III
Durante i primi giorni che avevo trascorso a Rabat, avevo già visitato la quasi millenaria tour Hassan, il palazzo reale e l'imponente Kasbah, l'antico covo di pirati, con le sue pareti maestose dal colore ocra come il deserto arso dal sole.
Quando iniziai a viaggiare e ad ammirare tutte le indescrivibili bellezze del Marocco, mi resi conto che mi trovavo in un paese da un passato dai mille colori e dalla storia ricca di un susseguirsi di popoli trascorsi, che lo avevano portato a una mistura di culture e tradizioni tanto diverse tra loro, ma che insieme gli davano un'immagine prestigiosa e irresistibile. Il suo territorio, posto tra l'Atlantico e il Mediterraneo, segnava con le sue colonne d'Ercole i confini del mondo allora conosciuto. Esso ha sempre costituito per i diversi popoli conquistatori, una porta che si affacciava nel continente più misterioso del mondo e, nel corso dei millenni, ha visto avvicendarsi Fenici, Romani, Berberi, Arabi e così via fino agli odierni francesi. Non so perché avevo sempre creduto che l'Africa non avesse storia e invece mi dovetti ricredere in quei giorni in cui visitai le antiche città imperiali con le loro autentiche vestigia: le mura inespugnabili che circondavano gli antichi sultanati, con i loro vicoletti chiassosi, le moschee e le medine. Furono dei giorni bellissimi, in cui non mi stancavo mai di ammirare gli scenari che come tele dipinte dal fascino irresistibile, mi si pararono davanti agli occhi che brillavano ormai di felicità e di gioia.
Zia Emily era una compagna fantastica e Ahmed fu felicissimo di mostrarci tutti i tesori del suo paese, finché stanchi, ma pur sempre pieni di vita, ci fermammo nella singolare e impareggiabile Marrakech, dove i miei zii vivevano da quando si erano sposati.
Marrakech era la città del sud più incantevole tra tutte quelle che avevo visitato. Una "perla rara" che emanava dal suo interno un seducente mistero, forse dovuto al profumo di gelsomino che avvolgeva i suoi giardini leggendari o forse dovuto al suo cielo così pieno di stelle pulsanti e così vicine da sembrare che da un momento all'altro sarebbero cadute come petali di fiori bianchi sui verdi palmeti e sugli splendidi minareti.
Ero davvero entusiasta di tutto ciò che avevo osservato con gli occhi e la mente carichi di meraviglia, ma in fondo al cuore sentivo qualcosa di strano e di indecifrabile che mi torturava dolcemente. Non ero ancora sazia, in un certo senso, di quel paese fiabesco e sentivo che non avevo ancora scoperto la sua anima nascosta e così difficile da scovare con gli occhi di un occidentale.
Avevo trascorso tutto come se fossi spettatrice di un film e ciò che era la religione, la cultura, le tradizioni e i costumi di questo popolo, era a me del tutto misterioso e irraggiungibile. Avevo trascorso la mia vacanza tra alberghi, musei, monumenti, circondata da turisti stranieri, gente comune che potevo trovare tutti i giorni anche nell'affollatissima New York, bramosi e numerosissimi come formiche. Io però ero sempre più affascinata dal popolo arabo-berbero, altrettanto numeroso per le strade e le viuzze dei caratteristici mercatini variopinti, ma tanto diverso e insolito dal nostro.
Trascorsi un po' di tempo in questa città, ospite dei miei parenti e una mattina, affacciandomi a una finestra, fui attratta dal viavai di gente multicolore che percorreva la piccola piazza che dava sulla moschea. Un bisogno sfrenato di evadere mi invase e anche se lo zio Ahmed mi aveva proibito di uscire di casa da sola, in un batter d'occhio, mi ritrovai nel centro della piazzetta affollata. Ero di fronte alla moschea, quando dall'alto del suo minareto, sentii la voce del muezzin echeggiare nell'aria tersa e afosa del mezzogiorno. Sollevai lo sguardo per ammirare l'altissima torre da cui proveniva l'adhan, il richiamo dei fedeli alla preghiera rituale, e rimasi per un attimo abbagliata dai raggi del sole. Chiusi gli occhi istintivamente, ma fu una sensazione bellissima: provai una scossa irrefrenabile nel petto e un trasporto tale verso quella voce, che avrei voluto non andarmene più da quel luogo incantatore. Ci volle un lungo istante affinché mi riprendessi e quando riuscii a riaprire gli occhi, feci un profondo respiro, annusai l'aria a pieni polmoni e finalmente ritornai alla realtà. L'effetto ipnotico di quella voce era svanito, così smisi di pensare ai riti islamici che venivano ripetuti ben cinque volte al giorno, anche se il trasporto che provavo per quella gente a me sconosciuta aumentava sempre più. Rimasi incantata ancora un po' dinanzi a quel monumento e quando mi voltai, percorsi con lo sguardo un lungo giro intorno alla piazza ormai completamente vuota e silenziosa. Stavo per ritornare in casa, quando decisi di avventurarmi in una stradina, intenta a scoprire dove portasse. Camminai per un bel po' fin quando vidi le strade di nuovo affollarsi. Attraversai un viale e arrivata in fondo a una strada, mi ritrovai in una ressa di gente: capii di essere finita in un souk, il mercato attorno al quale si animava la vita araba. Attratta dai colori e dal brulichio della folla, mi lasciai trascinare tra le bancarelle dei venditori, tra le stoffe e i tappeti variopinti e suppellettili di ogni genere. Tutto era irresistibile e anche se all'inizio mi sentivo un po' fuori luogo, non ci volle molto per dimenticarmi chi fossi e da dove venivo.
Mi immersi in quell'atmosfera dai suoni e dai profumi carismatici e inebrianti e fui quasi rapita, come una bambina che vede per la prima volta uno spettacolo di marionette. Intorno a me, avevo infatti un grande palcoscenico. Ovunque mi voltavo, mi trovavo di fronte a spettacoli di tutte le specie: mangiatori di fuoco, incantatori di serpenti, acrobati... Era un mondo fantastico ed io mi sentivo proprio la protagonista di una fiaba che i cantastorie raccontavano a ogni angolo. Non me ne accorsi neanche e, in tutto quel girovagare di meraviglia in meraviglia, arrivò subito il primo pomeriggio.
Fui fermata da un venditore d'acqua con il suo gran cappello rosso che mi fece bere in uno dei suoi innumerevoli contenitori appesi al collo.
Poi mi ritrovai in una bottega che vendeva cesellame d'argento e di terracotta e, incuriosita cominciai a guardare gli oggetti dalle forme più svariate: teiere, chicchere, ampolle, calici, caraffe, anfore e così via.
Mi avvicinai ad ammirare una brocca particolarmente smerigliata e lucida e subito mi si parò davanti un corpulento mercante con l'intenzione di rifilarmi a tutti i costi qualcosa. Iniziò una piccola trattativa, ma io mi rifiutai di acquistare qualsiasi cosa e cercai di allontanarmi un po' spaventata e intimorita dall'insistenza di quell'uomo. Nella fretta urtai inavvertitamente contro una lampada che pendeva dal basso soffitto della bottega e così facendo, mi scivolò dal capo l'enorme foulard che avevo messo sul capo per ripararmi dal sole e soprattutto per non attirare molta attenzione con i miei abiti occidentali. I miei capelli, che avevo abilmente nascosto sotto il copricapo, ricaddero in tutta la loro lunghezza sulle mie spalle. Sentii qualche verso d'esclamazione e arrossendo violentemente, raccolsi in tutta fretta il mio foulard da terra e cercai di rimettermelo. I miei capelli, devo ammettere, avevano sempre un po' attratto l'attenzione di tutti per il loro colore rosso ramato, ma per la prima volta mi sentii in un forte imbarazzo.
In quel posto in cui la maggior parte delle donne erano velate, sentii quasi che gli occhi di coloro che mi scrutavano volessero spogliarmi e pensai che avessi già trascorso fin troppo tempo in quel luogo.
Incominciai a sentirmi stanca e a desiderare di ritornare al più presto a casa, così mi ricoprii il volto sotto lo sguardo di un bel po' di uomini e mi avviai per uscire. Non ebbi neanche il tempo di fare un paio di passi, che mi sentii afferrare per un braccio. Mi voltai di colpo e mi ritrovai di fronte un uomo riprovevole con la pelle scura e folti baffi. Rimasi immobile e paralizzata davanti a quell'uomo dalla presa forte. Senza darmi neanche il tempo di riprendermi, mi strappò il mio copricapo di seta e mi sollevò il viso verso di lui con la mano libera. Dopo che mi ebbe guardato bene mi chiese: - Sei americana?
- Io non... - balbettai senza capire quello che succedeva.
Lui, senza attendere la mia risposta, fece un cenno affermativo con la testa, poi sogghignando aggiunse: - Vieni con me! - e mi tirò verso il retro della bottega.
In un lampo capii le intenzioni di quell'uomo e allora urlai sulle risa degli altri uomini che erano rimasti a guardare.
Uno di loro però, che era rimasto in disparte, si fece avanti e parlò con l'individuo che mi teneva ancora stretta, ma non capii nulla di quello che disse perché aveva parlato in lingua locale.
Aveva la barba, ma notai subito che era molto giovane.
Poi si rivolse a me dicendo: - Lascerei a lei la scelta, bellissima straniera, ma dubito che quest'uomo voglia cedervi senza nulla in cambio.
Poi, rivolgendosi all'uomo con i baffi, continuò: - Cosa volete per questa donna?
Io capii subito di essere al centro di una contesa, ma rimasi ferma e sempre più atterrita a guardare come sarebbe finita.
I due si guardarono minacciosamente, ma il più vecchio lanciandomi una rapida occhiata esaminatrice esclamò: - 100.000 dihram!
Io sussultai dalla sorpresa: la cifra che aveva chiesto era altissima ed io non credevo proprio di valere tanto.
- 20.000! – ribatté il giovane con barba senza battere ciglio.
- 80.000, ma è poco per una pelle così liscia e bianca!
- Ha delle efelidi sul naso: 40.000 è sufficiente – rispose l'altro.
Se non fosse stato per lo spavento, avrei immediatamente interrotto quella sciocca trattativa.
Efelidi sul naso? Ma se non ne avevo neanche una: ne avevo avuto sì qualcuna quando ero bambina, ma col tempo erano scomparse.
- 75.000! Non vedi i suoi capelli e il colore dei suoi occhi?
Così dicendo aveva allungato la mano verso la cinta dei pantaloni come a voler mostrare un'arma.
Il giovane mi guardò ignorando decisamente il gesto provocatorio dell'altro e mentre contemplava il mio viso in fiamme e i miei occhi spalancati dal terrore, disse: - Non so... mi sembra troppo magra per i miei gusti. Permette?
Mi attirò verso di sé e mi fece girare su me stessa intento a guardarmi meglio, allontanandomi dall'altro.
- 50.000 è la mia ultima offerta! -, poi di colpo mi spinse verso l'uscita del negozio e con una gamba rovesciò un banco pieno di merce verso l'uomo con i baffi.
Nella confusione nessuno ebbe il tempo di capire che cosa stesse succedendo ed io, non so come, mi ritrovai finalmente per strada, trascinata via correndo da quel posto.
Non sapevo se ringraziare Dio per essere finalmente in salvo da quell'uomo o se implorargli pietà per essere capitata nelle grinfie di un altro.
Arrivati dove la gente era meno affollata, il giovane si fermò a guardare se fossimo inseguiti e poi imboccò una stradina secondaria e deserta. Finalmente mi lasciò il braccio che aveva stretto per tutto il percorso in cui mi aveva trascinata di forza. Poi mi guardò e mi rivolse un saluto orientale appoggiando la mano sul cuore e inchinandosi lievemente.
Fu allora che mi accorsi che, nonostante la barba che gli dava un'aria matura, non doveva avere più di ventidue anni. Aveva la pelle non molto scura e dei bellissimi occhi neri.
Non riuscivo a capire per quale motivo mi avesse tirato fuori da quel pasticcio, ma notai subito che nei suoi lineamenti c'era qualcosa di occidentale, nonostante il suo abbigliamento fosse tipicamente locale.
Quando lo sentii parlare nella mia lingua, mi accorsi che aveva un leggerissimo accento francese e pensai che fosse probabilmente straniero, anche se senza dubbio mi sbagliavo.
- Pensavo che tutte le rosse avessero le lentiggini – mi disse quando mi guardò meglio, - ... ma solo adesso mi accorgo di aver fatto un grosso errore.
- Valgo ancora 40.000 dihram? – gli chiesi con aria di sfida.
Lui sorrise dicendo: - Molto di più, ma merce così preziosa io non l'avrei mai venduta!
Io rimasi un po' confusa, indecisa se essere lusingata per il complimento o furiosa per essere stata trattata come una qualsiasi mercanzia da acquistare all'asta.
Rimasi così per qualche attimo senza parole, rendendomi conto del pericolo a cui mi ero sottoposta in tutto il giorno, aggirandomi completamente sola per le strade di quella città straniera.
Poi notai lo sguardo di quel ragazzo su di me e mi venne in mente l'immagine di mio zio Ahmed che mi diceva qualcosa come: - In questo paese le donne non vanno in giro da sole e soprattutto non devono rivolgere parola a nessuno, soprattutto agli uomini, se vogliono essere rispettate...
Fui allora assalita dal terrore che quello sconosciuto potesse molestarmi.
Con l'animo turbato implorai di lasciarmi in pace, ma dall'espressione che lui fece in un certo senso mi tranquillizzai un po'.
Continuava a guardarmi insistentemente, ma capii che non doveva avere nessuna intenzione malevola nei miei confronti.
Infatti, dopo un po' aggiunge: - Mi chiamo Sahid El Fahid Ibn Nusayr.
Pronunciò il suo lungo nome con espressione di orgoglio e forte stima di sé, pur senza far trapelare nessuna alterigia o odiosa vanità.
- Non avevo nessuna intenzione di spaventarla, ma ho visto quell'individuo di poco prima seguirla da parecchio tempo. Mi è sembrato strano e così l'ho seguita anch'io. Le assicuro che non avevo nessuna intenzione di comprarla: ho simulato quella trattativa solo per salvarla. Quell'uomo era un feroce sicario: ha ucciso qualche decina di francesi e spagnoli negli ultimi vent'anni. Spero che almeno si renda conto del pericolo che ha corso, vagando sola soletta per queste strade. Qui non è facile trovare una giovane donna che se ne va in giro liberamente. Era inevitabile che finisse nelle mire di qualcuno.
Pronunciò l'ultima frase con reprensione ed io balbettai qualche scusa.
Mi sentivo affranta e avvilita da quella situazione. Avrei voluto non essere mai uscita quel giorno e con lo spavento che avevo preso, mi ero addirittura dimenticata che ormai mancavo da diverse ore.
Mi guardai in giro per capire dove mi trovavo, ma ormai non avevo più la cognizione di nulla e sicuramente da sola non avrei mai saputo ritrovare la strada del ritorno. Cosa dovevo fare? Dovevo fidarmi di quello sconosciuto? In un primo momento, ebbi un attimo di esitazione e cercai di allontanarmi.
Lui mi seguì con lo sguardo e nei suoi occhi lessi la delusione di non essermi fidata di lui. Dovevo andare via, o adesso o mai più, così mi allontanai di corsa per un breve tratto. Avrei giurato che fossi stata seguita e invece quando mi voltai, non so per quale ragione precisa, vidi Sahid che già si allontanava nella direzione opposta.
Mi fermai a guardarlo andare via. Non potevo, no, proprio non potevo lasciarlo andar via così senza neanche ringraziarlo. Uno strano senso di fiducia m'invase come se conoscessi quel ragazzo da sempre e senza neanche pensarci, mi ritrovai a rincorrerlo lungo la strada. Lo afferrai per un braccio e quando lui si voltò, aveva una strana luce negli occhi.
- Aspetti, la prego! – gli dissi.
- Io credo di essermi persa e non so proprio da che parte andare.
Lui mi guardò dapprima sorpreso, poi non so per quale motivo, mutò subito atteggiamento e mi sembrò per la prima volta ostile.
- Come cambiate subito idea voi donne! Un attimo prima ci implorate di lasciarvi in pace e un attimo dopo ci supplicate di restare!
Rimasi sorpresa del tono seccato che aveva assunto. Poi si guardò intorno, scorse due guardie francesi e le chiamò con un gesto della mano. Mentre si avvicinavano, divenne di colpo serio e aggiunse sottovoce: - Forse si fida di più di due militari. Io, se fossi in lei, mi guarderei bene anche da loro!
Poi cercando di apparire ancora più freddo di quanto sembrasse, si rivolse alle guardie in francese spiegando la mia situazione.
I due mi guardarono stranamente e poi si scambiarono uno sguardo d'intesa che lasciava intendere qualcosa di ambiguo. A quel punto non sapevo più che fare, così cercando di nascondere la disperazione che si stava impadronendo di me, cercai di assumere un contegno più altero possibile e intervenni decisamente dicendo: - Sono la nipote del console Dowland! Desidero essere accompagnata immediatamente al dipartimento di stato, altrimenti saranno guai!
Io stessa mi meravigliai del tono con cui pronunciai quella frase, ma decisamente ebbe il suo effetto.
I tre uomini rimasero a guardarmi a bocca aperta. "La nipote del console": non pensavo che mio nonno fosse così famoso. Solo pronunciando il suo nome, in meno di tre minuti fummo già al dipartimento.
Sahid se n'era andato salutando a malapena di colpo sbalordito forse dalla mia identità, ma rimasi con la convinzione che non l'avrei visto per l'ultima volta.
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