XXII

Dune, sole, vento e orme sulle sabbia.

Il loro viaggio iniziò in groppa a un gruppo di cammelli che formavano una carovana che percorreva quel tratto ai confini del Sahara.

Martin e Shirley erano arrivati con un fuoristrada fino all'ultimo villeggio popolato, poi era iniziata la vera e propria avventura nel luogo più affascinante e misterioso del mondo: il deserto.

Mentre si muovevano al ritmo ondulatorio di quei cammelli, sembrava che il sole si sciogliesse e formasse sulla terra sabbiosa un involucro di fuoco che si sprigionava dalla sabbia.

Era impossibile guardare lontano, perché l'orizzonte appariva immerso in un alone luccicante e tremante di fumo, mentre il caldo divampava e l'aria baluginava sulle dune.

Shirley ricordava bene quel paesaggio e, anche quella volta, aveva avuto la stessa sensazione di infinito.

Era impaziente di arrivare, di sapere tutto quello che c'era ancora da conoscere.

Lei e Martin si finsero una coppia sposata per non dare nell'occhio e per non sentirsi a disagio di fronte ad Ali El Fahid Ibn Nusayr che li avrebbe ospitati.

Una coppia non sposata avrebbe destato scalpore anche in occidente, figuriamoci in quel posto dove la religione islamica e il rispetto delle tradizioni erano molto sentiti.

Shirley non aveva acconsentito di buon grado a quella farsa anche se indispensabile, perché avrebbe dovuto fingere in tutto e per tutto di essere la moglie di Martin Sherman e ciò avrebbe comportato anche di dover dormire con lui nella stessa stanza.

Dopo un lunghissimo viaggio, finalmente la carovana arrivò nella residenza dello sceicco. Era un vero e proprio regno quel posto e Shirley ci accorse che c'era molta differenza tra quella piccolissima città e l'accampamento in cui era stata cinque anni prima.

Ali El Fahid aveva una fortuna immensa che si era creato in cambio dell'appoggio al dominio coloniale, al contrario delle tribù berbere, sempre più osteggiate dal governo e impoverite dai pedaggi sui transiti delle carovane.

Nel villaggio, erano state costruite case di argilla situate ai piedi di un'altura pietrosa e spoglia, dove poco vicino passava un fiume che aveva scavato un anfratto che scendeva verso la valle.

Intorno alle case erano state edificate delle mura e al centro si trovava un palazzo che sembrava una piccola fortezza: era la dimora dello sceicco, in cui Shirley e Martin furono ospitati.

Era una casa piena più di tappeti e tendaggi che di mobili e Shirley ne rimase conquistata: quelle stoffe e quei disegni variopinti le ricordavano la tenda di Rachid e non ci volle molto a farle ritornare in mente ogni piccolo particolare dei suoi ricordi.

Martin lo aveva notato e si sentiva nervoso e forse per la prima volta anche un po' geloso: aveva la sensazione che quel luogo allontanasse Shirley ancora di più da lui.

Quando furono accompagnati nella loro stanza, Shirley, appena entrò, posò immediatamente lo sguardo sull'unico letto che troneggiava al centro e si fermò imbarazzata.

Martin invece, sfinito dopo quel lungo viaggio e dal caldo che l'opprimeva, non vedeva l'ora di stendersi.

- Mogliettina mia, questo letto è grande abbastanza per tutt'e due! – e così dicendo si era quasi buttato sfinito in mezzo a quel comodo giaciglio.

Le fece poi un occhiolino, pensando che ora che erano soli in mezzo al deserto, lei non sarebbe potuta più scappare da lui.

Shirley alzò gli occhi al cielo: - Te lo scordi! Io non ci penso neanche a dormire con te!

- Ok, fa' come vuoi... - le rispose lui divertito. – Io non mi muovo da qui: ho bisogno di riposare se domani devo cominciare a indagare.

Tornando serio continuò: - Ho saputo da Ali che alcuni uomini, per la maggior parte donne e bambini che sono sopravvissuti alle guerriglie, si sono rifugiati in quest'oasi sotto la sua protezione. Domani potremo chiedere a loro se sanno qualcosa.

Shirley sebbene fosse molto stanca, non aveva voglia di mettersi a dormire, soprattutto vicino a Martin, così dopo essersi un po' rinfrescata e cambiata, decise di andare a fare una passeggiata.

Era da poco tramontato il sole e sapeva che quella era l'ora in cui, dopo le preghiere del crepuscolo, gli uomini si scambiavano le ultime notizie.

Udiva ancora il suono del tehardent, una strana chitarra che accompagnava i riti di quella religione che conservava ancora antiche credenze animiste.

Si era sentita subito a suo agio fra gli abitanti di quel posto, che erano già stati informati dell'arrivo di due stranieri e quindi, non faceva caso agli sguardi curiosi di chi la incontrava.

Era ancora vestita in modo occidentale: non voleva infatti che quella gente la considerasse un po' troppo invadente e lei sapeva bene che le loro tradizioni erano molto radicate.

Aveva una camicetta bianca e una gonna grigia molto ampia e lunga che le dava la comodità di qualsiasi movimento.

Si era sciolta i capelli e se li era pettinati così come li portava quando era adolescente, come a voler cancellare il tempo che era trascorso e ritornare a quel breve periodo che aveva vissuto con Rachid.

Camminò per qualche minuto costeggiando giardini di melograni e arance, inebriandosi del loro profumo, fino a quando notò un grande recinto: da una parte vi erano dei cammelli, mentre dall'altra dei cavalli che si rincorrevano da una parte all'altra come in una danza circense.

Rimase a osservarli come ipnotizzata: lei adorava gli animali e gli stalloni berberi erano tra i più belli e i più veloci del mondo.

Si era fatto subito buio e così si voltò quasi piroettando per tornare indietro e fu allora che notò, dall'altra parte del recinto, un uomo in sella a un cavallo completamente vestito di nero che quasi al buio non lo si vedeva.

Si notavano soltanto gli occhi, mentre tutte le altre parti del suo viso erano completamente fasciate da un turbante, ma Shirley, nonostante la distanza, percepì che quegli occhi la stavano fissando.

Non aveva sentito nessun rumore alle sue spalle prima, quindi quell'uomo probabilmente la stava guardando già da parecchio tempo, ma non appena si accorse di essere osservato anche lui, scese da cavallo e voltando le spalle, iniziò a sfilare la sella dell'animale facendolo scalpitare improvvisamente, come se qualcosa l'avesse innervosito.

Lei approfittò di quel momenti per allontanarsi velocemente, credendo che quell'uomo fosse lì soltanto per lasciare il suo cavallo in quel recinto.

Quando rientrò nella sua stanza, Martin stava già dormendo o stava semplicemente facendo finta di dormire in un angolo del letto, così lei prese un paio di cuscini e una coperta e uscì.

O Martin era così sciocco da pensare che lei si sarebbe stesa sul letto accanto a lui, oppure non era poi così garbato da lasciarle il letto tutto per lei.

Durante la sua passeggiata, aveva notato una tenda disabitata alla fine dell'oasi, così pensò di andarci a dare un'occhiata. All'interno non c'era nessuno, infatti, ma fu colpita subito da un talamo centrale ricoperto da tessuti pregiati.

Non sapendo di chi fosse quel letto, sistemò i cuscini per terra e senza neanche spogliarsi, si stese in un angolo. Dopo un paio di volte che aveva lottato con i guanciali che le sfuggivano da tutte le parti, finalmente si addormentò anche lei così profondamente, che non si sarebbe svegliata neanche se fosse scoppiato il mondo intero.

Durante la notte, non si accorse infatti di due braccia forti che la sollevarono e l'adagiarono sul letto.

Si risvegliò all'alba e quando riprese completamente coscienza, realizzò che non si trovava più per terra, ma avvolta in morbide lenzuola. Guardò subito intorno a sé, ma non c'era nessuno. Di chi era quella tenda?

Si alzò e stiracchiandosi le gambe, notò che i teloni erano bordati da stoffe preziose, ma sembrava come se non ci vivesse nessuno.

Mentre si apprestava a uscire, una ragazza fece capolino nella tenda gettando un grido non appena si accorse che all'interno c'era qualcuno.

Shirley imbarazzata per essere stata scoperta, chiese subito scusa.

- Che ci fai qui? Questa è la mia tenda nuziale! – le disse quella ragazza con due occhi a mandorla contornati da ciglia lunghissime.

Shirley si sentì mortificata, come se avesse profanato un reliquiario.

Ecco perché quel letto le era sembrato troppo sfarzoso.

Per i berberi, è tradizione che sia la sposa stessa a preparare la tenda che accoglierà i futuri sposi: "annodare la tenda" significa proprio sposarsi.

Shirley cercò di scusarsi in mille modi, ma quella ragazza rimase impassibile fino a quando le rispose di non preoccuparsi.

– In ogni caso non avrei dovuto entrare qui senza il permesso - le disse Shirley.

- Ti cederei volentieri il mio posto... - le confessò improvvisamente la ragazza. – Io non voglio sposarmi: è la mia famiglia che ha scelto per me...

- Oh, mi dispiace... - tentò di confortarla Shirley appoggiandole una mano sulla spalla. - Come ti chiami?

- Tin Hinan * e tu?

- Shirley – le rispose con un sorriso luminoso: quella ragazza le era molto simpatica.

- Tin Hinan, perché non vuoi sposarti? Lui è forse vecchio? – le chiese incuriosita.

- No, tutt'altro: lui è giovane e nobile, proprio come me. Le nostre nonne lo hanno deciso da quando eravamo bambini, affinché la discendenza della nostra tribù mantenga intatto il nostro lignaggio. È solo che io sono innamorata di un altro...

Shirley non poté fare a meno di immedesimarsi in quella fanciulla che aveva il cuore spezzato come il suo.

A volte il destino era proprio crudele se impediva a due giovani innamorati di poter stare insieme...

- Ma questo ragazzo di cui sei innamorata non può far nulla? Anche lui ti ama?

- Sì, noi ci amiamo moltissimo, ma è complicato...

- Perché? – le chiese Shirley.

- Perché io devo sposarmi con suo fratello...



Dopo essersi accomiatata da Tin Hinan, Shirley tornò da Martin, ma lo trovò già in piedi, intento ad abbottonarsi in fretta una camicia con gli occhi ancora assonnati e i capelli arruffati, ma Shirley distolse lo sguardo quando notò che il suo era pieno di irritazione.

Da quando era iniziato quel viaggio Martin era cambiato: era nervoso e un po' scontroso.

- È appena passata una donna con la colazione. Cosa credi che abbia pensato vedendomi qui da solo? Dove hai dormito stanotte?

- Buongiorno anche a te, Martin! Ho dormito benissimo, e tu? – gli rispose con un finto tono allegro, guardando affamata il vassoio pieno di leccornie: miele, frutta e dolci preparati con farina di miglio e datteri.

Aveva dormito così bene che non riusciva a capire come fosse finita su quel talamo nuziale: chi l'aveva sollevata da terra?



Martin uscì lasciando Shirley da sola.

Anche se era sempre più deluso dalla sua indifferenza, non si poteva rimangiare la promessa di aiutarla nelle sue ricerche.

Pensò di iniziare a fare qualche domanda in giro.

Doveva però agire con estrema discrezione e pensò, visto che era in cerca di superstiti o di qualcuno che proveniva dalle zone più interne del Sahara, di cercare con una scusa un medico o qualcuno che si occupasse dei malati: se c'erano state delle guerriglie, dovevano pur esserci stati dei feriti.

Dopo aver chiesto informazioni, si diresse verso un mucchio di case di argilla al di fuori delle mura della cittadella. All'interno di una di queste case, riuscì a individuare un uomo che stava fasciando una mano a un ragazzino, per cui pensò di essere finito nel posto giusto.

- Hai preso una brutta scottatura. La prossima volta stai più attento: col fuoco non si scherza! – sentì dire con un tono a metà tra il rimprovero e lo scherzoso.

Entrò chiedendo permesso e, rivolgendosi all'uomo che aveva parlato, chiese se fosse un medico.

Dal suo aspetto tutto sembrava fuorché un medico infatti. Inoltre, era anche piuttosto giovane.

Quando ebbe una risposta affermativa, aspettò che finisse la fasciatura a quel ragazzo che si era ustionato, finché l'uomo gli chiese che cosa desiderasse.

- Sono Martin Sherman, sono ospite dello sceicco El Fahid. Mi scusi, ma ha qualcosa da darmi per il mal di testa? Vede, mia moglie ha dimenticato la borsa con i farmaci e...

Martin non era preparato a dire che Shirley era sua moglie, così mentre pronunciava quelle parole, lasciava chiaramente intravedere un certo impaccio.

- Sua moglie? – chiese il medico con sorpresa.

- Sì... io e mia moglie saremo qui per qualche giorno. Non ne era al corrente?

- No, io non sapevo dell'arrivo di una coppia straniera: sono arrivato ieri sera tardi...

Cambiando tono, continuò abbastanza infastidito: - Comunque non posso fare nulla per il suo mal di testa... Ho con me soltanto delle medicine per casi più gravi: qui non siamo molto vicini alla civiltà e i farmaci scarseggiano. Ah... può provare a prendere questa tisana: le calmerà il dolore – disse porgendogli bruscamente una scatola con delle erbe dentro.

- Se non sono indiscreto, posso chiederle come mai lei e sua moglie siete finiti quaggiù?

Martin fu colto un po' impreparato, ma riuscì subito a rispondere: - Soltanto per fare una vacanza. Io e mia moglie amiamo molto l'avventura, anche se confesso che all'inizio aveva un po' paura a intraprendere questo viaggio.

- Perché? – chiede il medico.

Martin era riuscito finalmente a portare quella conversazione su ciò che voleva sapere.

- Avevamo sentito delle guerriglie che ci sono state, ma lo sceicco ci ha assicurato che questo periodo è molto tranquillo. È vero?

- Sì, per ora sembra che le ribellioni siano cessate.

- Ho saputo che ci sono stati degli stermini... da far rabbrividire!

Il medico si fece serio al ricordo e con voce bassa continuò: - Sì, ci sono stati molti morti.

- Cosa ne è stato dei superstiti?

Il medico cominciò a insospettirsi di tutte quelle domande, comunque rispose: - Si sono salvati in pochi: donne, bambini e qualche uomo che è riuscito a fuggire. Alcuni di loro si sono rifugiati in questa oasi.

- Ho sentito che in questa guerra era coinvolto anche uno dei nipoti dello sceicco El Fahid. Neanche lui si è salvato?

Il medico non rispose subito, ma dopo averci pensato per qualche secondo rispose: - No, non si è salvato. Un uomo che è riuscito a fuggire ha detto di averlo visto morire sotto i suoi occhi per cercare di difenderlo.

Martin rimase visibilmente sconcertato e anche senza più domande da chiedere e questo insospettì ancora di più il medico.

Dopo un po', tendendogli la mano, disse: - Bene, vado a prendermi questa tisana, altrimenti la testa finirà per scoppiarmi. La ringrazio, dottor?

- Al Hajid... Raji Al Hajid! – gli rispose l'uomo dopo averlo guardato dall'alto in basso, ma invece di stringere la mano che Martin gli tendeva amichevolmente, si girò di spalle dicendo che aveva molto da fare.

Perplesso Martin pensò di tornare da Shirley nella loro camera, anche se non sapeva ancora se informarla di quello che aveva scoperto, ma non la trovò.

Anche lei era andata in giro per scoprire qualcosa, così Martin nel frattempo pensò di andare a ringraziare lo sceicco per la sua ospitalità.

Shirley invece, mentre curiosava tra una tenda e l'altra, cercava di ricordare qualche volto conosciuto, qualcuno insomma che poteva dirle qualcosa.

All'improvviso sentì alle sue spalle una voce stridula di una donna che a stento riusciva a capire.

Sembrava come che imprecasse e quando si voltò, quella donna era rivolta proprio a lei.

- Vai via, demone! Vai via! Non portare il male anche qui! – diceva agitando le mani come a voler formare una barriera d'aria tra lei e Shirley.

Shirley la guardò con attenzione e riconobbe il volto rugoso di quell'anziana: era certa di averla già incontrata cinque anni prima.

Fu molto dispiaciuta nel notare che la superstizione aveva infondato in quella donna la paura che fosse stata lei la causa della loro disgrazia: si ricordò della leggenda che le aveva raccontato la povera Zahîrah. Loro credevano che avrebbe sposato Rachid e che la sua fuga, secondo le loro credenze, doveva aver provocato l'ira di Allah.

- Non sono qui per fare del male. Sto cercando Rachid. Ti prego dimmi se è vivo.

La donna si teneva a distanza e, indietreggiando ancora di qualche passo, disse: - Sono tutti morti!

- Anche Rachid? – chiese Shirley disperatamente.

- Tutti morti! Tutti morti! – ripeté scappando via e continuando a imprecare.

Shirley era rimasta paralizzata e anche se voleva piangere e gridare, si accorse di non avere più lacrime.

Era come se fosse morta anche lei.

Come un automa ritornò al palazzo.


Nota dell'autrice *

Il nome Tin Hinan in lingua tuareg significa "Quella delle Tende", per cui mi sembrava il nome adatto da dare alla ragazza che Shirley incontra nella tenda dove passa la notte.

Ma in realtà Tin Hinan, secondo un'antichissima leggenda tuareg, era una principessa: alla sua figura leggendaria si sono ispirati in passato diversi scrittori, attribuendo persino la sua storia a quella della regina di Atlantide.


***

Spero che queste note che ogni tanto vi regalo sulla cultura e le tradizioni tuareg non vi molestino troppo... 😂😂😂

Sto pensando di scrivere un sequel o dei capitoli extra di "Desert Rose" con Tin Hinan come protagonista femminile. Secondo voi chi potrebbe essere invece il protagonista maschile?

Per ora è solo un'idea, per cui non ci contate troppo: voglio prima concentrarmi a finire la storia di Shirley e Rachid, però mi piacerebbe sapere cosa ne pensate.

I vostri commenti sono sempre molto preziosi per me ❤

Grazie a tutti coloro che stanno leggendo questa storia: la seconda parte è partita un po' lenta, ma spero che i prossimi capitoli non vi deludano.

Un bacione a tutti ❤

D.J.

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