XXIV

Raji Al Hajid El Fahid Ibn Nusayr, meglio conosciuto come Rachid, il Virtuoso, discendeva da una delle famiglie nobili più pure del Sahara.

In quanto figlio maggiore a sua volta di nobile, un giorno sarebbe potuto diventare di diritto Re.

Aveva superato i trent'anni e secondo l'antichissima tradizione del suo popolo, era tempo di sposarsi e avere dei figli a cui avrebbe dovuto tramandare non solo la sua eredità materiale, ma soprattutto quella spirituale: i valori e gli ideali a cui la sua gente era rimasta fedele per millenni, nonostante i tentativi dei vari imperi di sottometterlo al loro controllo.

Non gli era permesso, per questo motivo, sposare una donna di una razza diversa dalla sua, ma solo una nobile figlia maggiore appartenente a una famiglia della sua stessa casta.

Negli ultimi anni della sua vita, era stato oltre confine per via delle repressioni attuate dai colonizzatori che avevano costretto moltissime tribù berbere a migrare verso quelle terre ancora libere.

Nel villaggio in cui era cresciuto non c'erano scuole: dall'età di dodici anni, suo nonno, nonché capo supremo della loro regione, aveva deciso di mandarlo presso una comunità stanziale dove avrebbe potuto studiare.

Poi suo padre si era ammalato e così, abbandonato gli studi, era dovuto tornare tra la sua gente dove non c'erano né ospedali né medici.

Pochi anni dopo, suo padre era morto senza che lui potesse far nulla per curarlo.

Rivedeva ancora il suo volto, il suo sguardo fiero di un guerriero intrepido, la sua spada veloce come una folgore.

Come poteva deluderlo?

Doveva sposarsi per tramandare la regalità della sua famiglia e del suo sangue.

Eppure, suo padre era stato il primo a sacrificare il suo onore per amore di una donna, una donna straniera...

Dopo la sua morte, ogni responsabilità e ogni decisione che riguardava la sua tribù era piombata su di lui.

Quando i conflitti degli ultimi anni avevano reso impossibili i loro traffici e decimato i suoi uomini, la maggior parte delle famiglie e dei loro schiavi avevano preferito proteggersi sotto l'ala di suo nonno, un capo potente nonostante vivesse in una delle regioni più sterili del pianeta, il regno del grande nulla infinito.

Sua nonna, nobile matriarca del deserto, aveva già scelto colei che sarebbe stata sua moglie: una fanciulla di nome Tin Hinan.

A lui non importava, poiché ormai la sua vita non aveva più senso da quando il suo cuore, cinque anni fa, gli era stato strappato via dal petto.

Quante volte aveva guardato il cielo durante la notte in cerca di risposte?

Perché Vega, Altair, Deneb e tutte le stelle del cielo si prendevano gioco di lui e non gli rispondevano?

Il fato lo scherniva anche adesso: qualche sera prima era arrivato lì dove viveva suo zio che non vedeva da anni per incontrare la sua futura sposa. La tradizione voleva che il matrimonio avvenisse nel luogo da dove proveniva la famiglia di suo padre.

Non poteva crederci quando invece, appena arrivato dopo quel lunghissimo viaggio attraverso il deserto, aveva rivisto proprio lei, la donna che portava il suo cuore.

Perché se non poteva averla? Perché era tornata proprio ora?

Quale dolce scherzo del destino era questo?

Era rimasto spiazzato, paralizzato... non era riuscito a sollevare neanche un dito, nemmeno ad aprire la bocca per respirare.

Quanto si odiava per averla lasciata cinque anni prima, per non averla mai cercata nonostante il suo amore non fosse mai cessato.

Pensava fosse un miraggio dovuto alla stanchezza del viaggio e invece era veramente tornata.

Perché? Per chi?

Ma poi tutto gli era crollato di nuovo addosso quando l'aveva vista tra le braccia di un altro uomo che sosteneva di essere suo marito. Come gli era saltato in mente di mettersi a spiarla da sotto la terrazza nascosto tra gli alberi come un ladro? Neanche i suoi dubbi o la sua gelosia giustificavano il suo vile comportamento.

Tra l'altro quell'uomo gli aveva fatto pure delle strane domande: perché gli interessava sapere se il nipote dello sceicco Ali El Fahid Ibn Nusayr, che altri non era se non lui, fosse ancora vivo?

Non si fidava per niente di quel Martin Sherman, così gli aveva mentito dicendo che non si era salvato.

Non voleva rischiare di ritrovarsi immischiato nei traffici di suo zio che si circondava di occidentali di dubbia moralità, né di ritrovarsi nei guai per non aver pagato i dazi o per gli schiavi che possedeva nonostante la legge coloniale avesse abolito la schiavitù.

E poi non voleva soprattutto che Shirley venisse a sapere che era lì anche lui, o almeno non voleva che lo scoprisse tramite altre persone.

Avrebbe voluto dirglielo di persona... Aspettava solo la giusta occasione, ma quel giorno, non appena aveva visto rientrare Martin Sherman da solo al campo, un brutto presentimento gli era rimbalzato in mente.

Dov'era Shirley? Perché non era più con suo marito?

Senza indugiare un attimo, corse fino al fiume dove li aveva visti dirigersi qualche ora prima.

Quante volte si era allontanata da sola per imbattersi in ogni sorta di pericolo? Non era la sfortuna a perseguitarla, ma era lei che rincorreva la cattiva sorte.

Quando arrivò ai piedi della cascata, un urlo gli trapassò l'anima.

Corse in quella direzione finché la vide riversa e immobile sul greto del fiume. Perché era salita lassù tra le rocce da sola? Poteva esistere persona più incosciente?

Ma la sua rabbia fece spazio ben presto alla paura, quando con il cuore impazzito la raggiunse e la prese tra le braccia: il volto marmoreo era attraversato da un rivolo purpureo di sangue che scivolava dalla sua fronte.

Respirava... era ancora viva...

La vide schiudere appena gli occhi, ma senza emettere alcun gemito di dolore.

Nel sollevarla con cautela, un tintinnio metallico di qualcosa che cascò a terra attirò la sua attenzione.

Guardando verso il basso, vide tra i sassi la croce con il suo stemma: durante la caduta doveva essersi sganciata dal collo di Shirley.

La prese tra le dita chiedendosi per la seconda volta che significato avesse per lei quel gioiello: era certo che il segreto della sua famiglia fosse ancora tale, eppure lei lo portava al collo come un oggetto a cui teneva molto.

Doveva essere un talismano, invece al contrario aveva portato nelle loro vite solo maleficio.

Ci sarebbe stata mai fine a quella sofferenza?

La strinse forte tra le sue dita e poi se la mise in tasca per tornare subito a occuparsi di Shirley.

Cosa le avrebbe detto quando l'avrebbe riconosciuto?

Non così... non era pronto...

La chiamò diverse volte, ma nonostante fosse sveglia non gli rispondeva: sembrava terrorizzata, così la cullò dolcemente per tranquillizzarla e quando si rese conto che la caduta non le aveva causato fratture, la prese in braccio per riportarla al villaggio.

L'adagiò su un letto morbido e chiamò Lila, una donna nera che conosceva fin da quando era bambino.

Era una guaritrice.

La donna si avvicinò senza fare domande come se sapesse già tutte le risposte: aveva conosciuto Mylène in passato e riconobbe sua figlia.

In silenzio cominciò a toglierle i vestiti per curarle le ferite.

Rachid la lasciò fare. Era fin troppo scosso anche lui. Era riuscito solo di recente a terminare gli studi in medicina, sebbene con grosse difficoltà, eppure aveva visto fin troppe volte quella donna all'opera per non credere che a volte la magia curava più dei farmaci.

Quando Shirley finalmente cominciò a riprendersi, Rachid pregò Lila di lasciarli soli: era arrivato il momento...

Lila avvicinò una mano al petto di Rachid come a voler sentire la sua energia, ma in realtà aveva percepito il richiamo potente della croce che Rachid portava addosso.

- Non puoi cambiare il destino Rachid: è già tutto scritto! – e sorridendogli uscì, come se conoscesse passato, presente e futuro.

Mentre le parole di quella strega avevano incuriosito Rachid lasciandolo interdetto, Shirley si toccò la testa nel punto in cui aveva battuto e poi si palpò gli occhi come se non riuscisse a capire se fossero chiusi o aperti.

Quando Rachid si mosse per avvicinarsi, lei si voltò di scatto verso il rumore che aveva sentito, ma, nonostante cercasse di spalancare gli occhi, il suo sguardo sembrava perso nel vuoto. Il suo respiro era corto e agitato.

Lui allora le sfiorò un braccio per calmarla e lei sussultando lievemente con voce impastata chiese: - Chi c'è?

Rachid non capiva: lo sguardo di Shirley era puntato su di lui, ma era come se lo oltrepassasse.

Si era già preparato al momento in cui Shirley avrebbe aperto gli occhi e posato il suo sguardo su di lui, ma quasi immediatamente realizzò, agitando piano una mano davanti ai suoi occhi che non avevano nessuna reazione, che Shirley non lo vedeva, non poteva vederlo.

Non era possibile. Era peggio di quanto pensasse.

Doveva dirle qualcosa per evitare che si spaventasse ulteriormente.

Forse era così confusa che non avrebbe riconosciuto la sua voce, così cercò con tutte le forze di reprimere i suoi sentimenti e di parlarle con il tono più freddo possibile.

Doveva mentirle ancora una volta. Non poteva rivelarle chi era. Lei non lo avrebbe sopportato in quel momento.

- Sono un medico – riuscì a dire con voce roca, soffocando il suo desiderio di riabbracciarla. – Riesce a vedermi?

Avrebbe voluto parlare in inglese o in francese, ma in quel momento la sua mente non era capace di tradurre i pensieri che gli affollavano la mente.

Per un attimo Shirley rimase in silenzio, come se non avesse capito, ma poi gli rispose nella stessa lingua, che lei aveva imparato a usare benissimo grazie ai suoi studi e al suo lavoro.

- No... ma perché è così buio qua dentro?

Rachid esitò un attimo. Non era il momento di chiedersi come facesse Shirley a conoscere così bene la lingua tuareg, così si decise a dare subito una risposta: - Non è buio. Ha sbattuto la testa e sono i suoi occhi che non vedono...

Shirley ebbe un attimo di esitazione: quella voce le smosse qualcosa nel profondo, ma al tempo stesso si rese conto di quello che era successo.

I suoi occhi erano ciechi.

***

Ehm... spero di non essere in pericolo di vita dopo questo tragico capitolo... 😂😂😂

Cosa ne pensate? Ve lo aspettavate così il loro primo incontro ravvicinato dopo cinque anni? O volevate qualcosa di più romantico?

Inoltre, in questo capitolo si nascondono altre importanti rivelazioni: cosa vi aspettate adesso?

Vi siete accorti di un cambiamento nella narrazione della storia? Non vedevo l'ora di poter rivelare i sentimenti di Rachid, che finora erano stati descritti solo attraverso gli occhi di Shirley.

In realtà all'inizio questo capitolo non era così (lo avevo scritto dal punto di vista di Shirley), ma poi come sempre ho stravolto tutto: che dite? Ho fatto bene a seguire l'istinto e non la logica, anche a discapito della coerenza della trama?

Nella mia mente tutte le scene si sono fatte strada da sole: io le ho solo scritte... A volte mi succede... In questi giorni, nei momenti più impensabili, mi dovevo fermare per prendere appunti e scarabocchiare frasi: ora sono sommersa di fogli da tutte le parti... Eheheh...

Fatemi sapere con un commento o una stellina se vi è piaciuto... Ma che dico? In realtà dovrei pregarvi di non insultarmi in tutte le lingue... 😅

P.S.: che ne dite della colonna sonora di questo capitolo? "Be Kind" di Marshmello e Halsey 😍

Di solito preferisco associare al testo un'immagine, ma in questo periodo ho in testa alcune canzoni che si addicono alle sensazioni che sto vivendo nel scrivere questa storia.

Se vi fa piacere, le aggiungerò anche nei prossimi capitoli.

A presto ❤

D.J.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top