46. Dentro la tua pelle

Le ore successive alla fine dell'attentato di Farkas sono una confusione turbinante di facce, voci, colori. Sono stanchissima, come se il peso degli ultimi eventi mi fosse precipitato addosso all'improvviso. Bev mi sorregge e mi sussurra con dolcezza parole che non capisco. Il palazzo mi scorre intorno, uomini e donne in uniforme si avvicendano in una danza infinita. Qualcuno mi parla, io rimango in silenzio.

Domande, risposte. Qualcuno che grida, guance paonazze e bocche spalancate. Che cos'hanno da litigare ancora?

Mi fisso i palmi. Ho fermato Farkas, salvato il re di Ys. Eppure mi sento svuotata.

Lionel è morto.

Ho voglia di chiudere gli occhi, riaprirli domani e scoprire che è stato tutto un sogno.

Arriva anche il momento in cui questa tortura finisce. Non ho idea di che cosa Bev e gli altri stregoni si siano detti, ma a un certo punto, non so come, mi trovo in una stanza tranquilla. Non c'è nessuno oltre a noi due, io e il re. In petto mi cresce un fiotto di gratitudine.

L'abbraccio di un letto grande, coperte come nuvole intessute. Non appena il tepore delle lenzuola mi avvolge, l'oblio arriva. Mi addormento, oppure svengo per lo sfinimento.

Quando risollevo le palpebre devono essere passate ore. Molte ore.

La prima cosa di cui prendo consapevolezza è la sensazione soffice del cuscino e del materasso. Non ho mai dormito in un letto così morbido, e sono tanto disorientata che non posso dirmi certa di essere sveglia. Poi riconosco la luce delicata e azzurrina che filtra dalla finestra, tra i tendaggi ricamati. La luce di Ys.

"Ben svegliata."

Il ricordo degli ultimi giorni, delle ultime ore, mi aggredisce. Mi raddrizzo, di colpo vigile.

Sono in una camera dall'aspetto lussuoso in cui, oltre a un letto imponente circondato dalle vele di un baldacchino, si trovano un guardaroba laccato di bianco e uno scrittoio ordinato. Bev se ne sta seduto contro la parete opposta al letto, accanto alla porta e alle mie scarpe abbandonate. Sembra in forma, a parte un paio di occhiaie violacee che gli scavano i lineamenti.

Mi passo una mano sulla faccia. "Questa... è la tua camera, giusto?"

Lui annuisce. "Lo è quando non mi nascondo negli anfratti più loschi del quartiere basso. O quando il mio letto non è occupato da profughe evase di prigione per salvare Ys da un'insurrezione criminale."

Avvampo. "Io non..."

"Scherzavo. Non mi dispiace per niente che tu sia nel mio letto."

Reclino la testa da una parte. "Sei rimasto a fissarmi tutto il tempo?"

"Ho cercato di non farlo. Mi sono addormentato, ma mi sono svegliato presto. Non è tanto comodo, qui sul pavimento."

"Non ce n'era bisogno."

"Stai scherzando? Quello che hai fatto è stato grandioso, ma adesso a palazzo la tensione è alle stelle. L'evasione tua e di Farkas, il mio risveglio... non erano nei piani del consiglio. Non mi fido di O'Riley. E neanche delle altre guardie, o dei nobili. Non avrei accettato di perderti di vista nemmeno per un secondo."

"Non sei arrabbiato perché ho ucciso Farkas?"

Bev si scompiglia i ricci bruni. Nonostante la stanchezza, è bello di una bellezza ruvida, incisa come una cicatrice sui suoi tratti. "Avrei preferito che le cose andassero in un altro modo, ma quel che è successo è successo. E non cambia i fatti: tu mi hai salvato, Chani. Hai salvato tutti noi. Solo gli idioti del consiglio sono così ottusi da non provare nemmeno un briciolo di gratitudine."

Cerco, senza trovarla, la forza di sorridergli. "Avevamo un patto. Non potevo lasciarti morire. Anche se..."

Il buon vecchio Connor tentò di riportarlo indietro, ma era troppo tardi. Era stato preso dai cacciatori di schiavi fuggiaschi.

Con un fruscio, Bev si alza e viene a sedersi sul letto accanto a me. Il materasso dondola sotto il suo peso. "Non devi credere alle parole di Farkas. Diceva così perché non aveva altro modo per fermarti."

Qualcosa di pungente e caldo mi si addensa tra le palpebre. I miei occhi si appannano. "Le informazioni che Arno aveva su Lionel erano precise. Lo ha descritto bene e sapeva del marchio." Parlo piano, a bassa voce, per mantenere il controllo e impedire alle lacrime di traboccare. "Non ho avuto l'impressione che mentisse. Tu... tu hai guardato nella sua testa? Sai se stava dicendo la verità?"

Il ragazzo cerca di voltare il capo, ma io gli prendo il mento. La sua barba mi pizzica i polpastrelli. Con un movimento gentile, ma fermo, lo costringo a riportare gli occhi nei miei.

Stavolta Bev non si sottrae. "Farkas credeva in quello che diceva, sì."

Il ragazzo mantiene un volume controllato, ma non basta perché le sue parole facciano meno male. Un singulto sfugge alla mia gola. Tento di asciugarmi in fretta le guance, ma è troppo tardi. Bev mi ha visto piangere.

Mi circondo il torace con le braccia. Un tentativo infantile di proteggermi. Inutile, perché il dolore è già dentro di me, che mi scava nella carne. "Non lo meritava. Lionel non meritava di essere cacciato da Ys. Era buono."

"Aveva il marchio degli assassini."

"Era stato per difendere me! È colpa mia, se Lionel..." Tiro su col naso. "Non leggere i miei pensieri. Per... per favore. Non lo fare, Bev."

Lui mi sogguarda, serio. "Non lo sto facendo. Però posso ascoltarti, se vuoi parlarmene."

Esito.

Bev sospira. È sul punto di alzarsi, il suo peso si alleggerisce sul materasso. "Fai come credi."

Socchiudo le labbra. "Quando avevo quindici anni, Thomas si graffiò piantando una rosa vicino ai filari di vigne." Il racconto trabocca improvviso, un fiume in piena che rompe gli argini. "Si ammalò e morì dopo poco, perciò monsieur Bertrand dovette comprare uno schiavo nuovo. Fu così che una sera Lionel entrò nella baracca in cui dormivamo." Non ce la faccio a sostenere gli occhi di Bev. Mi fisso le mani abbandonate in grembo.

Il re torna a sedersi. Il materasso si abbassa.

Incoraggiata dal suo silenzio, calmo il respiro e proseguo. "Lionel non era nato in cattività come me e gli altri. Era duro, orgoglioso, e spesso veniva punito. Sapeva anche un sacco di cose, e io, che non mi ero mai allontanata dalla tenuta, amavo i suoi racconti. Facemmo amicizia, e quando Florian, il figlio del padrone, cominciò a interessarsi troppo a me non ebbe paura di minacciarlo."

La voce di Bev ha un tremito. "Che cos'ha fatto Florian?"

"All'inizio tentò di sedurmi con le buone. Arrivò a promettermi che mi avrebbe liberata; visto che non mi piaceva, cercava la mia gratitudine. Ma io ero terrorizzata da lui. Il modo in cui mi guardava, in cui allungava le mani per toccarmi, tutto mi disgustava. E mi faceva provare disgusto per me stessa. Mi sarei strappata la pelle di dosso per cancellare l'impronta delle sue dita. Del suo odore. Mi vergognavo tantissimo delle sue attenzioni. Cercavo di nasconderle anche a Lionel, ma Lionel se ne accorgeva da solo. Finché lui mi stava intorno, Florian non osava troppo. Lo temeva."

"Era solo uno schiavo."

"Ma non si sarebbe trattenuto, se avesse dovuto difendermi. E non si fermò, infatti."

Al giovane re manca il fiato.

Continuo: "Un giorno, Lionel fu costretto ad allontanarsi dalla tenuta. Florian ne approfittò. Venne a cercarmi e mi trascinò nella sua camera."

Il seguito mi resta impigliato sulla lingua.

Il respiro misto a singhiozzi mi graffiava la gola. Florian emetteva ansiti animali, che presto si trasformarono in grida di dolore, acute come quelle di un maiale scannato. E c'era sangue, sul mio corpo e sulle lenzuola bianche, fiori vermigli dall'odore insopportabile.

Le parole rotolano via, troppo piccole per contenere quello che dovrebbero.

Bev attende. Ha paura di chiedere.

Cerco di mantenere un tono asciutto, distaccato, ma è davvero difficile. Il mio autocontrollo si sgretola. "Lionel tornò in tempo. Protesse me e condannò se stesso." Mi mordo le labbra per la frustrazione. "Per tutti fu lui il colpevole, e Florian la vittima. Lionel fu marchiato e venduto, e adesso è morto, ed è colpa mia."

Il suo cadavere sfigurato era appeso a un albero poco lontano dal campo profughi.

Singulti violenti mi squassano il petto. Non riesco più a governarli, non riesco a governare niente. Ho il respiro bloccato; per quanto mi sforzi di incamerare aria, i miei polmoni non si riempiono.

Due braccia mi circondano. Sono grandi, sicure. Il mio viso trova l'appoggio del petto caldo di Bev.

Per qualche motivo, questo mi fa piangere ancora di più. Piango come non ho mai pianto in vita mia, libero tutte le lacrime sepolte sotto anni di lotta e determinazione. Mi ero imposta di non fermarmi, di non vacillare. Così è stato, eppure non è servito a niente.

"Mi dispiace" sussurro, quando riesco a calmarmi un po'. "Non so neanche perché ti sto dicendo queste cose."

Bev mi accarezza la testa. "Non ti preoccupare."

"Immagino che volessi sentire altro."

"Volevo sentire la verità. Non rubartela con la telepatia. Volevo che ti fidassi abbastanza da raccontarmi il tuo passato, tirare fuori il dolore e condividerlo con me."

Finalmente raccolgo il coraggio per alzare gli occhi su di lui. Quello che vedo mi sorprende: non c'è disprezzo, e nemmeno pietà. Solo una forza triste che gli cresce da dentro.

Mi sfrego il viso con un palmo. "Beh, eccola qui. La verità è questa: sono una ragazzina spaurita che cercava di rimediare a una colpa vecchia di anni e ha fallito."

La mano morbida di Bev si unisce alla mia per ripulirmi le guance dalle lacrime. "Sicura? Perché quella che vedo io è una donna forte, che fa cose impossibili dal giorno in cui ci siamo incontrati. Questo mondo ti ha fatto del male, Chani, ma tu hai trovato comunque l'energia per lottare e tentare di renderlo migliore. Almeno un po', almeno in questo angolino in fondo al mare. È stata la Dea a portarti a Ys."

Sento nascere una smorfia. "La Dea..."

"Adesso vorresti abbandonarti allo sconforto. Mollare tutto e rinchiuderti nella tua sofferenza. No, non ti arrabbiare. Non faccio apposta a leggerti la mente. Sono le tue emozioni che gridano."

Non mi arrabbio. La mia schiena s'incurva. "Sai, magari sono stata io a lanciare il coltello su quella terrazza. Però ha vinto Farkas lo stesso."

"Non permetterglielo. Non permettere di vincere a nessuno di loro. Né al Re degli Accattoni, né ai nobili del consiglio che vorrebbero i profughi fuori di qui. E presto voteranno per decidere che cosa fare con il trono."

Sbatto le palpebre per cacciare gli ultimi residui umidi impigliati nelle ciglia. "È questo che succederà adesso?"

"Abbiamo raggiunto un accordo. Il consiglio e le guardie non cercheranno di controllarmi con i telepati e io rispetterò la loro decisione sul destino della monarchia, quale che sia. Settimana prossima ci saranno le votazioni. Se mi deponessero ora, cacceranno tutti i profughi e chiuderanno per sempre il portale. Ci saranno altri Lionel."

Aveva un carattere così duro che era impossibile da rimettere in riga. Avranno preferito farne un monito per gli altri.

"No" scuoto la testa. "Non è giusto."

"Ho sette giorni di tempo per convincere Ys che la gente della superficie è come te e non come il Lupo o Farkas. So che non ho il diritto di chiederti niente, non più. Ma mi piacerebbe se tu fossi con me in quest'ultima battaglia." Il ragazzo guarda via, verso la portafinestra. "Sarà dura, non voglio mentirti. Ma io non posso farcela da solo."

"Sei uno stregone potentissimo, dotato di una magia straordinaria" gli faccio notare, cauta.

"Se la nostra pelle fosse stata invertita, se io fossi nato dove sei nata tu, non credo che sarei stato capace di quello che hai fatto. Di togliermi le catene di dosso e arrivare fin qui, per salvare Ys e il suo re potentissimo. Nelle tue vene non scorre nessuna magia, ma non ne hai bisogno. Perché quella che hai tu è una forza più grande di qualsiasi incantesimo."

Stavolta, anche se non lo cerco, un sorriso mi tira le labbra. È solo un accenno, ma è sincero.

Da tempo avevo voglia di scrivere un capitolo così. Il rapporto tra Chani e Bev si sta facendo più profondo e maturo e pian pianino la muraglia che la nostra determinata protagonista ha eretto attorno a sé si sgretola.
Vi informo che, salvo integrazioni dell'ultimo minuto, il numero totale di capitoli di questa storia sarà 55 più epilogo, quindi ormai non manca molto. Non abbassate la guardia!

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