XXVI

Prima di leggere, vorrei che ascoltaste "Everybody hurts" dei REM che dedico a tutti voi. Il testo è bellissimo... ❤

***

Raji...

Poteva un semplice nome di sole quattro lettere rievocare ricordi ed emozioni?

Quel giorno Shirley si rese conto di avere vicino non soltanto un medico pieno di attenzioni e gentilezze nei suoi confronti, ma anche una persona di piacevole compagnia.

Non sapeva per quale motivo, ma la faceva stare bene.

Era rimasta in quella casa con lui, eppure non si era sentita neanche per un attimo intimorita, anzi la sua presenza le provocava un inspiegabile palpito del cuore. Aveva la sensazione di potersi fidare di quell'uomo, che era diventato la sua ombra e i suoi occhi e che era riuscito perfino a farle pesare meno la sua situazione.

Non voleva rimanere sola, ma al tempo stesso non voleva essere di peso, così cercò di rendersi utile: oltre a improvvisarsi aiutante di Lila che preparava unguenti e piccoli rimedi con le erbe, verso mezzogiorno cercò di aiutarla a preparare qualcosa da mangiare.

Cominciò col fare un impasto per il cous cous, ma invece di lasciarsi prendere dallo sconforto per i guai che stava combinando in cucina, si sentì invece per la prima volta utile.

Quando ebbe finito, fu pervasa da una sensazione di soddisfazione, ma quando si accorse di un allarmante silenzio intorno a sé, cominciò a preoccuparsi. Poi le risate improvvise di Lila e Rachid le fecero capire che si era completamente sporcata il viso di farina.

Cominciò a ridere anche lei, pur essendo consapevole di essere ridicola: non si divertiva così da troppo tempo. Inoltre, se solo avesse voluto imparare, presto sarebbe riuscita a fare qualsiasi cosa, anche senza l'ausilio della vista e questo le dette un notevole conforto.

Pian piano cominciò a memorizzare le stanze di quella piccola casa e la posizione dei mobili, in modo da diventare più autonoma.

Rachid, che non era abituato a parlare molto, dovette fare uno sforzo enorme.

Per lui i silenzi erano la normalità, ma con Shirley era impossibile: lei oltre a non riuscire a star ferma, parlava in continuazione come se avesse bisogno di "rumore" intorno a sé o di sentire la sua presenza.

Prese l'abitudine allora di sfiorarle sempre i gomiti o di prenderla per mano, per farle capire che era sempre accanto a lei. Ma nonostante tutto, si sentiva un egoista perché le stava nascondendo chi era.

Per l'ennesima volta stava mentendo alla persona che amava. Non c'era nulla che servisse a sua discolpa, ma si giustificò con se stesso accampando la scusa che doveva evitare di farle subire ulteriori traumi. Dentro di sé però, sapeva benissimo che quando la verità sarebbe venuta a galla, probabilmente non avrebbe più potuto starle vicino come in quel momento.

Non aveva mai avuto la possibilità di conoscerla più a fondo e gli piaceva questa possibilità.

Forse non era sbagliato rimandare la resa dei conti ancora un po'.

- Bevi! – le disse all'improvviso Rachid avvicinando una coppa alle sue labbra quando rimasero soli.

Shirley assaggiò quella bevanda appena tiepida dal sapore leggermente salato.

- Cos'è? – chiese curiosa, bevendola tutta.

- È un elisir di cui parlava persino Aristotele... Ti farà bene! – le rispose lui rallegrato di vederla così serena nonostante quello che aveva passato in quei giorni.

- È latte di cammella? Non lo avevo mai bevuto... è buonissimo!

Non solo era squisito, ma era anche un ottimo rimedio contro i mali dell'anima.

Rachid si avvicinò per pulirle la bocca con un tovagliolo e, dicendole che era quasi pronto da mangiare, la fece inginocchiare su dei morbidi cuscini accanto a un tavolino basso.

Shirley non si era mai sentita così felice da tempi immemori e per la prima volta si dimenticò di tutto ciò che l'affliggeva.

Alla fine del pranzo, Rachid le porse un bicchiere dicendole: - Vediamo se indovini anche questa volta!

Shirley incuriosita bevve un piccolo sorso, ma subito esclamò ridendo: - Ma è champagne! Come lo hai avuto qui nel deserto?

- È un segreto! – le rispose Rachid sovrapponendo una mano su quella di Shirley e poi esclamando: - Facciamo un brindisi... alla tua salute!

Shirley percepì una leggera spinta sulla coppa che stringeva fra le mani, accompagnata dal rumore tintinnante dei due vetri che si scontravano. Subito dopo avvertì sulle sue labbra il bicchiere che Rachid stesso le avvicinò alla bocca.

Un'ombra di tristezza le comparì sul volto, ma per scacciarla via bevve tutto d'un sorso.

Dopo aver finito di mangiare, Shirley avrebbe voluto sparecchiare, ma mentre cercava delicatamente con le mani le stoviglie adagiate sul tavolo per paura di farle cadere, Rachid le disse: - Aspetta! Hai del sangue sulla camicetta. Si deve essere staccata la fasciatura al braccio.

Shirley aveva tanti di quei graffi e lividi sulla pelle, che quasi non ci badava.

Rachid così l'accompagnò nella stanza che fungeva da medicheria e quello bastò a Shirley a farla sentire di nuovo una donna incapace. Le fece sollevare la manica della camicia e anche se non era la prima volta che la curava, notò che era sempre più imbarazzata, soprattutto dopo quella giornata trascorsa insieme.

Shirley in effetti si sentiva strana, perché non aveva più davanti a sé un medico estraneo, ma un semplice essere umano che quel giorno le aveva dedicato gran parte del suo tempo.

Mentre Rachid le stava disinfettando un piccolo taglio che aveva ripreso a sanguinare, osservò appena sotto il collo la vecchia cicatrice che Shirley aveva all'altezza della clavicola.

Ricordava bene quella ferita e non resistette alla tentazione di chiederle come se la fosse procurata.

Shirley, a quella domanda che la colse di sorpresa, rispose che se l'era fatta da bambina cadendo e poi si sentì subito sciocca, perché un occhio esperto avrebbe subito riconosciuto la ferita di un colpo di arma da fuoco.

- Non hai perso il vizio di cadere! – scherzò Rachid e Shirley tirò un sospiro di sollievo credendo che l'avesse bevuta.

Rachid in realtà cercava un pretesto per poterle dire la verità, che era lui stesso la causa di tutto quello che aveva passato, ma non trovava mai il coraggio: pensava che sapendolo, lei l'avrebbe odiato e che gli avrebbe rinfacciato tutto il male che le aveva fatto, oltre a tutte le menzogne che le aveva detto.

Eppure, Rachid si ricordò di quella volta che l'aveva visitata mentre dormiva e lei l'aveva nominato nel sonno. E poi c'era quel Martin che gli aveva fatto quelle insistenti domande sul nipote di Ali, ma non era il momento di chiederglielo, anche se voleva sapere cosa c'era veramente tra lei e quell'uomo.

Sapeva solo con certezza che lui non doveva di sicuro essere immune al suo fascino. Quale uomo non lo sarebbe stato?

Quando l'aveva rivista, era rimasto rapito dalla sua bellezza come la prima volta, anzi di più. Non aveva più il viso di una bambina che tanto ricordava, ma pur essendo ormai donna, conservava ancora quell'innocenza di cui si era perdutamente innamorato. E adesso, era sola e non poteva lasciarla a se stessa in un momento tanto difficile.

Quella sera Shirley si coricò molto presto perché era stanca. Riuscì ad addormentarsi all'istante, non pensando a nulla e scacciando via ogni ricordo.


Dopo qualche giorno, non soffriva più né di mal di testa né di vertigini per merito delle benevole cure e della vicinanza di Rachid. Durante la giornata, chiacchierava con le donne e i bambini che andavano a trovarlo per farsi curare piccoli malanni; mentre la sera rimaneva con lui davanti al fuoco ad ascoltare aneddoti divertenti.

Le sue storie preferite erano quelle che parlavano del gigante seduttore * che inventava favole. I suoi racconti si dipanavano come dei lunghi fili per far cadere tutto il genere femminile ai suoi piedi: poesie, canti e indovinelli erano il suo repertorio. Persino le capre e le asinelle erano pazze di lui, ma alla fine rimaneva sempre solo per via della sua enorme altezza.

Shirley adorava quelle storie ora che riusciva a interpretare quella lingua così affascinante.

Quando Rachid le aveva chiesto dove avesse imparato a parlarla, le confidò della sua passione per le lingue e degli studi che aveva fatto all'università, per finire a raccontare della sua esperienza al consolato e nei trattati diplomatici.

Anche Rachid le confidò molte cose della sua vita privata: le raccontò che proveniva da una delle famiglie berbere delle regioni più interne del Sahara, dove aveva trascorso tutta la sua infanzia.

Le disse che sua madre era morta nel darlo alla luce, non immaginando minimamente quanto quel piccolo particolare potesse essere importante, se Shirley avesse saputo chi fosse veramente.

Poi era morto anche suo padre ed era stata proprio la sua malattia a spingerlo a continuare gli studi: gli piaceva prendersi cura delle persone malate, poiché in quelle zone del Sahara non c'erano molti medici.

Shirley si era subito immedesimata in lui: anche lei non aveva mai conosciuto la sua vera madre. Avrebbe voluto dirglielo, ma per quanto avesse un carattere estroverso, non riusciva a confidare a nessuno il suo grande segreto, anche se a volte aveva provato l'impulso di farlo.


Un mattino si svegliò prestissimo e con una grande energia: si buttò subito giù dal letto, si vestì e andò fuori sentendosi ormai indipendente.

Lila passava sempre per darle una mano: era una brava donna, sebbene le sembrasse un po' strana.

Shirley le chiese di Raji: - Il dottore dorme ancora?

- Oh no! Lui si alza sempre molto presto! Manca già da un paio d'ore: è andato a visitare un bambino che aveva la febbre molto alta.

Shirley rimase delusa per l'assenza e allo stesso tempo entusiasta di quel medico che preferiva vivere di poco, pur di aiutare quella gente umile che aveva bisogno di lui.

Poi le chiese: - È stato lui a trovarmi giù al fiume dopo la mia caduta, vero?

- Sì, certo! Ancora non lo sapevi?

Shirley scosse il capo per dire di no e subito le ritornarono in mente le immagini confuse di quando, ancora immobile sulla roccia su cui era caduta, aveva visto un'ombra avvicinarsi, l'ombra di un uomo vestito di nero.

"Allora era lui l'uomo in nero" pensò.

"Quell'uomo che ho visto diverse volte era Raji Al Hajid. Ma perché mi fissava in quel modo?"

Shirley rimase turbata: un nuovo mistero le passava per la mente.

Quando Rachid tornò e le medicò nuovamente le ferite che ancora le segnavano la pelle, si sentì però più sicura.

"Dopotutto, anche se mi guardava in quel modo misterioso, non deve essere affatto cattivo se si occupa così di me" e anche quel dubbio dalla mente le svanì.

- Voglio tornare al fiume! – gli disse.

- Perché? – le chiese Rachid a quella richiesta molto strana.

- Se tornassi in quel posto potrebbe ritornarmi la vista? – domandò Shirley, ma più con tono affermativo che interrogativo.

- Può darsi, ma potrebbe provocarti un ulteriore trauma. Sarebbe meglio non rischiare ora che stai un po' meglio...

- No, voglio tentare. Ti prego, portami lì.

Rachid non insistette, così dopo un po' presero due cavalli e andarono verso il fiume.




Nota *

Nella mitologia tuareg, al gigante Amerolqis si deve l'invenzione della scrittura: secondo la leggenda, egli inventò dei simboli per comunicare con le fanciulle per sedurle.

La sua fama di conquiste non aveva limiti al punto da riuscire ad ammaliare perfino le femmine degli asini, che sono considerate all'ultimo posto nella gerarchia degli animali.

Ancora oggi i giovani tuareg utilizzano dei gesti con le dita per comunicare in codice (immaginate voi cosa... ehm...): insomma nel deserto non è che ci si abborda al bar... 😂😂😂

***

Scusate il breve excursus nella cultura berbera, ma alcune di voi mi hanno detto che adorano conoscere di più sui miti e le tradizioni dei tuareg, per cui spero di aver fatto cosa gradita... 😉

Tornando ai nostri beniamini, scusate anche se ho finito così il capitolo, ma in questi giorni ero piuttosto ispirata e così è venuto fuori un capitolo lunghissimo. Ho quindi deciso di dividerlo: il prossimo sarà pieno di colpi di scena e non sto nella pelle che penso di pubblicarlo prima di Natale o domani stesso, in maniera da rispettare anche la tabella di marcia che mi ero prefissata. Che ne dite? Ci state per domani? 😀

A prestissimo ❤

D.J.

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