III

Nonostante il buio da cui era sbucata, la riconobbi dagli inconfondibili riflessi dorati che il fuoco acceso creava sui suoi capelli sciolti.

M'inchinai per aiutarla ad alzarsi, mentre lei si sollevava da terra. Senza sapere come me la ritrovai tra le braccia.

- Va tutto bene? – le chiesi in inglese, avendo notato il suo accento quando l'avevo sentita parlare con Zahîrah.

Non appena mi riconobbe, sussultò, ma non mi rispose e per un attimo pensai di essermi sbagliato e che non mi avesse capito.

La trascinai verso il fuoco dove c'era più luce, per poi realizzare che non avrei dovuto stringerla in quel modo.

- Perché hai paura di me? – le chiesi allontanando le mie mani dalle sue spalle e accorgendomi che mi guardava intimorita, sorpresa e al tempo stesso attenta a ogni parola che pronunciavo.

Mi ero appena reso conto che non le avevo mai parlato prima e che non potevo pretendere che si fidasse di me. Però non aveva avuto paura ad andarsene in giro da sola e in ogni angolo buio in cui poteva nascondersi chiunque.

Quella ragazzina mi stava facendo impazzire... Non volevo farla sentire prigioniera, ma forse avrei fatto meglio a tenerla d'occhio...

Forse non si rendeva conto dei pericoli che la circondavano, ma di me invece aveva paura, aveva cominciato a tremare appena mi aveva visto... era una contraddizione vivente...

Ma non le era bastato che l'avessi salvata? Che fosse viva grazie a me?

Certo che no... Dovevo dirle chiaramente che non aveva nulla da temere. Spesso dimenticavo quanto potessi sembrare crudele nei panni di un guerriero del deserto, ma solo i miei uomini più fedeli sapevano quanto in realtà fossi pacifico e riservato.

Rimasi in silenzio, mentre mi scrutava con attenzione, guardandomi dritto negli occhi e quando le feci cenno di sedersi accanto al fuoco, finalmente mi rispose: - Io non ho paura...

E allora perché non smetteva di tremare?

Mentre si inginocchiava, notai che aveva indosso uno dei vestiti che le avevo donato: aveva scelto quello in stile occidentale, di un grigio chiaro che metteva ancora più in risalto la sua pelle diafana e delicata.

Nonostante fosse stretto sulla vita e sui fianchi, fortunatamente era della sua taglia, perché aderiva perfettamente al suo corpo esile.

Non appena ci trovammo uno di fronte all'altro, riprese a scrutarmi negli occhi. Abbassai lo sguardo per non farmi sorprendere ad ammirarla, ma fu ancora peggio: nel sedersi il suo vestito si era sollevato lasciandole le gambe completamente scoperte.

- Ti sei ferita un ginocchio – le dissi non appena mi accorsi dei graffi che si era procurata nella caduta.

- Non è niente! – mi rispose coprendosi le gambe nude e con un imbarazzo che una bambina innocente non avrebbe provato.

Ma lei non era una bambina... non più...

Il suo istinto di giovane donna aveva forse percepito la pulsione che avrebbe potuto suscitare dentro di me.

Per me doveva essere come una sorella, giacché il suo viso mi ricordava tantissimo quello di Mylène, che mi aveva fatto da madre praticamente da quando avevo cominciato a camminare.

Eppure, con lei mi sentivo diverso, mi comportavo in modo diverso... lo vedevo da come reagiva il suo corpo quando la guardavo...

Si rendeva conto che ero innegabilmente attratto da lei? Dalla sua femminilità appena sbocciata da un corpo di fanciulla che non era ancora donna... dalla sua bellezza delicata che mi toglieva il fiato... come un candido fiore dal profumo sensuale...

Come poteva se io stesso non lo volevo ammettere?

Senza accorgermene tornai a fissarla intensamente senza proferire parola, incantato e allo stesso tempo impaziente di scoprire cosa pensasse di me.

Distolse lo sguardo dai miei occhi, mentre il rossore sul suo viso fugò un sospetto che si era insinuato nella mia mente.

Un sospetto che mi rendeva felice e inquieto allo stesso tempo: forse non mi ero sbagliato quando avevo percepito quell'attrazione nei miei confronti.

Come potevo farle quell'effetto?

Con tutte le forze che avevo, tornai a esercitare il controllo delle mie emozioni: nascosi sotto una facciata gelida tutti i miei sentimenti, la mia frustrazione, l'ansia, il tormento...

Lei distolse lo sguardo e prese a guardarsi intorno, finché fu attirata dal piccolo flauto che l'aveva involontariamente portata da me, in quell'angolo nascosto tra le rocce in cui mi ero rifugiato.

Se la mia fosse stata una trappola, l'avrei catturata con estrema facilità.

- Non volevo disturbare. Io... non riuscivo a dormire al suono di quello strumento...

La sua voce vibrava non d'imbarazzo, ma di una strana agitazione.

Rimasi in silenzio a lungo, cercando di capire dal suo respiro che tipo di emozioni le suscitavo.

Ero in una situazione di potere nei suoi confronti, lo sentivo, eppure non aveva mai cercato di fuggire.

Continuai a guardarla intensamente nei suoi occhi nel vano tentativo di leggerle dentro e ancora una volta, ebbi la sensazione di percepire un trasporto che la spingeva verso di me, una connessione profonda che ci legava l'uno all'altra.

O forse era solo un semplice riflesso del mio desiderio di non suscitare avversione o peggio ancora ripulsa per un uomo rozzo e selvaggio come me.

Cercando di non sembrarle troppo incivile, presi accanto al fuoco la teiera con del liquido ancora caldo e glielo versai in un bicchiere.

Lei lo prese e lo tenne tra le mani un po' incerta, finché lo bevve tutto.

Feci lo stesso anch'io, finalmente sentendo alleggerirsi la tensione tra di noi, ma mi accorsi della sorpresa disegnata sul suo volto, quando infilai il bicchiere sotto il velo che mi copriva naso e bocca.

- Noi tuareg non mostriamo mai il nostro volto a nessuno, neanche quando mangiamo. È una nostra tradizione. Spero che per questo non ti sentirai offesa – le spiegai.

Non doveva essere semplice per lei, trovarsi al cospetto di una cultura così diversa dalla sua: forse non sapeva quanto fosse importante per noi il rispetto dei nostri ospiti.

Per noi mangiare o bere di fronte a qualcuno non ero solo sgarbato, ma un vero e proprio insulto nei suoi confronti.

- Io sono il capo di questa gente – continuai per mettere distanza tra di noi, dopo quel momento che mi era sembrato troppo intimo. - Desidero dirti a nome mio e nome loro che sei la benvenuta. Spero che la nostra umile ospitalità sia di tuo gradimento.

Nessuno avrebbe potuto farle del male finché era sotto la mia protezione: le avevo già salvato la vita e le avrei donato volentieri la mia, se fosse stato necessario.

Cercai di usare il tono più freddo possibile e parlai lentamente per non farle capire quanto mi sentissi ancora incerto su cosa dirle su sua madre.

Nonostante il segreto che nascondevo, sapevo troppo poco di lei, non sapevo nemmeno quale fosse il suo vero nome. O meglio, quando era nata, l'avevo chiamata Jidji, fiore, come mia nonna, ma poi non l'avevo più vista.

Lei mi fece solo un cenno con la testa, non osando interrompermi, come se si trovasse al cospetto di un re a cui non rivolgere la parola, se non di fronte a una domanda esplicita.

- Come ti chiami? – le chiesi non per darle il consenso di parlarmi, ma per incoraggiarla.

- Shirley – mi rispose con voce esitante.

- Mylène Shirley, ma tutti mi chiamano solo Shirley. Sono americana.

Non riuscii a nascondere la sorpresa non appena pronunciò il nome di sua madre.

Portava il suo stesso nome, ma cosa sapeva di lei?

- Mylène però è un nome francese – le feci presente mostrandomi indifferente.

- È stato mio padre a sceglierlo, non so altro – mi rispose, ma nei suoi occhi notai un velo di tristezza.

Rimasi in silenzio a pensare su quell'importante rivelazione: era cresciuta quindi con suo padre, un americano. Ma dove si trovava prima di essere rapita e portata nel deserto?

Stavo per chiederglielo, quando mi accorsi di una macchia di sangue sul suo vestito.

Mi aveva detto di non essersi fatta nulla quando era scivolata, ma chiaramente aveva mentito.

Se non le avessi disinfettato subito il ginocchio, si sarebbe sicuramente gonfiato.

Con me portavo sempre tutto il necessario per curare qualsiasi ferita, dal semplice rossore che la sabbia provocava agli occhi, al morso di uno scorpione.

Mi avvicinai a lei, ma la guardai chiedendole tacitamente il permesso di poterla toccare.

Senza parlare, si sollevò la gonna quel tanto che bastava per scoprire il ginocchio e mi fece un timido cenno.

La sfiorai appena con la punta delle dita, cercando di fare più in fretta possibile e poi le misi una benda.

Quando finii, avrei dovuto allontanarmi da lei, ma rimasi immobile, quasi soggiogato dal suo profumo che sentivo così vicino.

Il suo viso era a pochi centimetri dal mio, ma nemmeno lei si ritrasse.

Era come se ogni muro di diffidenza fosse crollato. Nei suoi occhi vedevo la gratitudine e la speranza, che si facevano spazio tra la paura e l'imbarazzo.

Con un respiro deciso, trovò il coraggio di farmi finalmente la domanda che non osava pronunciare guardandomi negli occhi.

- Sere fa mi hai salvato da quegli uomini che mi avevano rapita. Mi hai salvato la vita, ma non mi è stato ancora chiarito se adesso sono di nuovo libera.

Era combattuta con se stessa, lo sentivo, ma non ne capivo il motivo: mi stava donando la sua fiducia, ma io in cambio, non sarei mai potuto essere completamente sincero.

Come avrei potuto rivelarle che conoscevo la sua vera madre? La donna che l'aveva abbandonata quando era ancora in fasce?

Cosa avrei potuto dirle? La verità le avrebbe solo fatto del male; l'avrebbe strappata da tutte le sue certezze; sarebbe stato un duro colpo che le avrebbe spezzato il cuore...

Non volevo essere io a farlo... non volevo essere in nessun modo per lei causa di dolore...

Mi guardava così intensamente cercando di leggere attraverso i miei occhi i miei pensieri, che non mi accorsi di aver nuovamente tolto la mia maschera.

Nonostante il velo, mi ero sentito spogliato della mia fredda corazza: mai nessuno mi aveva fatto sentite così... Ero sempre stato impenetrabile dietro la mia facciata altera, ma la forza del suo sguardo mi fece arretrare e distogliere i miei occhi dai suoi.

Nella trappola in cui sarebbe dovuta cadere la gazzella, ci era finito il leone.

- Ora sei libera ovviamente. Puoi fare ciò che vuoi e nessuno ti può costringere a rimanere qui – le dissi recuperando tutto il mio controllo.

Tornai a fissare i miei occhi nei suoi, dove vi lessi la stessa emozione che provavo io.

Ma io ero già tornato a mostrarle la mia immagine di uomo duro e imperscrutabile.

I suoi bellissimi occhi si velarono di lacrime e prima ancora che quelle gocce sgorgassero a bagnare il suo volto, si alzò e corse via.


Durante la notte mi torturai ancora per le sue lacrime e per quel segreto che pesava sul mio cuore come un macigno.

Dovevo lasciarla andar via anche se non l'avrei più rivista: era la cosa più giusta da fare.

Mi costrinsi a pensare che l'unica soluzione era tenerla allo scuro su tutto ciò che sapevo di sua madre.

Presa questa decisione, finalmente mi sentii meno inquieto, ma non meno infelice.

Poi la vidi, al buio nella mia tenda... non l'avevo neanche sentita entrare...

Aveva ancora lo stesso vestito grigio chiaro con ampie falde e soffici merletti sulla scollatura che però non le nascondevano il seno.

- Shirley? – la chiamai incredulo, - che ci fai qui?

- Io... - balbettò abbassando lo sguardo - non riesco a dormire... Posso... posso stare qui con te?

Non le risposi e nemmeno riuscii a muovermi.

Lei, senza aspettare la mia risposta, si avvicinò e si inginocchiò accanto a me.

Rimase ferma a guardarmi per qualche secondo, come incerta, poi si distese al mio fianco.

- Non ho paura di te – mi disse infine.

Nella penombra non riuscivo a vederla, ma la sentivo vicina, sentivo il suo respiro...

Non so per quanto tempo rimanemmo così in silenzio, poi all'improvviso udii la sua dolce voce: - Mi piacerebbe vivere nel deserto... amo questo posto; queste sabbie mi fanno sentire libera...

Poi sentii il tocco del suo mignolo che si scontrava con il mio. Sembrava un tocco casuale, ma al contrario la sua mano cercò la mia; le nostre dita s'intrecciarono...

- Resta con me – le dissi mentre le nostre mani si unirono, contro ogni mia volontà, contro ogni mio proposito.

Lei si voltò e l'odore della sua pelle m'invase. La sentivo premere verso di me con tutto il corpo, morbida e calda, ma continuai a rimanere immobile.

Non potevo, non potevo assolutamente permettere che mi lasciassi scombussolare da lei... nella mia testa era ancora poco più che una bambina, ma il martellare forsennato del mio cuore, mi diceva che non la consideravo affatto tale...

La sua bocca si posò sulla mia, così dolcemente che percepii appena quel tocco delicato.

Non riuscii più e resistere e mi spinsi verso di lei. Lei dischiuse le labbra e mi accolse con un bacio che non aveva niente di casto. Non avrei dovuto lasciare che succedesse... il suo profumo, la sua passione annientarono ogni monito della mia coscienza e fecero svanire ogni mio dubbio: la volevo dal primo istante e con quel bacio diventammo una cosa sola. Lei era mia. Io ero suo.






***

Cosa ne pensate di questo capitolo lunghissimo? 😍 Spero non sia stato troppo noioso o ripetitivo... ma dopo una settimana che continuo a rileggerlo, ve lo lascio così com'è...

In questa versione della storia, troverete alcune parti inedite: la prima riguarda questo bacio tra Rachid e Shirley... ❤ Spero di non sconvolgervi e sono incerta se cancellarla o meno: ditemi le vostre impressioni... commentate, o insultatemi... 😂😂😂 come preferite, ma ditemi sinceramente cosa ne pensate... 🙏

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