I

Rachid

Era l'estate del 1951.

Sono passati quasi settant'anni, ma ripenso spesso a quei giorni lontani, tanto che mi sembra come fosse ieri.

Come potrei dimenticarli? Stringo quei ricordi forte a me, perché sono ciò che di più prezioso custodisco della mia giovinezza: molti mi sembrano sfocati, del tutto sbiaditi come quelli più tristi, ma quelli pieni di dolcezza e amore, difficilmente si sarebbero cancellati dalla mia memoria.

Ero giovane, avevo quasi ventisette anni (li avrei compiuti a ottobre), ma ero cresciuto in fretta: ero stato abituato fin da piccolo a percorrere il deserto; ad amare la sua natura che ormai era parte di me ed io ero parte di lei; a rispettare le sue leggi per sopravvivere.

Il deserto non è né buono né crudele, né generoso né vendicativo.

È semplicemente quello che è: o lo si ama o lo si odia.

Dopo la morte di mio padre, avevo preso sulle mie spalle il comando della nostra tribù e delle carovane sahariane che portavano le provviste anche nei luoghi più remoti e isolati.

Conoscevo ormai ogni pista ed ero abituato a vivere di poco e a difendere quel poco che avevo con tutte le mie forze, perché dalle mie decisioni e dal mio coraggio dipendevano i miei uomini e le loro famiglie.

Gli Arabi che conquistarono il Nordafrica, ci chiamarono Tuareg in modo dispregiativo, che significa "abbandonati da Dio". Noi ci chiamavamo imoûhar, uomini liberi, perché eravamo nobili e fieri: i nostri padri ci formavano per combattere con onore e dare ordini senza mai mostrare pensieri ed emozioni; le nostre madri ci tramandavano la nostra cultura millenaria, l'arte, la letteratura.

Nonostante non avessi mai conosciuto mia madre perché era morta dandomi alla luce, ero stato comunque previlegiato. Avevo avuto le cure di mia nonna materna, oltre a quelle di una matrigna che mi aveva insegnato a parlare il francese e l'inglese, anche se in realtà non mi piaceva parlare con nessuno... Ero piuttosto di indole schiva, solitaria e inflessibile, ma pur sempre leale con i miei uomini e con gli iklan, gli schiavi.

Stavamo tornando da una lunga attraversata nel deserto, quando, guidato dalle stelle, incrociai la linea già prestabilita del mio destino.

Era più di un mese che io e i miei uomini mancavamo dal nostro villaggio. Eravamo stanchi: camminavamo ininterrottamente dall'alba fino al tramonto, perché acqua e cibo erano razionati; ogni sera scaricavano i cammelli per farli riposare e ogni mattina li ricaricavamo, domando i più giovani che non erano ancora mansueti e addomesticati.

Ognuno di noi, che fosse padrone o schiavo, aveva un compito ben preciso. Ma eravamo tutti uniti come fratelli, perché tutti, dal primo all'ultimo, pativamo la fame, la sete e la fatica.

Il viaggio era quasi concluso e non vedevamo l'ora di fermarci a riposare.

Ci accampammo così per la notte nei pressi di una sorgente ai piedi delle montagne dell'Atlante, crocevia delle carovane che si spingevano più a nord, ma che in quegli anni vedevano anche individui senza scrupoli che vendevano merci di contrabbando, ex patrioti che avevano combattuto il potere corrotto dei sultani arabi.

Erano uomini ribelli e senza onore, che non si facevano scrupoli nel rapire gli stranieri per richiedere il riscatto e sovvenzionare i loro sporchi traffici.

Quando ne vidi alcuni che scaricavano armi da un furgoncino, mi misi in allarme e ordinai ai miei uomini di prendere i fucili e tenersi pronti per ogni evenienza.

Rimanemmo a osservarli senza farcene accorgere, finché notai uno di quei ribelli tirar fuori dal retro del furgone una ragazza con abiti occidentali, che si dimenava per liberarsi con tutte le forze che aveva, senza riuscire nell'intento.

Con sangue freddo, rimasi a guardare da lontano cercando di mostrare indifferenza, ma dentro di me sarei voluto andare lì di corsa a salvarla.

La ragazza fu rinchiusa sul davanti del furgone e dopo qualche minuto, notai che, attraverso il finestrino, guardò nella mia direzione. Forse si stava guardando intorno per cercare una via di fuga o qualcuno a cui chiedere aiuto: difatti cominciò a fare dei gesti per attirare l'attenzione.

Uno dei miei uomini a cui lanciai un'occhiata furtiva, cercò di avvicinarsi per studiare meglio la situazione, mantenendo una certa distanza da quei carcerieri per non dare nell'occhio.

Quando uno di quest'ultimi tornò dalla ragazza e la fece scendere, allora si avvicinò e indicò qualcosa al suo collo.

Ma che diavolo aveva in mente?

Li vidi parlare per un po' e quando tornò, mi consegnò una collana con una croce: sgranai gli occhi per la sorpresa non appena riconobbi su quell'oggetto il mio stemma familiare.

Come era possibile?

Ricordavo benissimo quell'antica croce d'argento: era un talismano che da bambino avevo portato sempre con me, fino a quando l'avevo donata a una piccola creatura appena venuta al mondo per proteggerla dai jinn malvagi del deserto.

Era un segno del destino se quella croce era ritornata di nuovo a me?

Era lei quella ragazza? No, non poteva essere... non riuscivo a crederci...

Dovevo fare di tutto per salvarla, così, con il calare delle tenebre, io e i miei uomini escogitammo una trappola.

Feci finta di essere interessato a barattare delle armi e invitai il capo di quella banda a bere il tè vicino al falò: se conosceva la nostra sacra ospitalità, di certo non si sarebbe rifiutato.

Un uomo con i baffi, dall'aspetto decisamente losco, si accomodò dinanzi a me con sfrontata tracotanza.

Per nulla intimorito, gli proposi un'alleanza e iniziai il lungo rituale della cerimonia del tè: il primo bicchiere amaro come la morte, il secondo piacevole come la vita.

Mentre stavo servendo il terzo bicchiere, quello dolce come l'amore, un grido attirò l'attenzione di tutti.

Quella ragazza, nel tentativo di fuggire dalle grinfie dei suoi sequestratori, aveva cominciato a scalciare a chiunque le si avvicinasse.

Doveva essere molto coraggiosa, pensai dentro di me, ma forse più che altro incosciente, data la sua età, ma senza indugi, presi al volo l'occasione per sguainare la sciabola e immobilizzare l'uomo che avevo di fronte.

Lanciai un urlo e il resto dei miei uomini, che aspettavano da me quel segnale, puntarono i loro fucili contro il resto dei malviventi.

Uno sparo echeggiò lungo le pareti rocciose e l'uomo che imprigionava la ragazza cadde a terra, ma un altro uomo prontamente la bloccò torcendole un braccio e puntandole un coltello alla gola.

In quell'istante di immobilità, la guardai per incoraggiarla a resistere, ma lei chiuse gli occhi dal terrore.

Nei secondi successivi, non lasciai la sciabola, ma la mantenni ferma sul petto dell'uomo che avevo immobilizzato.

In silenzio guardai l'altro uomo che immobilizzava la povera ragazza: fu un lungo e interminabile istante in cui io e lui ci scrutammo. Lo minacciai con lo sguardo e dal modo in cui vacillò leggermente, capii che si era reso conto di essere circondato.

Di sicuro non avrebbe rischiato di essere ferito, né avrebbe permesso che il suo capo morisse.

Nel frattempo, la ragazza riaprì gli occhi per rendersi conto che la sua vita era appesa a un filo, ma non appena incrociò il mio sguardo, mi sembrò quasi sollevata, come se avesse appena realizzato che la sua vita dipendeva da me.

Nei suoi occhi vi lessi una supplica e al tempo stesso ammirazione. Forse me l'ero soltanto immaginato, ma in ogni caso non l'avrei delusa.

Nonostante la distanza che ci separava e l'uomo che avrebbe potuto tagliarle la gola in pochi secondi, in quel momento mi sembrò come che se ci fossimo solo io e lei.

Mi sarei perso in quello sguardo, se solo non avessi temuto per la sua vita, così, mentre probabilmente nella realtà lei vedeva in me un'ulteriore minaccia, cercai di farle capire che avrei fatto di tutto per portarla in salvo e per proteggerla.

Quando alla fine lentamente l'uomo allontanò il coltello dalla sua gola e lo fece scivolare a terra, esultai per la sua resa.

Mi lanciai contro di lui giusto in tempo per prendere la ragazza che allungò le mani verso di me come per sorreggersi e di colpo me la ritrovai stretta al mio petto, svenuta.

La strinsi forte a me e vedendo che non si riprendeva, la sollevai tra le mie braccia e la portai verso la mia tenda, mentre ordinavo ai miei uomini di guardarci le spalle.

Quando l'adagiai su un piccolo giaciglio, nel guardarla provai una gioia indescrivibile.

I suoi capelli colar mogano avevano la sfumatura inconfondibile di Mylène: non poteva essere che lei, quella bambina appena nata che avevo stretto a me diciassette anni prima.

Il mio sguardo si posò sulle sue labbra e un ricordo riaffiorò nella mia mente: avevo appena otto anni quando vidi per la prima volta quelle labbra rosee.

Non le avevo mai dimenticate: ogni volta che ammiravo un bocciolo di rosa, mi ricordavo di lei chiedendomi come era diventata, dove fosse, se stesse vivendo una vita felice...

Non avevo mai chiesto sue notizie a Mylène, né ne avevo mai fatto parola persino con Sahid.

Capii molto presto che quella bambina era stata la causa del dolore di mio padre, che era finito per tramutarsi in odio nei confronti del mio fratellastro. Avrei potuto odiarla in quel momento, ma lei non aveva nessuna colpa.

Le avevo appena salvato la vita e quella sensazione meravigliosa mi fece sentire in preda a un'euforia inspiegabile: il mio cuore batteva forte di un'emozione mai provata prima e a cui non sapevo dare un nome.

Il mio sangue guerriero era abituato all'azione, all'adrenalina frenetica dopo uno scatto di forza, ma non avevo mai avuto una reazione emotiva così potente: avevo sempre avuto una sorta di antidoto alla paura.

In quel momento invece non mi chiesi solo che cosa stessi provando: cos'era quello strano batticuore? Panico, smarrimento?

Mentre lei era inerme tra le mie braccia, anche un altro pensiero cupo mi attraversò la mente: cosa le avrei detto quando avrebbe ripreso coscienza?

Avrei dovuto nasconderle molte cose, persino ciò che nascondevo a me stesso.

In quel preciso istante non lo capii, né credevo fosse possibile potersi innamorare in così poco tempo, ma ora che lo so, era proprio ciò che era successo: mi ero innamorato... certo che lo ero...

Forse la mia anima lo era sempre stata.




Buon San Valentino a tutt* ❤

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