VIII

Il mattino seguente ci rimettemmo tutti in viaggio e più andavamo verso sud, più il paesaggio prendeva maggiormente un aspetto desertico.

Davanti a tutti procedeva con sicurezza il bianco dromedario di Rachid che fece strada fino a un fortino militare, dove le carovane si accampavano per fare rifornimenti d'acqua.

Ci fermammo per mezzora e per tutto il tempo lottai con me stessa indecisa se attirare l'attenzione di qualche gendarme per farmi riportare nella città più vicina.

Al momento di partire rimasi indietro ed ero quasi sul punto di rimanere al forte, quando vidi venirmi incontro il mehàri di Rachid. Sembrava come se fosse lì per chiedermi di andare con lui ed io senza pensarci due volte, invece di dirgli addio, gli corsi incontro.

Rachid fece inginocchiare il suo mehàri e mi tese la sua mano. Non potevo vedere il suo volto, ma sono pronta a giurare che in quel momento stesse sorridendo.

Salii dietro di lui e proseguimmo il viaggio in silenzio.

La temperatura era ormai quella infuocata del deserto e quel viaggio, sebbene di poche ore, fu il più lungo ed estenuante di tutti.

Giungemmo a destinazione che era ancora giorno, ma ben presto il sole sarebbe calato.

Quando arrivammo al villaggio di Rachid nei pressi di una grande oasi, la sua gente lo accolse con grande gioia. Da quello che riuscii a capire, erano cinque settimane che mancava.

Un paio di volte all'anno Rachid e alcuni uomini compivano quel viaggio verso i mercati dei paesi del nord, dove potevano vendere le loro merci o i loro animali e comprare tutte le provviste necessarie per il resto dell'anno.

Ogni volta che tornavano era una grande festa. La gente si accalcò tutta intorno a noi gridando e acclamando.

Le donne trillavano e i tamburi cadenzavano il ritmo di quegli strani suoni che emettevano con la bocca.

Rachid scese e si fece strada intorno a loro salutando tutti.

Ero quasi contenta anch'io di quell'accoglienza, fin quando vidi Rachid andare incontro ad una giovane donna con in braccio una bambina di neanche un paio d'anni.

Rimasi pietrificata.

Che cosa poteva importarmi se quell'uomo correva ad abbracciare sua moglie e sua figlia?

Dopo tutto c'era d'aspettarselo che avesse anche lui una famiglia che lo aspettava.

Continuavo a ripetermi che non erano affari miei, allora perché mi sentivo così male?

Credetti di morire quando vidi Rachid prendere tra le braccia quella piccola creatura e baciarla con affetto.

Era il primo gesto di tenerezza che vedevo compiere da quell'uomo che a prima vista mi era sembrato freddo e temerario. Era il gesto più bello che avessi mai visto in vita mia: mi fece ricordare di mio padre che, quando tornava a casa dopo una missione militare, correva ad abbracciarmi.

Era qualcosa di meraviglioso, ma nello stesso tempo per me era penoso come il più forte dei dolori.

Cercai Zahîrah per distogliere la vista da quella scena, ma non ebbi il coraggio di chiederle conferma se quella bambina fosse davvero la figlia di Rachid.

Lei non ne fece parola e così rimasi anch'io in silenzio per tutta la sera cercando di nascondere i miei dubbi.

Il sole era ormai calato da un pezzo, ma fuori potevano ancora sentirsi le urla e le grida della gente che festeggiava.

Canti, musiche e spari echeggiavano nell'aria, mentre io cercavo disperatamente di addormentarmi, ma prendere sonno era del tutto impossibile quella sera.

Ero molto stanca per il viaggio, ma non riuscivo a dormire. I tamburi mi rullavano nella testa mentre pensavo e ripensavo ancora a Rachid.

Era un uomo così carico di mistero e dal comportamento pieno di contraddizioni. Un attimo prima sembrava duro e invincibile, un attimo dopo appariva vulnerabile.

Tutto questo solo per due occhi neri e profondi come il cielo di notte. Due occhi che sembravano scrutarmi fino in fondo all'anima e che nascondevano chissà quali indecifrabili pensieri.

In quel momento desideravo tanto conoscere il suo volto. Chissà com'erano le sue labbra, le sue guance, il suo naso.

Ormai rassegnata di non riuscire ad addormentarmi, indossai uno dei vestiti che mi aveva donato Rachid: erano rimasti solo abiti tradizionali berberi, ma non avevo altra scelta.

Uscii e presi a camminare tra la gente, non curandomi dei loro sguardi.

C'era chi ballava al suono di una musica bizzarra: una mistura di note andaluse e di note orientali. E poi c'era chi suonava degli strumenti musicali a me completamente sconosciuti.

Mi sembrava di assistere ad uno spettacolo folcloristico, invece era tutto spontaneo e naturale.

Le donne facevano baldoria intorno ai fuochi con spensierata allegria, battendo le mani a tempo di musica per festeggiare il ritorno dei loro uomini.

Alcuni sedevano intorno a degli anziani che raccontavano le loro storie ai più giovani: narravano le loro imprese di quando erano ancora nel vigore delle loro forze o storie che a loro volta avevano sentito raccontare tante volte dai loro padri e che si tramandavano di padre in figlio da chissà quanti secoli.

Nonostante fossi molto attratta da quella gente dalle abitudini umili e semplici, la loro spontanea vitalità mi faceva sentire un'estranea.

In quei tre giorni, quella gente mi aveva ospitato generosamente ed io non potetti fare a meno di paragonare la loro fervida e vivace ospitalità con quella fredda e distaccata dei miei nonni.

Il calore di quella gente era qualcosa che mi faceva sentire in un certo senso legata alle loro tradizioni, con la familiarità che mi era mancata dai nonni paterni.

Nonostante tutto c'era ancora qualcosa che mi faceva sentire distaccata.

Mentre camminavo, intravidi tra la gente Zahîrah e mi diressi verso di lei, visto che era l'unica con cui potessi parlare.

Quando mi avvicinai però, notai che era del tutto presa a conversare più che amichevolmente con un ragazzo intento a dipingerle le mani con strani simboli con chissà quali significati.

Mentre li guardavo da lontano, mi sentii afferrare da qualcuno che mi spingeva per coinvolgermi nel mezzo di una danza, ma io fuggii intimidita verso qualche angolo meno affollato.

Vidi un gruppetto di uomini che chiacchierava intorno ad un falò e mi avvicinai forse con la speranza di trovare Rachid.

Tra tutti quegli uomini dal volto coperto però, mi resi conto che era quasi impossibile riconoscerlo e non volevo fissarli al punto da sembrare inopportuna.

Non riuscivo neanche a spiegarmi perché desiderassi tanto incontrarlo in quel momento, dato che ogni volta che lo vedevo, desideravo fuggire più lontano possibile.

E poi sicuramente aveva qualcos'altro da fare, piuttosto che perdere tempo con una ragazzina americana.

Il gruppo di uomini si accorse della mia presenza e uno di loro disse qualcosa che suscitò l'ilarità di tutti. A giudicare dalle risate e dai gesti che accompagnarono quella frase, pensai che dovesse essere una di quelle battute che si dicono solo tra uomini. Forse ridevano del mio vestito in cui mi sentivo davvero ridicola.

Nonostante non capissi nulla delle loro parole, mi sentii in imbarazzo e così mi allontani piena di sdegno e vergogna.

Mi ritrovai al limite del villaggio e finalmente ebbi un attimo di sollievo per aver trovato un posto solitario lontano da quella baraonda.

Ne ebbi però solo per pochi secondi, in quanto nel silenzio della notte, udii le risa complici di una coppia che cercava un po' di solitudine come me.

Dall'imbarazzo corsi via tra le dune del deserto, correndo a piedi nudi sulla sabbia e mi fermai solo dopo aver inciampato nel mio vestito.

Caddi senza neanche farmi male e rimasi stesa sulla sabbia a riprendere fiato.

Quando riaprii gli occhi, mi ritrovai sotto un tetto di stelle così fulgide e splendenti da sembrare così vicine da poter essere sfiorate con una mano. Rimasi a guardarle completamente persa nel loro bagliore, che non mi accorsi di essere stata seguita.

Trasalii quando fui tirata su con uno strattone, ma rimasi senza parole quando mi accorsi che a sollevarmi con forza erano state le braccia di Rachid.

- Come ti è venuto in mente di allontanarti così? – mi aggredì con gli occhi che sembravano voler lanciare fiamme.

Il suo atteggiamento mi spaventò: era il tono aspro e secco che gli avevo sentito usare alcune volte quando dava degli ordini ai suoi uomini ed era molto diverso da quello che aveva usato quel pomeriggio con la bambina che aveva preso tra le sue braccia.

Era diverso quell'uomo da colui che avevo immaginato potesse nascondersi sotto quell'apparenza gelida e spietata e pensai che forse mi fossi sbagliata quando la sera prima avevo visto nei suoi occhi un attimo di debolezza e di sensibilità.

Sentii per la prima volta di avere veramente paura di lui e dalle mie labbra non uscì un solo suono.

Lui allora mi prese e mi fece girare intorno.

- Guarda! – mi disse mostrandomi da ogni parte l'orizzonte. – Saresti riuscita a tornare indietro da sola dopo la tua folle corsa? – continuò con impietosa violenza.

Mi guardai intorno e mi resi conto che mi ero allontanata molto e che da dove ci trovavamo, non si vedevano più le luci del villaggio.

Ovunque mi giravo, vedevo solo dune infinite del deserto.

Il vento che spirava ininterrottamente aveva già cancellato le mie impronte sulla sabbia e difficilmente avrei saputo ritrovare la direzione giusta per tornare indietro.

Intorno a noi era completo silenzio... il silenzio assordante del deserto e il buio della notte che era appena rischiarato dal tenue chiarore della luna appena sorta. Era un'atmosfera da brividi, che aveva un non so che di magico, anzi di stregato.

Guardai Rachid smarrita, perché non avevo capito che aveva reagito in quel modo nei miei confronti solo per paura che potessi perdermi nel deserto.

- Io... - pronunciai con un filo di voce - mi sentivo sola e...

Non riuscii a finire la frase che, per paura di scoppiare a piangere da un momento all'altro, abbassai la testa per nascondere il mio volto.

Rachid però mi prese il viso tra le mani e mi costrinse a guardarlo negli occhi.

All'inizio cercai di oppormi, ma poi mi accorsi che la violenza che c'era prima nei suoi occhi era del tutto scomparsa, lasciando il posto ad uno sguardo compassionevole e rammaricato per le parole dette in quel momento d'ira, ma forse anche impaurito per il pericolo che avevo corso.

- Ti prego... - disse Rachid con una voce del tutto diversa da quella di pochi istanti prima.

- Scusami per quello che ho detto.

Parlò sinceramente e con una voce carezzevole che non gli avevo mai sentito usare con nessuno.

Quelle parole dette da lui avevano però un suono strano, come se fosse la prima volta che chiedesse scusa a qualcuno e probabilmente era proprio così.

Vide che non rispondevo e continuò: - Ti devo una spiegazione... Ma prima sediamoci qui...

Stese il suo mantello sulla sabbia e mi fece sedere.

Io non dissi nulla e feci come mi aveva detto.

Ogni suo gesto, ogni suo movimento e ogni suo sguardo era risoluto e tenace.

Rachid era una persona determinata che sapeva ottenere ciò che voleva da chiunque senza il minimo sforzo ed infatti io in quel momento ero incapace di sottrarmi ad ogni suo volere.

- Avevi detto che non avevi paura di me, ma stai tremando...

Mentre parlava aveva già radunato un mucchio di sterpi di tamerici, così senza pensarci risposi: - Ho solo freddo!

In poco tempo un piccolo fuoco divampò diffondendo nell'aria calore e creando un gioco di luci e ombre nella notte buia in cui solo le stelle brillavano.

I nostri volti, prima nascosti dalle tenebre, furono illuminati improvvisamente dal chiarore sfolgorante del fuoco che scoppiettava e non potei fare a meno di notare gli occhi grandi e neri di Rachid.

Erano degli occhi magnifici in cui rischiavo di perdermi ogni volta che li guardavo e dai quali era difficile distogliere lo sguardo una volta catturato.

- Sono straordinari! – disse Rachid continuando a fissarmi.

- Cosa? – risposi guardandolo senza capire.

- I tuoi occhi. Cambiano continuamente colore: un attimo fa erano grigi, ora sono due gemme di corindone simili all'acqua limpida che sgorga dalle sorgenti.

Non so ripetere come reagii a quelle parole, ma sono sicurissima che sotto il suo velo Rachid rise del mio rossore.

Non riuscivo a credere che quell'uomo seduto accanto a me fosse lo stesso che poco prima mi aveva rivolto la parola in modo del tutto diverso.

Avrei voluto dirglielo, ma non avevo il coraggio di parlare, ancora incredula per aver avuto i suoi medesimi pensieri sui suoi occhi.

Distolsi lo sguardo e finsi di guardare l'immensità che ci circondava. Ero sola nella notte deserta con quell'uomo così difficile da comprendere, eppure non avevo più paura ora che mi era accanto.

Ancora una volta mi ero comportata in modo immaturo mettendo a rischio la mia vita: aveva tutte le ragioni per essersi infuriato nei miei confronti. Al tempo stesso mi chiesi perché tenesse così tanto a me.

Oltre a salvarmi la vita, continuava a proteggermi nonostante non fosse tenuto a farlo.

Mentre rimuginavo persa nei miei pensieri, lui richiamò la mia attenzione con le sue parole.

- Hai indossato uno dei vestiti berberi che ho preso per te – disse facendo un gesto con la mano verso di me. - Temevo non ti fossero piaciuti...

- No, al contrario – dissi temendo di averlo offeso. - Ti ringrazio. Sono davvero bellissimi... È solo che non mi sento molto a mio agio e non credo che mi stiano bene.

- Ti donano molto invece e questa sera lo hanno notato tutti: è per questo che la mia gente ti ha infastidita. Lo so perché ero tra quegli uomini che non facevano altro che fare apprezzamenti su di te intorno al fuoco. Spero che tu non abbia mal interpretato le loro parole – mi disse con tono serio, ma con gli occhi che probabilmente ancora ridevano per le battute dei suoi uomini.

- Non so che cosa stessero dicendo, ma ho capito il senso della loro frase – dissi.

- Non credo che tu abbia capito – aggiunse, - altrimenti non saresti così offesa per simili complimenti.

- Non tutti i complimenti possono piacere ad una donna – dissi un po' risentita.

- Per una donna come te, erano di certo dei complimenti piacevoli – disse alzando un po' il tono della voce che fino a quel momento era stato basso e gentile.

- Io ero tra loro e di certo non avrei permesso una sola offesa contro di te – disse tirando fuori con un gesto sicuro e veloce la sua spada e infilzandola con rabbia nella sabbia.

- Questo i miei uomini lo sanno!

Ancora una volta quell'uomo era cambiato in pochi istanti ed io ancora non sapevo se avere paura di lui o se al contrario avere fiducia.

Nell'aria vibrò il suono agghiacciante della lama d'acciaio e in quell'istante non potei fare a meno di chiudere gli occhi per lo spavento.

Quando li riaprii, il volto di Rachid era vicinissimo al mio. Mi avvolse con il suo sguardo e attirandomi verso di sé, disse con voce quasi rauca: - Non hai niente da temere da quando sei sotto la mia protezione. Ti giuro che chiunque oserà mancarti di rispetto, pagherà con la sua stessa vita.

Quindi era questo l'unico motivo per cui mi proteggeva? Per senso di onore e ospitalità?

Cos'altro mi aspettavo da lui?

Attese qualche secondo guardandomi con i suoi occhi di ghiaccio, poi riprese: - Un uomo del deserto sa riconoscere il tipo di donna che ha davanti a sé con un solo sguardo e posso giurarti che ogni uomo d'onore leggerebbe nei tuoi occhi solo purezza e innocenza. Non sarebbero tanto belli i tuoi occhi chiari se non rispecchiassero quello che hai dentro. Non si parla d'altro che di questo davanti ai fuochi. Un tuareg sa rispettare queste qualità più di ogni altro uomo al mondo.

Mentre parlava la sua voce era tornata dolce e la sua furia era già andata via allo stesso modo di come era venuta.

A quelle parole capii che si stava riferendo ai commenti fatti su di me: a quanto pareva, avevo colpito positivamente molti uomini, ma quello che mi faceva più piacere era sapere che avevo colpito lui.

O almeno così speravo. Desideravo con tutta me stessa che ricambiasse quello che cominciavo a provare per lui. Ma che cosa provavo?

La sua vicinanza fece notevolmente aumentare i battiti del mio cuore. Ogni palpito era così forte che rimbombava nel silenzio che ci circondava, facendomi stordire. Invano cercavo di calmarlo, ma più ci provavo, più il suo rimbombare nel mio petto cresceva.

Dalla paura che Rachid potesse sentirlo, mi allontanai da lui.

Scese tra noi un pesante silenzio.

Non avevo più il coraggio di guardarlo dopo quello che avevo scoperto nel mio cuore.

Puntai il mio sguardo verso lo sconfinato orizzonte stellato: era notte fonda ed era la prima notte che passavo accanto ad un uomo quasi del tutto sconosciuto.

Poi d'un tratto il silenzio cessò.

All'inizio non riuscivo a capire che cosa stesse succedendo, tanto ero confusa per quei nuovi stati d'animo che avevano invaso il mio cuore.

La dolce melodia che avevo sentito la sera prima aveva rotto il silenzio insopportabile di quella sera.

Rachid aveva preso a suonare il suo zufolo di legno e questa volta lo faceva per me, soltanto per me.

Mi voltai piano verso di lui, perché sapevo che finalmente avrei visto il suo volto e quasi avevo paura di guardarlo.

Difatti Rachid aveva tirato giù quella parte del tagelmoust che gli copriva la parte inferiore del viso.

Aveva gli occhi chiusi mentre suonava e l'espressione profondamente assorta nella sua musica.

Finalmente potevo vedere il suo volto che tante volte avevo immaginato, ma la sua bellezza superava cento volte la mia immaginazione. Era bello... era davvero bello.

Per tutto il tempo che rimasi a guardarlo, continuò a suonare e a tenere gli occhi chiusi, così potetti ammirarlo senza vergognarmi.

La pelle ambrata del suo viso era illuminata a tratti dalla luce viva delle fiamme del fuoco. I suoi lineamenti e i suoi zigomi erano marcati, ma, ciò nonostante, il suo viso era così giovanile da non apparire aggressivo.

Non dimostrava più di trent'anni, ma con tutta probabilità non ne aveva più di ventisei/ventisette. La vita impervia del deserto sicuramente gli conferiva un'aria più matura.

Le sue labbra erano leggermente tese mentre soffiavano delicatamente nell'imboccatura del flauto e sembravano quasi che sorridessero.

Avrei voluto che quel momento non passasse mai.

Le note che uscivano dallo strumento sembravano voler portare un messaggio nella mia anima: "Guardami – mi dicevano – restami vicino e insieme voleremo lontano."

Quando alla fine riaprì gli occhi e cercò il mio sguardo, io arrossii nuovamente.

Lui sorrise e ricoprendosi il volto, si alzò.

- Si è fatto tardi – disse. – Torniamo al villaggio.

Mentre mi tendeva una mano per aiutarmi a rimettermi in piedi, mi sembrò di risvegliarmi da un bellissimo sogno.

Quando le sue dita delicate sfiorarono nuovamente le mie, capii la realtà dei miei sentimenti di cui non avevo più dubbi.

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