4. Sogni di vetro
"Che cos'è per te la libertà, Chani?"
Lionel mi porse un fiore mentre mi rivolgeva la domanda più importante. Era un fiore violetto, dai petali esili e profumati, di quelli che sbocciavano ai margini del campo di lavoro.
Accettai il suo dono con un sorriso e abbassai subito gli occhi, per paura che vi potesse leggere dentro qualcosa del turbamento che provavo. Era un tipo sveglio, lui, lo sapevo anche se lo conoscevo da poco. "Non ci penso molto" ammisi, sincera. "Fare quello che si vuole, forse?"
Due dita sotto il mento mi spinsero a sollevare il volto. I raggi del sole sembravano incastrati tra i capelli d'oro di Lionel, mandavano attorno riflessi preziosi. "Sei così bella, Chani" lo udii mormorare con la voce spezzata.
Io deglutii.
"Chani..."
"Chani!"
Sollevo le palpebre di scatto. L'allarme si trasmette a tutti i miei nervi tesi. L'adrenalina pompa nelle vene e mi fa alzare dal giaciglio, pronta a difendermi, prima ancora di aver capito che succede.
Daron indietreggia nella stanza, sorpreso dalla mia reazione improvvisa. Deve aver lasciato spegnere il suo globo di luce magica quando l'alcool e la stanchezza hanno avuto la meglio e mi sono addormentata, perché la soffitta è immersa nel buio e lui mi appare come un'ombra appena più densa delle altre.
La mano ottenebrante del sonno lascia andare i miei pensieri, che diventano più lucidi. Il mio respiro si calma e, sopra di esso, riesco finalmente a udire qualcosa. Rumori. Passi che si avvicinano, risalgono le scale che conducono qui.
"Che succede?" Dalla bocca ancora impastata mi esce un mormorio roco.
Daron mantiene un sorprendente sangue freddo. "Ho sottovalutato Alec."
Non ho idea di chi sia Alec e al momento mi importa poco. "Sono le guardie? Ci hanno trovati?"
"Così pare, ma non ti preoccupare. Non è un problema."
Devo ancora afferrare quale parte di questa situazione non sia un problema, quando qualcosa muta nella consistenza dell'aria nella soffitta. È una tensione che elettrifica l'atmosfera e la rende difficile da respirare, è la tempesta che si prepara sulla cima di una vetta spoglia.
È Daron che sta facendo qualcosa.
Ed è diverso dai giochi di prestigio con le luci in cui si è esibito prima.
I passi delle guardie si fermano davanti alla porta della soffitta. Borbotto un'imprecazione e mi preparo a fronteggiarli. Non mi arrenderò senza combattere, non importa quanto sarà vana la mia lotta.
"Lascia fare a me" sussurra Daron, in una carezza di respiro caldo che solletica la mia nuca. "Che dicevamo a proposito della fiducia?"
"Che non ho alternative, mi pare."
Con un gesto che contiene in ugual misura gentilezza e decisione, mi fa voltare di nuovo verso di sé.
Le nostre mani si allacciano, le dita che si annodano strette. Anche nell'oscurità è impressionante il contrasto netto tra la mia carnagione, figlia del sole e di una terra perduta, e la sua pelle di luna.
"Sei pronta?" sussurra lui.
"Pronta per cos..."
Non riesco nemmeno a finire di parlare.
Lo spazio che ci circonda va in frantumi, come uno specchio lasciato cadere a terra da una schiava distratta. Schegge di buio e di polvere ci sfrecciano accanto per dissolversi in una pioggia di minuscole meteore, rapide a svanire. Un silenzio totale e assoluto inghiotte ogni rumore.
Griderei, se tutta la mia aria non fosse rimasta schiacciata in fondo ai polmoni.
La nausea che provo è simile a quella che mi ha annodato lo stomaco quando ho attraversato il portale che dalla superficie mi ha condotta a Ys. Lì, almeno, ero in compagnia di altri venti profughi spaesati quanto me. Adesso sono sola con uno stregone sconosciuto e il suo potere selvaggio.
Il tempo di due battiti di ciglia e l'aria, la terra, i suoni e gli odori tornano a ricomporsi. Ma il luogo in cui io e Daron ci troviamo ora non è più la soffitta abbandonata.
Riconosco l'ultimo tratto di strada che io e il ragazzo abbiamo percorso per arrivare al suo rifugio. Eccolo lì, l'edificio al cui interno ci trovavamo fino a un attimo fa. E poco più avanti l'acero rosso in un'aiuola ricavata nel bel mezzo della via. La barriera, lassù in alto, ha cominciato a rischiararsi proprio come aveva predetto Leanna; emana un tenue bagliore che riverbera sui marmi e sugli stucchi bianchi dei palazzi.
Peccato non essere nelle condizioni ideali per godermi la mia prima aurora sotto il mare.
Libera dalla stretta di Daron, mi piego sul selciato, squassata dai conati. Lo sforzo che devo fare per non vomitare mi sembra sovrumano. In qualche modo, comunque, riesco a ricacciare indietro il sapore acido e a non rovesciare sulle piastrelle lucide l'intero contenuto del mio stomaco.
Daron mi s'inginocchia accanto e sfiora la mia fronte, molle di sudore. Lo respingo, prendo qualche respiro profondo e faccio forza sulle gambe tremanti per rialzarmi in piedi.
Quando mi sono calmata a sufficienza, chiedo: "Questa cosa che hai appena fatto... la sanno fare tutti, qui a Ys?"
Una strana espressione si scava nel suo viso. "No, non tutti. Solo io."
"Lasciami indovinare. Ha qualcosa a che vedere con la circostanza che ti stanno cercando."
"Qualcosa, sì."
Mi pento di non aver insistito per avere delle informazioni su di lui. Ho già abbastanza problemi e obiettivi impossibili da raggiungere per i fatti miei, anche senza l'aiuto di un tizio strampalato dagli occhi buoni.
Ho pronto in mente il breve discorso che gli farò per piantarlo in asso, ma, quando il mio sguardo lo intercetta, i miei piani devono cambiare di nuovo.
Nella luce chiara emanata dalla barriera, Daron è segnato da un pallore spettrale. Barcolla, fatica a reggersi in piedi, e solo il mio sostegno immediato gli impedisce di accasciarsi al suolo. Il suo peso mi grava addosso. Posso avvertire la forma dei suoi muscoli solidi aderire alla mia pelle.
"Scusami" bofonchia lui. Tenta di staccarsi da me, ma non ne ha la forza. È come svuotato di ogni energia. "Quell'incantesimo non è facile come sembra, sai?"
"Non sembrava facile, tranquillo." Gli passo un braccio sotto le spalle per sopportare meglio la pressione del suo corpo.
"Il potere... mi consuma dentro, quando lo uso. E dopo non riesco più a controllarle. Non da solo."
Fatico a stargli dietro. "Controllare chi?" domando, più per cortesia che per reale interesse. Dobbiamo andarcene da qui, perciò muovo il primo passo. Con la storta alla caviglia e il peso di Daron addosso, camminare è più faticoso che mai.
"Le voci" risponde lui. "Le voci che mi parlano nella testa."
Comincio a credere che Daron sia scappato da un manicomio. La malattia mentale deve assumere risvolti piuttosto pericolosi in una città dove tutti gli abitanti sono dotati di poteri magici. Non mi costa molto immaginare il mio nuovo amico che semina il panico tra la brava gente di Ys, apparendo e scomparendo a piacere e parlando con le voci nella sua testa.
Soffio un respiro tra i denti stretti e mi ostino a trascinarci entrambi lungo la via deserta, sempre più chiara. Le chiome rosse del grande acero catturano e filtrano la luce pallida dell'alba sottomarina; una danza di ombre e riflessi ci piove addosso mentre arranchiamo. C'è un vago sentore di foglie secche.
Daron biascica parole smozzicate, all'apparenza sconnesse. Mi impegno a non farci caso. Dobbiamo trovare un rifugio, un posto dove nasconderci, qualcosa...
"Allontanati da lui!"
Un drappello di guardie dall'uniforme azzurra sciama verso di noi dal fondo della strada. Alla testa del gruppo riconosco l'uomo con il volto segnato dai nastri di carne rosata di numerose cicatrici. Sul petto porta la treccia d'argento degli ufficiali.
D'istinto mi immobilizzo dove sono, il sangue ghiacciato nelle vene, ma non lascio andare Daron.
Il ragazzo si riscuote. "Lasciatela stare. Alec, per favore!"
L'ufficiale della guardia lo osserva con gli occhi ridotti a due fessure e scuote il capo. "Oh, Dea. In che cosa ti sei cacciato questa volta, mio re?"
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