34. Non lasciarmi
Non ho il tempo di elaborare.
Bev cambia argomento con una velocità sorprendente, al punto che comincio a credere di aver immaginato le poche battute scambiate finora.
"Grazie per quello che stai facendo per me" dice, indicando la folla in festa con un movimento del braccio.
Mi stringo nelle spalle. "Non devi ringraziarmi. Niente di tutto questo è gratis, ricordi? Nemmeno per gli altri lo sarà, se quando avremo vinto permetterai a tutti di chiamare Ys casa."
Ombre nei suoi occhi. "E tu?"
"Io cosa?"
"Qual è il luogo che chiamerai casa, quando tutto sarà finito?"
Le sue mani si posano sui miei fianchi con noncuranza, come se si fossero trovate a passare di lì per caso. Sono fin troppo consapevole del suo corpo forte a un passo dal mio.
"Non lo so" ammetto a mezza voce. "Per me non c'è mai stato un dopo. Né una casa."
La mia ricerca mi impegna da quando per la prima volta sono stata in grado di spezzare le mie catene e di prendere decisioni da sola. A volte ho la sensazione che non finirà prima che sia finita la mia vita.
"Potresti tornare a Ys" suggerisce Bev.
Inarco un sopracciglio. "Con Lionel?"
L'ho ferito. Lo capisco nel breve attimo in cui deve distogliere lo sguardo, nella presa delle sue mani che si fa più decisa per non lasciarmi andare.
Non lasciarmi.
È quello che vuole lui o quello che desidero io?
Cerco di mantenere un tono leggero mentre continuo: "Stiamo guardando troppo avanti. Come dice Olivia, cominciamo a riprenderci il trono, che ne pensi? Il resto verrà dopo."
Bev si ravviva. "Già. Com'è che vi esprimete voi? Sto mettendo il carro davanti ai buoi. Che cos'è un buo, poi?"
"Lascia perdere." Scoppio a ridere, non riesco a impedirmelo. Un caldo formicolìo mi risale alle guance.
"Che ho detto di divertente?"
"Niente, niente."
"Devo saperlo. Così posso dirlo di nuovo. La tua risata ha un bel suono. Mi piacerebbe sentirla più spesso."
Lascio il mio boccale di birra sul tavolo più vicino e appoggio la mano libera sul petto di Bevin. L'avevo pensato come un gesto per respingerlo, ma per qualche motivo il risultato è qualcosa di diverso. Avverto il suo cuore battere sicuro sotto i vestiti e provo l'impulso di chiudere gli occhi, lasciarmi cullare da questo ritmo regolare, più intenso della musica nel refettorio, delle grida e delle voci.
È una stanza piena di gente, ma ci siamo solo noi.
Il tocco di Bev risale lungo la mia schiena. Risveglia ogni singola cellula al suo passaggio.
E poi lo fa di nuovo.
"Anche a me succede lo stesso" mormora, in risposta alle cose che non ho detto.
Spalanco gli occhi e, stavolta sì, riesco a respingerlo. Lo allontano da me con il palmo aperto. "Che cosa?"
Lui s'irrigidisce all'improvviso. "Scusa. L'hai solo pensato, immagino."
Indietreggio, libera dalla sua presa. Sbatto con la schiena contro un ragazzo di passaggio, che manda un'imprecazione quando la schiuma della sua birra gli finisce sulle scarpe. Non cerco nemmeno di scusarmi.
Tengo l'attenzione fissa su Bevin. "Mi hai letto nel pensiero" constato, senza riuscire a trattenere l'orrore che cresce nelle mie parole.
"No, io... forse sì."
Panico. La paura è un collare gelido che mi serra la gola e mi rende difficile perfino respirare. "Perché non mi hai detto che sai farlo?"
"Non so farlo. Cioè, non sapevo farlo. Non sapevo farlo fino a un paio di settimane fa, più o meno." Si gratta la nuca. "Lascia che ti spieghi, ma non qui."
Mi prende per il polso per condurmi attraverso la sala e non so perché glielo permetto. Risaliamo le scale fino al pian terreno, ci lasciamo alle spalle il recinto sacro con l'area dedicata al culto e camminiamo fino all'ingresso, in quella che sorella Eirean ha definito come la zona per l'accoglienza dei fedeli. I nostri passi affrettati risuonano nel silenzio che riempie lo spazio tra le statue e le alte colonne, insieme ad altri piccoli rumori: lo scoppiettio di alcune candele, i respiri affannati e i sospiri di qualche coppia che deve aver trovato un'alcova al riparo dei marmi.
Mi sento prudere addosso lo sguardo di pietra delle innumerevoli rappresentazioni della Dea che s'innalzano a ridosso delle pareti rastremate.
Per fortuna Bev non ha intenzione di fermarsi qui. Attraversiamo il portone principale e la frescura della notte ci accarezza.
La piazza è addormentata. Ci sono alcuni dei nostri che parlano o passeggiano, a coppie o a piccoli gruppi, e dal Tempio arriva l'eco attutita della festa, proprio come temevo. Una parte del mio cervello mi avverte che dovrei arrabbiarmi, far rientrare tutti e obbligare gli idioti a smetterla con questo caos.
Ma è una parte che conta sempre meno nel momento in cui Bev mi lascia andare e mi fronteggia, serissimo.
Incrocio le braccia sul petto. "Allora? Che cos'è questa storia?"
Lui si schiarisce la gola. "È successo dopo l'arena. Dopo... la morte di Alec" comincia con voce sommessa. "Non me ne sono accorto subito. Nella mia testa c'è già un bel casino, lo sai. E i pensieri della gente normale... i vostri pensieri sono deboli e confusi, non si sentono facilmente sopra le voci dei Re Stregoni. Ma poi ci sono emozioni violente come le tue, e allora cambia tutto."
"Io non ho provato nessuna emozione violenta."
Bev mi rivolge un sorriso delizioso, che dissipa il tormento nei suoi occhi e parla solo del piacere provocato da me. "Io ti sento, Chani. Ti sento in un modo che rende tutte le altre persone e le voci nella mia testa spettri insignificanti."
Non devo ascoltarlo. Non devo credergli. Lui non sa che cosa voglia dire essere me.
"Com'è possibile?" mi limito a sussurrare.
"Non ne ho idea. Telepati si nasce, non si diventa. Ma quello che percepisco è inequivocabile. È così che mi sono accorto che il medico da cui ti avevo portata aveva intenzione di tradirci." Bev si passa una mano sul viso. "È come se quella notte non avessi preso solo la vita di Alec."
"È difficile da capire." E da accettare.
Gli do le spalle. Qualcuno ride in lontananza. Il portone del Tempio si apre per lasciar uscire Charlez e Yanna, con il fagotto del bambino in braccio. Lui le sussurra qualcosa all'orecchio e lei sorride di rimando. Sono talmente presi da qualsiasi cosa si stiano dicendo da non fare caso a noi mentre si allontanano verso il retro dell'edificio e spariscono nelle tenebre.
Stupidi. Dovebbero tornare tutti dentro.
È un pensiero vacuo, ormai.
"Non volevo che succedesse." Quasi riesco a sentire il nodo che serra la gola di Bev quando parla. "Non volevo che Alec morisse. Sono un assassino e ora anche un ladro."
"Presto sarai di nuovo re e il resto sarà dimenticato. È così che funziona con i vincitori."
Mi ritraggo. Questa conversazione è durata fin troppo. È ora che dia retta alla razionalità e riporti il gruppo di profughi cospiratori all'ordine.
Prima che succeda qualcosa. Prima che Bev spinga il suo sguardo a fondo dentro di me e smuova ricordi che farebbero soffrire entrambi.
"Aspetta." Lui mi avvolge la vita con un braccio. "Non andare via da me."
Non lasciarmi.
Si stringe contro la mia schiena. Il suo corpo, grande e solido, aderisce al mio e lo accende di una corrente così intensa che potrebbe uccidermi.
Non lasciarmi. Uccidimi.
"Non ti farò male" sussurra Bev contro i miei ricci. "Non frugherò tra i tuoi ricordi passati, non scaverò tra i tuoi segreti e non forzerò la tua mente."
Mi aggrappo alle sue mani. Ancora una volta i muscoli disobbediscono, perché vorrei allontanarlo, e invece finisco per trattenerlo. "Bev, questa è una cosa molto stupida."
"Quale cosa?"
"Quella che stai facendo adesso."
"Tu mi vuoi."
Non rispondo.
Lui insiste: "Prima non ne avevo la certezza. Ma ora lo so. Lo sento, il modo in cui ti accendi."
Non lasciarmi. Bruciami.
La voce, almeno quella, è rimasta ai miei ordini. "Tu sei il re di Ys. Sei il sovrano di tutto il popolo magico e un pazzo furioso che ha appena accresciuto il proprio potere già sconfinato. Io sono..."
"Siamo le due persone che cambieranno Ys insieme. Il resto non conta."
Vorrei rispondergli che conta eccome, ma non me ne lascia il tempo.
Bevin mi fa voltare, mi prende la faccia tra le mani e cattura la mia bocca con la sua.
È un bacio caldo e dolcissimo, e io vorrei annullarmi nel suo sapore. Nessun passato, nessun futuro. Tutto quello che sono nasce e muore in questo istante, si esaurisce nel bisogno che ci brucia.
Bev mi attira a sé. Cancella ogni mia resistenza. Le sue mani scorrono su tutto il mio corpo, le sue labbra scendono sul mio collo. La sua barba troppo cresciuta mi pizzica, i capelli sono una nuvola soffice tra le mie dita.
E proprio quando lui mi spinge contro il muro del Tempio la prima formula magica tuona nella piazza. Un lampo di energia saetta, la superficie di pietra a pochi centimetri dalla mia testa si sbreccia in una cascata di schegge. I profughi attorno a noi cominciano a gridare.
A fatica, nel buio assoluto della notte, riconosco il blu e l'argento dell'uniforme delle guardie in avvicinamento.
Alzi la mano chi aspettava la strage!
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