto attingere da quei segni illeggibili?

Il vampiro sorrise, osservando la donna dagli occhi cristallini dinnanzi a lui. Era una caratteristica tipica dei vampiri Bianchi, tutti i membri della confraternita si distinguevano per il colore innaturale delle loro iridi.

Hector tornò a guardare l'antica pergamena adagiata sul tavolo, assumendo un'espressione grave.

"Questa è la Pietra Celestiale. L'unico modo per spodestare Harmon dal trono."

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