38. Attraverso il fuoco
La cella è piccola e spoglia, ma sono stata in luoghi peggiori.
Tra gli archi di pietra e le inferriate spesse ristagna un'aria stantia; la luce è fioca e proviene da una stretta feritoia posta troppo in alto perché io possa anche solo sperare di sbirciare al di là. Spesso ombre rapide la offuscano, accompagnate da un ciottolare di passi. Credo che la finestra, se così si può chiamare, sia posta al livello della strada che percorre il perimetro del palazzo reale.
A volte l'umidità mi fa tossire. Mi rende anche acutamente consapevole dei lividi doloranti di cui è cosparso il mio corpo e del taglio che brucia sulla gola. Devo obbligarmi a non toccare la crosta spessa e pruriginosa.
Quello che è difficile da sopportare, però, è la compagnia.
"Com'è piccola Ys! Sembra tanto grande, e invece è così facile ritrovarsi" ghigna Farkas, nella cella di fronte alla mia. Ci separano solo le sbarre e uno stretto corridoio.
Me ne sto seduta a gambe incrociate sul materasso rigido, con la schiena appoggiata alla parete di fondo. Tengo gli occhi chiusi. Peccato solo che questo non serva ad allontanare la voce penetrante del Re degli Accattoni o il tanfo che emana. Da quant'è che non gli permettono di lavarsi? L'idea che a breve potrei ridurmi nelle stesse condizioni mi inquieta.
"Loro pensano di spezzarci, sai?" continua l'uomo, come se io gli stessi dando retta. "Pensano che, se ci tengono chiusi in questo buco, ci piegheremo."
Socchiudo le palpebre. "L'idea ti fa ridere?"
"Molto. Se sapessero quello che abbiamo sopportato lassù, sotto il sole, si vergognerebbero di aver avuto un'idea del genere."
"Io non ho sopportato proprio niente. Mi sono ribellata quando ne ho avuto l'occasione."
Farkas sbuffa, annoiato. Il suo unico occhio si leva al soffitto. "Gli idioti di Mont Maudit. Ne ho sentito parlare."
Non riesco nemmeno a contraddirlo. Siamo stati proprio degli idioti, se poi siamo venuti qui a Ys per commettere di nuovo gli stessi errori e farci sconfiggere nello stesso modo. Sono cambiate le uniformi, ma sono venuti a prenderci anche stavolta. E hanno vinto, prima ancora che avessimo il tempo di fare la nostra mossa.
Mi chiedo se Olivia e gli altri siano riusciti a scappare. Non che conti molto, senza Bevin. Lui era la nostra migliore possibilità e la speranza di un futuro in cui a Ys ci fosse spazio anche per noi. Era la promessa che avrei riavuto indietro Lionel.
Tutto perduto nell'istante in cui il re si è inginocchiato sul pavimento del Tempio della Dea.
La rabbia prende il sopravvento come un rigurgito di bile che risale dallo stomaco. La ricaccio giù a fatica. Noi saremo degli idioti, ma Bev è il più idiota di tutti. Che cosa pensava di fare, tornando da me? Se anche il nostro esercito improvvisato dovesse decidere di attaccare il palazzo, senza la sua guida si farà massacrare. Darà solo un motivo in più per odiarci al popolo di Ys.
Mi accorgo di avere i denti digrignati solo quando comincia a dolermi la mascella. Rilassarmi mi costa un certo sforzo.
Possibile? Per ogni passo avanti, ne faccio un'infinità indietro. E ora il mio obiettivo è più lontano di quanto non fosse quando ho messo piede a Ys per la prima volta. Adesso mi è impossibile eseguire il compito assegnatomi da Renard e il mio piano di riserva è inutile quanto un re neutralizzato dai telepati più potenti.
È colpa mia.
Non serve biasimare Bev o le guardie. Se non avessi ceduto al fascino del giovane re e delle sue promesse, se fossi rimasta concentrata su quello che dovevo fare, non sarei chiusa insieme al Re degli Accattoni in una prigione in cui l'aria è appiccicosa e difficile da respirare. In attesa che qualcuno che mi odia solo perché arrivo da lontano emetta un verdetto sul mio destino.
Perdonami. Perdonami, Lionel, ti prego. Io ci provo, ma non è facile. Cose brutte succedono quando perdo la calma, e qui a Ys è tutto troppo grande e frenetico e terribile per restare calmi.
"Allora?" incalza Arno Farkas. "Hai perso quella tua lingua petulante?"
Mi massaggio le tempie. "Stavo provando a dimenticarmi della tua esistenza. Che cosa aspettano a impiccarti?"
"Te l'ho detto. Pensano di spezzarmi. Non sanno quanto io sia bravo a piegarmi, invece. Posso resistere a tutto; chi è nato schiavo come noi può farlo. Questi stregoni viziati non ci capiranno mai."
Non vorrei, eppure le sue parole sedimentano nella mia anima. Perché riconosco il fondo di verità che contengono, poco importa quanto sia odioso chi le ha pronunciate.
Arno Farkas insiste: "Il peggio è già alle nostre spalle. Noi siamo i rifiuti del mondo di sopra, ragazzina. Lo sai meglio di me, vero? Niente di quello che ci faranno qui potrà ferirci più dei nostri padroni."
In qualche modo l'idea riesce a calmarmi.
Non è finita. Finché respiro, non ho ancora perso.
Loro, la gente di Ys, O'Riley e le sue guardie, pensano di spezzarmi, ma non sanno com'era il fuoco che mi ha temprata.
Fuoco.
Immenso, fuori controllo. Un oceano incandescente che inaspriva l'aria di cenere, la saturava con il fumo. L'orizzonte accendeva il cielo nero di bagliori rossastri, là dove ardeva il cuore dell'incendio.
Nessuno lo aveva attribuito a cause naturali. Le temperature dell'estate e il vento che tirava in quei giorni avevano facilitato la diffusione delle fiamme, ma, se i vigneti di monsieur Bertrand bruciavano, la colpa doveva essere di qualche altro possidente invidioso.
Il padrone aveva preso con sé la maggior parte degli uomini e alcune delle donne più forti e li aveva portati a domare il rogo. Noi ragazze eravamo rimaste alla tenuta a guardare il lavoro di quest'anno che si dissolveva in miasmi soffocanti. Mentre mi premevo contro la finestrella stretta della baracca, però, l'unica cosa per cui riuscivo a pregare era che quel fuoco non si prendesse anche le persone che amavo.
C'era il vecchio Jacques, laggiù, che mi portava sempre in spalletta quando ero bambina. C'era David, burbero e gentile. E c'era Lionel.
La porta del dormitorio si spalancò all'improvviso. Sulla soglia apparve la figura scheletrica di Julienne, trafelata e con gli occhi sgranati. "Sei qui, Chani? Oh, grazie al cielo."
Le altre schiave abbassarono il capo in segno di rispetto. Io mi affrettai a raggiungere la padroncina, che mi prese sottobraccio e mi condusse fuori con sé.
Da vicino potevo vedere quanto le tremassero le labbra sottili. Cercava invano di tenerle chiuse in una linea dura, ma l'unico risultato era che le si contorceva tutto il viso in una smorfia sofferta.
L'aria aperta era impregnata di cenere. La sentivo in gola e nelle narici a ogni respiro. Frammenti impalpabili si posavano sulla frangia di Julienne, sulla tenuta padronale e sul prato come una coltre grigia, lacrime asciutte di qualche dio molto arrabbiato.
La padroncina si guardò attorno smarrita.
Rinserrai il contatto tra le nostre braccia. "Hai paura?" sondai il terreno.
"Papà è laggiù." La voce stillava a fatica attraverso il nodo che le stringeva la gola. "Ha detto che non c'è pericolo, però non ha voluto che Florian lo accompagnasse. Perché ha lasciato qui mio fratello, se è vero che non è pericoloso?"
Le sue parole erano una lama che girava nelle mie viscere, ma non lo diedi a vedere e feci quello per cui era venuta a cercarmi. "Andrà tutto bene. Monsieur Bertrand ha preso con sé gli schiavi migliori; ci penseranno loro a proteggerlo."
Julienne tirò su col naso. "Voglio solo che questa giornata orribile finisca."
Le accarezzai i capelli, castani e lisci come olio. "Che ne dici se adesso ti preparo un tè? Nel frattempo magari puoi raccontarmi una delle tue storie."
Una pallida luce si accese nei suoi occhi. "Io... va bene. Grazie, Chani."
La condussi all'interno della tenuta, nelle stanze bianche che Lucille manteneva perfette, con la sua capacità di non farsi sfuggire nemmeno un granello di polvere. C'era profumo di lavanda; qualcuno, Lucille o i padroni, doveva aver pensato che disporre un maggior numero di sacchetti di fiori profumati avrebbe aiutato a tenere fuori i segni dell'incendio.
In cucina, Julienne si lasciò ricadere su una sedia, svuotata di ogni energia. Io misi una pentola a scaldare sul fornello a biogas.
"Allora" ruppi il silenzio. "Non mi racconti nulla? Di che parla l'ultimo libro che hai letto?"
"Non... non mi ricordo."
Presi una mano della padroncina. Era debole e fredda. "Era una storia d'amore? Un romanzo d'avventura?"
Lei deglutì, ma fu costretta a distogliere lo sguardo dalla finestra per concentrarsi su ciò che le chiedevo. "Entrambe le cose. Sai, come piace a me."
"Come iniziava? Una principessa rapita, un regno in pericolo?"
"No, no." Julienne aggrottò le sopracciglia folte. "C'era una ragazza che viveva in un mondo minacciato dall'oscurità. Lei... lei doveva salvarlo."
Mentre la padroncina raccontava la sua storia, l'acqua nella pentola cominciò a borbottare. Spensi il fuoco e lasciai in infusione le foglie di tè alla menta, senza smettere un attimo di ascoltare.
In qualche modo il trucco che avevo escogitato per tranquillizzare Julienne ebbe effetto anche su di me e la paura rimpicciolì, sedata dalle emozioni suscitate dal racconto. Non era tanto la storia in sé, simile a tante che avevo già udito. Era il modo in cui lei parlava, con le guance accese di passione e le mani che gesticolavano. I suoi occhi, miopi per il troppo tempo speso sui libri, scintillavano e parevano in grado di guardare a universi di distanza, proprio là dove si consumavano le battaglie e le passioni terribili di cui narrava.
Le porsi la sua tazza di tè e Julienne a malapena se ne bagnò le labbra. Sorrisi e mi lasciai accompagnare nel suo mondo di fantasia. Era un posto bello in cui stare, perché non importava quanto fossero dure le prove da superare, le storie finivano sempre bene.
"Non ti piacerebbe?" domandò lei all'improvviso.
Per me fu come il risveglio improvviso da un sonno profondo. "Che cosa?"
"Saper leggere."
Seduta accanto alla padroncina, abbassai il viso. "Molto" ammisi a mezza voce, e me ne pentii subito dopo. Non sapevo come l'avrebbe presa e non volevo che mi giudicasse arrogante o troppo ambiziosa.
Invece Julienne annuì. "Potrei insegnarti, qualche volta. Quando avrò un po' di tempo. Così ti presterò i miei libri e potremo parlarne."
Ammutolii. Mi riscossi solo per balbettare un: "Sarebbe bellissimo."
Non era vero. Le parole erano inadeguate a esprimere quello che sentivo. Nei libri di Julienne erano racchiusi infiniti altri mondi e lei stava per consegnarmene la chiave.
La porta della cucina si aprì prima che una di noi avesse il tempo di aggiungere altro. Preceduto dal rintocco severo dei propri passi, Florian entrò senza chiedere permesso.
Ghiacciai dentro.
"Oh, sei qui." Il figlio del padrone mi rivolse un'occhiata distratta, come se non si fosse aspettato di trovarmi. "Posso rubartela un attimo, Julie?"
Sua sorella si strinse nelle spalle. "Se proprio devi."
"Devo. Forza, vieni" aggiunse, rivolto a me. Non mi chiamò nemmeno per nome.
Affondai i denti nel labbro inferiore e non mi mossi.
Julienne sbatté le palpebre. "Hai sentito?"
Florian rise. "Che ti dicevo, Julie? E tu che non mi credevi. Questa piccola serpe si sta rivelando per quello che è davvero."
"Non... non c'è bisogno di parlare in questo modo" obiettò lei debolmente.
"Si è fatta mettere chissà quali grilli per la testa dallo schiavo nuovo e ora pensa di potersi comportare come le pare."
Lo sguardo dell'uomo mi ardeva addosso. Risvegliava il ricordo del suo tocco schifoso, di quel bacio rivoltante. Il panico mi paralizzò e mi impedì perfino di formulare una difesa.
Julienne si schiarì la gola e tirò fuori la propria vocetta balbuziente. "Io credo... credo che tu la stia spaventando. Forse è meglio se vai a chiamare qualcun'altra per... qualsiasi cosa tu debba fare. Le ragazze nella baracca stanno perdendo tempo. Chani invece è impegnata con me."
"Ho dato un ordine" sibilò il fratello. "E ora sarà meglio che la mia schiava obbedisca."
Cercai lo sguardo di Julienne, ma la mano di Florian fu più veloce. Mi afferrò per un braccio e mi tirò in piedi, fino a trasicnarmi fuori dalla cucina.
L'ultima immagine che ebbi della padroncina fu la sua testa bruna che si abbassava, sconfitta.
I corridoi bianchi turbinarono attorno a me.
"Nessuno." Il fiato caldo di Florian mi lambì l'orecchio. "Nessuno può salvarti, adesso."
Una porta sbatté alle nostre spalle con un colpo secco.
Un colpo secco mi strappa ai miei pensieri.
Arno Farkas si ripiega su se stesso, squassato dalla tosse. L'aria umida di questo sotterraneo non è salubre nemmeno per lui.
Quando si raddrizza, però, una scintilla pericolosa brilla nel suo unico occhio.
"Gli abitanti di Ys cercano di spaventarci con le loro magie, le loro prigioni e le loro minacce. La verità è che sono loro ad avere paura di noi. E sai una cosa?" L'ombra di un sorriso ferino si allarga nel reticolo dei segni che il gas panace ha lasciato sul suo viso.
"Cosa?"
"Fanno bene."
Alla fine il famigerato aggiornamento di Wattpad è arrivato anche a me. Direi che è il momento di ribellarsi.
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