XVI

Rachid mi accarezzò la fronte e il suo tocco leggero mi fece trasalire.

- Shirley? – mi chiamò sottovoce notando i miei movimenti impercettibili e il mio respiro agitato.

Cosa avrebbe pensato se si fosse reso conto che ero cosciente già da un po' e che avevo ascoltato tutto?

Avrei tanto desiderato ridestarmi in quel momento per non essere costretta a fingere di essermi appena svegliata.

Mi sentivo debole e per un attimo sperai di aver avuto solo un incubo, ma non appena provai nuovamente a sollevare una spalla, il dolore mi bloccò e mi fece percepire la realtà.

Rachid mi prese la mano e me la strinse non sospettando nulla.

- Riesci a sentirmi? – mi domandò. Se solo avesse saputo che ero riuscita a sentirlo eccome.

Perché continuava a essere così premuroso con me? Forse gli facevo solo pena.

Volevo rispondergli, ma non riuscivo a parlare. Volevo fargli un cenno con la testa, ma non riuscivo a muoverla.

Socchiusi allora le palpebre per qualche secondo e poi lo guardai di nuovo.

- Questo sarebbe un sì?

Rifeci lo stesso gesto una seconda volta. Lui sorrise mestamente e notai che dagli angoli dei suoi occhi scivolarono sulle gote due silenziose lacrime.

Stava piangendo? Lui?

Se non stavo ancora sognando, forse piangeva per quella donna che era appena andata via.

Certamente non per me.

Lo guardai a lungo negli occhi rendendomi conto di quanto fosse sempre bellissimo come me lo ricordavo.

Dal suo sguardo sembrava che non fosse cambiato niente, così mi sentii un po' meschina quando decisi che avrei mantenuto il mio segreto.

Lui doveva continuare a credere che non avessi ascoltato la conversazione con la madre di Amìnah.

Mi rimase vicino per tutto il tempo tenendomi la mano, finché mi addormentai nuovamente.

Restò con me ogni momento finché iniziai a riprendermi. Non mi permetteva né di affaticarmi né di muovermi.

Era premuroso come se mi amasse veramente, ma non disse una sola parola su ciò che ci eravamo detti l'ultima volta.

Qualche mattina dopo mi svegliai e lo trovai addormentato vicino a me come un bambino.

Era inginocchiato per terra, ma teneva la testa appoggiata sulla sua mano che stringeva la mia in una calorosa stretta.

Non era una novità per me ritrovarmelo accanto.

Sebbene stessi molto meglio e riuscissi già a fare qualche movimento, non mi lasciava mai ed era sempre pronto ad aiutarmi.

Fisicamente stavo guarendo in fretta, ma le ferite che avevo nel cuore non si sarebbero mai rimarginate.

La morte di Zahîrah mi aveva addolorato profondamente, ma tra tutte le sofferenze sia fisiche che morali, il ricordo di quella donna sconosciuta che avevo sentito parlare con Rachid era sempre presente nella mia mente per torturarmi.

Guardai Rachid mentre dormiva. Non portava il velo e così notai la sua espressione da cui era scomparsa ogni traccia di durezza.

Ripensai ai suoi teneri baci e mi si strinse il cuore al pensiero che presto avrei dovuto lasciarlo.

Gli accarezzai i capelli spettinati e lui si svegliò subito.

Avrei dovuto saperlo che un tuareg non dorme mai completamente, sempre pronto a percepire ogni più piccolo movimento e a impugnare la spada se necessario.

- Sei così bello! – mi scappò di dirgli. Non era solo il suo volto a essere bello; lo era il suo coraggio, le sue parole dette e quelle non dette; la sua rettitudine e la bontà del suo cuore...

Lui strinse di più la mia mano tra la sua forte e calda, ma non disse nulla.

Io voltai la testa dall'altra parte per nascondere i miei occhi lucidi di lacrime.

- Tutto quello che mi hai detto quella sera, prima che mi ferissero, lo hai detto veramente o è stato solamente un sogno? – gli chiesi.

Mi riferivo a quando mi aveva rivelato di amarmi.

Non rispose ed io mi girai a guardarlo per capire almeno quello che pensava.

Aveva la testa abbassata.

Cercai di trovare una risposta da sola: tutti i sentimenti che mi aveva dichiarato forse erano veri allora, ma ora non lo erano più.

- I sogni spesso diventano degli incubi ed è meglio svegliarsi prima che sia troppo tardi – mi rispose senza trovare il coraggio di guardarmi.

- Io non voglio niente da te Rachid. Quello che stai facendo adesso per me è già così tanto che non potrò mai più ripagarti. Lo so, è stato tutto un errore. Avevi ragione tu quando dicevi che una come me non è fatta per questa vita piena di sacrifici e di pericoli incessanti. Prima mi farai andar via da qui, meglio sarà per tutt'e due.

Lui mi guardò sorpreso e i suoi occhi mi confermarono che quello che avevo appena detto era l'unica soluzione rimasta.

Presto si sarebbe sbarazzato di me e avrebbe ripreso la sua vita con l'unica donna che amava veramente.

Mi aspettavo di vederlo sollevato e invece al contrario, mi parve di scrutare nei suoi occhi una traccia di tristezza.

Era rimasto a vegliarmi tutte le notti e mi aveva curato e medicato la ferita con mani esperte quasi quanto quelle di un medico. Eppure, ero convinta che non lo avesse fatto solo per me.

Mi sentivo troppo inutile per meritare così tanto, neanche dopo aver salvato Amìnah.

Forse non lo faceva per gratitudine, neanche per sacra ospitalità.

Sebbene un tuareg doveva proteggere il proprio ospite anche a costo della propria vita, io non meritavo tante attenzioni. Avrebbe potuto benissimo accudirmi qualcun altro, invece a farlo era stato proprio lui in persona. Mi era rimasto vicino ogni momento, sia quando ancora lottavo tra la vita e la morte, sia adesso che cominciavo a guarire.

C'era qualcos'altro che lo faceva agire così, ma non poteva essere amore, anche se lo volevo con tutta me stessa.



Ormai camminavo da parecchi giorni e riuscivo a fare tutti i movimenti, anche se la spalla mi faceva ancora male.

Nell'accampamento erano rimasti solo pochi uomini. La maggior parte era andata a nord in cerca di altri armenti e per barattare nuove merci.

Gli uomini che ci avevano attaccato con ferocia erano riusciti a depredare parecchie provviste.

Da quando avevo cominciato quell'avventura, avevo scoperto quanto fosse difficile e pericoloso vivere nel deserto.

Ciò che per me prima era leggenda ora era realtà.

Avevo conosciuto la vita dura che conducevano gli imoûhar (gli uomini liberi) e avevo potuto constatare con i miei occhi ciò che di vero si raccontava sugli uomini blu e ciò che invece ignoravo.

Le leggende dicevano che i tuareg erano crudeli, ma io avevo scoperto perché lo erano. Erano costretti a difendersi da coloro che volevano togliergli la loro libertà, da coloro che non capivano le loro tradizioni...

Erano costretti a difendersi da ribelli senza scrupoli che vivevano saccheggiando nelle loro terre.

Erano costretti a usare la violenza per salvare quel poco che avevano e soprattutto per salvare le loro donne, i loro bambini e i propri schiavi.

Quella volta c'erano stati parecchi morti e feriti.

Nessuno osava dire niente, ma avevo paura che la gente pensasse a una sorta di maleficio dovuto alla mia presenza.

In quel luogo non c'era più la solita atmosfera.

Niente più cori delle donne, niente più risate dei bambini che correvano nudi da una parte all'altra.

Regnava un silenzio quasi mortale e le mezze parole che gli uomini sussurravano sembravano preghiere o scongiuri per scacciare lontano gli spiriti maligni e i pensieri funesti.

Si aspettava il ritorno dei carovanieri, che anche se andavano via ogni stagione, erano attesi sempre con ansia.

Da quando mi ero ripresa quanto bastasse per essere autonoma, Rachid non veniva quasi più.

Lo vedevo pochissimo e tanto meno gli parlavo.

Nonostante cercassi di non illudermi ancora, c'era sempre una parte di me che mi faceva credere che lo facesse per non soffrire quando si sarebbe separato definitivamente da me.

Ora che Zahîrah non c'era più, mi sentivo molto sola.

Amìnah doveva essere con la madre, che da quella sera si era eclissata così come era apparsa.

Anch'io non vedevo l'ora di allontanarmi da quel posto che ora era diventato tetro e pieno di brutti ricordi ovunque posassi il mio sguardo.

Avrei voluto sapere come avevano reagito i miei nonni alla notizia del mio rapimento.

Mi ricordai dall'articolo che mi aveva fatto leggere Sahid. Chissà se mio nonno sarebbe stato disposto a qualunque cosa pur di salvarmi. Il mio rapimento doveva aver suscitato scompigli tra i membri governativi: da una parte gli americani, dall'altra i francesi e nel mezzo i nazionalisti che lottavano per l'indipendenza e il ritorno delle vecchie dinastie di sultani.

Chissà per quale ragione ero stata rapita. Il prezzo del mio riscatto sarebbe potuto essere qualsiasi cosa: protezione, aiuto o indifferenza da parte del consolato americano sui ribelli del paese.

E mio padre come aveva reagito? Che cosa stava facendo la persona più cara che avevo al mondo e che mi amava tantissimo?

Proprio quando mi aveva confessato la verità su mia madre.

Ero l'unica cosa che gli era rimasta del suo folle amore di gioventù sparito nel vento e ora non aveva più notizie di me.

Ero una creatura che era venuta al mondo senza chiederlo, ma che ero amata in modo spasmodico forse perché, ora che ero cresciuta, gli ricordavo in tutto e per tutto la sua Mylène. Sarebbe stato atroce se mio padre avesse perso nel nulla anche me.

Cos'era la vita: due donne, lo stesso identico destino, ma io dovevo ritornare e dovevo farlo al più presto.



Una mattina decisi di arrivare fino all'interno dell'oasi per poter fare un bagno.

M'incamminai sperando che non vi fosse ancora nessuno. Il sole era appena sorto e avevo scelto quell'ora proprio per non essere disturbata.

Proseguii verso la fonte dell'oasi. Lì la vegetazione era tanto rigogliosa da far invidia ai giardini del paradiso.

Bastava poco nel deserto per far spuntare fiori come per miracolo.

Quando vidi l'acqua che sgorgava dalla sorgente, avrei voluto immergermi tutta, ma preferii bagnarmi sedendomi sulla riva.

Ormai ero in via di guarigione, ma la ferita che mi ero procurata alla spalla mi doleva ancora e portavo una fasciatura insopportabile.

Mi tolsi pian piano la benda per scoprire la ferita e la pulii con dell'acqua fresca.

Nonostante tutto provai un piacevole sollievo.

Accarezzai il punto in cui il proiettile mi aveva colpito. La ferita non ancora del tutto rimarginata faceva presagire che mi avrebbe lasciato una brutta cicatrice.

Sarei rimasta segnata per sempre da quella terribile avventura.

Fui percorsa da un brivido: molte volte Rachid mi aveva toccato quella ferita per disinfettarmela.

Era merito suo se mi ero salvata: mi aveva curata con le sue mani forti e coraggiose e nello stesso tempo dolci e rassicuranti.

Per scacciar via i ricordi, compresi quelli belli che quella sorgente pura mi ricordavano, mi apprestai a ritornare indietro verso gli alloggiamenti, prima che gli abitanti si risvegliassero.

Mi concentrai ad ammirare il paesaggio circostante.

Mi piaceva quell'ora del giorno in cui tutte le cose si tingevano di un'aureola di luce solare e in cui il silenzio del deserto si faceva sentire più forte.

Sì, certo, mi sembrava quasi di sentirla la voce del deserto.

La sentivo mentre il vento caldo mi spettinava i capelli e sollevava dolcemente la sabbia finissima e leggerissima, facendola scivolare lentamente, così... come se un soffio leggero sfiorasse una piuma.

Era una voce che cullava le sensazioni e che risvegliava i sentimenti. Chiunque fosse riuscito a sentirla nel cuore, sarebbe stato catturato per sempre, mille volte di più della voce delle conchiglie o della risacca del mare che s'infrange sulla spiaggia.

Mi piaceva anche camminare a piedi nudi sulla sabbia fin quando avrebbe trattenuto la frescura della notte. Tra qualche ora sarebbe diventata rovente.

Ero immersa tra queste percezioni sensoriali, che non riuscii a percepire quelle più vicine.

All'improvviso, infatti, avvertii la presa di qualcuno.

Mi voltai di scatto spaventata, ma riconobbi subito l'alta figura di Rachid.

Erano giorni che cercava di evitarmi, ma questa volta sembrava che fosse venuto a cercarmi.

Lo guardai sorpresa senza dire neanche una parola.

- Sei pallida. Come ti senti? Non ti sei ancora ripresa? – mi chiese lui.

- Sto benissimo – risposi. – La ferita non mi fa molto male.

Gli sorrisi nel tentativo di sembrare più convincente.

- Vedo che hai ripreso l'abitudine di andartene in giro da sola – mi schernì, ma dopo qualche secondo ritornò serio.

- Allora sarai sicuramente in grado di affrontare un viaggio. Domani...

Si fermò quando vide il mio sorriso svanire dalla mia bocca.

- Domani – continuò, – ti riporterò a Ouarzazate, dove c'è un centro militare. Non posso portarti oltre perché andremo a cavallo. Viaggeremo meglio e più in fretta. Non appena potrai metterti in contatto con i tuoi parenti, penso che potrai proseguire con un mezzo migliore... una jeep per esempio. Io purtroppo non posso offrirti di più...

- Hai già fatto tanto per me ed io non smetterò mai di esserti grata.

Lo guardai, avrei voluto dirgli altre parole, ma non riuscivo a trovarne per esprimergli tutto quello che sentivo.

"Domani"... ancora un altro giorno e poi avrei dovuto dirgli addio per sempre.

Lui tentò di allontanarsi, ma poi si voltò di nuovo a guardarmi un'altra volta.

Tutto il mio amore soffocato si risvegliò e lo guardai quasi implorandogli di non lasciarmi andare via.

- Ti prego – disse con lo sguardo fisso sul mio. – Se mi guardi così non riesco a resistere...

- Cosa? – dissi io confusa.

Successe tutto in pochi secondi. Non so come, mi ritrovai tra le sue braccia.

Rachid mi aveva attirata a sé per un ultimo disperato abbraccio.

L'ultimo, sarebbe stato l'ultimo ed io lo sapevo con certezza.

Mi accarezzò il viso teneramente e poi mi si avvicinò strisciando il suo naso contro il mio, da una guancia all'altra.

Aveva fatto quel gesto un'altra volta, un attimo prima di quel tremendo attacco di quella sera, ma questa volta lo fece con lentezza, come a voler immortalare quel momento.

Era un gesto che se fatto con passione era dolce e piacevole quanto un bacio, forse di più e Rachid lo fece con quell'amore che dall'incidente forse fingeva di non provare più.

Lo strinsi più forte che potevo per prolungare quell'ultimo istante trascorso tra le sue braccia.

Cercai di imprimere nella mia mente la forza e il calore che sentivo sprigionarsi dal suo corpo e il suo odore di sole, di vento, di sabbia, il sapore dell'aria del deserto che tutto il suo essere emanava.

Nessuno avrebbe mai potuto capire i pensieri di quell'uomo.

Di fronte a tutti sembrava un essere incapace di provare sentimenti deboli e invece con me, era bastato che mi guardasse negli occhi, per abbandonarsi alle emozioni del suo cuore.

Un cuore che batteva forte come il mio... ma che dolce illusione era questa: sapevo con certezza e dovevo impormi di accettare che lui aspettava che me ne andassi per riavere tra le braccia un'altra donna e sua figlia.

Non mi amava, di certo non mi amava come lo amavo io.

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