🧡Prologo 🧡
𓂀𓋹𓁈𓃠𓆃☥𓅓𓆣
Nel cuore dell'antico Egitto, quando il sole danzava tra le piramidi di pietra e il Nilo fluiva come una vena vitale nella terra arida, i sogni erano considerati finestre segrete verso il regno degli dei. Le notti silenziose cullavano gli spiriti degli uomini e delle donne, portando con sé il potere misterioso delle divinità.
Era Hathor, la Dea dalle corna di mucca e dai dolci occhi, a essere la custode di queste visioni notturne. Nel buio avvolgente delle notti egizie, Hathor si librava tra le ombre, tessendo le trame dei sogni con fili dorati. Chi osava invocare il suo nome con devozione poteva essere guidato attraverso i labirinti dell'inconscio, sospinto su ali di speranza o trascinato in abissi di premonizioni. Ogni dettaglio, ogni immagine onirica, portava con sé un significato nascosto, sussurrato da Hathor stessa.
I sogni, infatti, erano più di semplici illusioni della mente. Erano portatori di verità antiche, messaggi celati tra le pieghe del tempo. Per i saggi sacerdoti che vegliavano sulle anime del popolo, interpretare i sogni significava scrutare nel cuore dell'universo.
«Stai leggendo ancora quella robaccia?» chiese Edoardo con un sorriso impertinente, notando Raissa assorta tra le pagine del libro che custodiva con amore.
Raissa chiuse lentamente il volume, lasciando scivolare il segnalibro a forma di rosa del deserto tra le pagine ingiallite dal tempo. Era un libro sull'antico Egitto, un regalo speciale che gli aveva donato suo padre alcuni anni fa.
«Ti ricordo che hai voluto tu accompagnarmi» disse rivolgendosi a suo fratello e facendogli la linguaccia.
Effettivamente, era merito di Edoardo se i suoi genitori le avevano permesso di intraprendere quel primo viaggio come regalo per i suoi diciotto anni.
L'Egitto l'aveva sempre affascinata: le sue leggende, i misteri e i racconti di antiche civiltà che sembravano chiamarla da un passato remoto.
Dal finestrino dell'aereo, Raissa osservava il cielo tingersi di arancio mentre il sole tramontava, circondato da nuvole bianche come zucchero filato. Avrebbe voluto immortalarle, ma era troppo pigra per prendere il telefono impostato in modalità aereo nello zainetto sotto i piedi.
Il suo sguardo si concentrò su Edorado, seduto accanto a lei, che stava trafficando con la sua vecchia videocamera, un cimelio che sembrava fuori posto nei tempi moderni, eppure in qualche modo perfetto per lui. Quella videocamera aveva catturato tanti dei loro ricordi insieme: le gite al lago, le feste di compleanno, i momenti semplici ma preziosi, che il suo cuore avrebbe custodito in eterno.
Anche se non erano fratelli di sangue, il loro legame era indissolubile, fatto di complicità, sguardi che dicevano più di mille parole, e un affetto che non aveva bisogno di essere spiegato.
Dodici anni li separavano, ma la differenza d'età non aveva mai significato niente tra loro. Raissa ricordava ancora il giorno in cui i suoi genitori decisero di adottare Edoardo. Aveva solo sei anni e l'arrivo di quel ragazzo diciasettenne dagli occhi color miele caldo e dai modi bruschi era stato come un terremoto nella sua piccola vita.
Nonostante tutto lei sapeva che era molto di più di quanto apparisse in superficie. Difatti, col tempo, dietro quella corazza di ostinazione, Raissa aveva scoperto un cuore generoso e una mente ingegnosa, sempre pronta a proteggerla. Era il tipo di persona che avrebbe fatto qualsiasi cosa per le persone a cui teneva, e Raissa ne era la prova vivente.
Ricordava tutte le volte che Edoardo l'aveva difesa nel quartiere, quando i suoi compagni la prendevano in giro per via dell'apparecchio, o quando si erano rotte le sue scarpe preferite, proprio mentre tornavano a casa. La suola si era staccata di colpo, facendola inciampare. Raissa era rimasta lì, in mezzo alla strada, con un misto di vergogna. Senza dire una parola, Edoardo si era accovacciato davanti a lei, offrendole la schiena. «Sali» le aveva detto. E lei, senza esitare, era salita sulle sue spalle, sentendo il calore del suo corpo e la forza delle sue braccia che la sostenevano. Lui c'era sempre stato, a farle da scudo, a sostenerla.
Assorta nei suoi pensieri, Raissa non si era accorta che l'aereo aveva iniziato la discesa verso il Cairo. Sentì il cuore battere forte nel petto, più del dovuto. Non sapeva se fosse per la scarica di adrenalina o per l'emozione, ma niente riusciva a placarlo. Lo sguardo rimaneva fisso fuori dal finestrino, mentre le sue mani iniziavano a tremare leggermente.
Edoardo, seduto accanto a lei, percepì subito il suo turbamento e , senza dire una parola, le prese la mano e la strinse dolcemente, cercando di trasmetterle la calma di cui aveva bisogno. Raissa gli restituì la stretta, ma quel tumulto che aveva dentro di sé non sembrava placarsi.
I passeggeri furono invitati a scendere e Raissa, con un ultimo sguardo fuori dal finestrino, vide il paesaggio sabbioso del Cairo stendersi sotto di loro, baciato dagli ultimi raggi del sole. Era reale. Era davvero lì, nella terra che aveva sognato per anni.
«Va meglio?» chiese Edoardo, raggiungendola all'esterno dell'aeroporto dopo aver recuperato le borse dal bagagliaio. Raissa annuì, ma dentro di sé si sentiva strana, diversa, come se qualcosa non fosse al suo posto. Un senso di confusione aleggiava nella sua mente, ma decise di mentire per non far preoccupare suo fratello, che continuava a guardarla con un'espressione interrogativa.
«Sei strana» osservò Edoardo, mentre si guardava intorno alla ricerca di un taxi.
Raissa cercò di sorridere. «No, sono solo stan—» Non terminò la frase, perché una voce maschile, bassa e avvolgente, sussurrò il suo nome.
«Raissa.»
Lei si voltò di scatto, gli occhi sgranati che scrutavano il via vai di persone intorno a lei, ma nessuno sembrava aver pronunciato il suo nome.
«Hai sentito anche tu?» chiese a Edoardo, sperava che almeno lui potesse confermare di aver udito quella voce.
Edoardo scosse la testa con uno sguardo perplesso. «Sentito cosa?» chiese.
Raissa lo guardò, cercando di cogliere un segno di dubbio o di comprensione, ma non vide nulla di tutto questo. Si passò una mano tra i capelli, cercando di calmarsi. Forse si era immaginata tutto, forse era solo l'emozione del viaggio, l'adrenalina che la faceva sentire così.
«Niente... devo essermi confusa,» mormorò, cercando di scrollarsi di dosso quel senso di inquietudine.
Edoardo la osservò per un attimo, poi sembrò lasciare perdere. «Ok, andiamo. Ho visto un taxi libero lì,» disse, indicando un'auto gialla ferma più avanti.
Raissa annuì, seguendo Edoardo mentre si dirigevano verso il taxi. Ma la sensazione di essere seguita le faceva stringere lo stomaco. Non riusciva a scrollarsi di dosso l'impressione che qualcuno, o qualcosa, stesse osservando ogni suo movimento.
Mentre l'auto si avviava verso la città, Raissa continuava a girarsi ogni tanto, tentando di scrutare tra le auto in sosta e i passanti, ma non riusciva a scoprire nulla di anomalo. Il Cairo, con i suoi colori vivaci, sembrava un mondo così distante dalle sue preoccupazioni, eppure l'inquietudine rimaneva.
«Ora che siamo al Cairo, mi dici finalmente il piano di escursioni che hai preparato per me come regalo di compleanno? Sono così curiosa da non saper aspettare a domani!» chiese entusiasta Raissa, cercando di distrarsi.
Edoardo le lanciò uno sguardo distratto mentre controllava le informazioni sull'hotel. «Beh, ho pensato di iniziare con una visita alle piramidi e alla Sfinge. Poi potremmo esplorare il Museo Egizio. Ti va bene?»
Avrebbe finalmente visitato la città che tanto sognava da anni, le bastava questo per essere felice e non lasciarsi sopraffare dai pensieri negativi.
Sorrise debolmente. «Me lo chiedi pure ? Non vedo l'ora di vedere tutto dal vivo» disse con un velo di entusiasmo ignara che qualcosa o qualcuno, la stesse attendendo nell'ombra.
𓂀𓋹𓁈𓃠𓆃☥𓅓𓆣
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top