29. Quel che resta dei sogni
"Ti ho pagato. Più di quello che meritavi, visto quanto l'hai fatta gridare con quell'incantesimo."
Prendo di nuovo contatto con i miei confini, la pelle e i muscoli. Fletto le braccia; mi rendo conto di riuscire a farlo senza avvertire fitte insostenibili in mezzo alle scapole e tiro un sospiro di sollievo. Questa è già un'ottima notizia.
"Le cose sono cambiate" afferma la voce del medico.
Sono ancora distesa sul tavolo della clinica. Dalle finestre filtra una luce chiara, riflesso della barriera, che rende inutili i globi magici qua dentro.
Quanto tempo sono rimasta incosciente?
Mi metto a sedere con movimenti cauti e studio la reazione del mio corpo. Sono un po' indolenzita lungo la schiena, ma, per quanto sia in grado di valutare, sono guarita. I vestiti, invece, mi pendono addosso come stracci sporchi e irriconoscibili. Sembra impossibile che questo tessuto annerito appartenesse a un abito uscito dal guardaroba reale.
Così come sembra impossibile che il ragazzo dalle occhiaie scure che sbraita in mezzo alla stanza sia il legittimo sovrano di Ys.
Bev mi vede e lascia perdere l'alterco per avvicinarsi. I suoi palmi grandi sono sulle mie spalle. "Ti sei ripresa. Come ti senti?"
Cerco di velocizzare i pensieri. "Bene. Che succede qui?"
"Sto per spaccargli la faccia."
"All'uomo che mi ha appena curata? Perché dovresti?"
"Diceva di dover uscire per una commissione, ma gli è caduto questo." Bev mi sventola un foglio sotto il naso.
Appunto l'attenzione sul testo. Per me sono solo delle linee nere, segni tracciati di fretta da una mano sbrigativa. Non so leggerci niente, a parte qualche ovvia deduzione sullo stato d'animo dell'autore. Le parole scritte sono un labirinto in cui il mio sguardo si smarrisce.
La vergogna mi pizzica la pelle.
Il medico, comunque, deve pensare che io abbia compreso il contenuto del messaggio, perché si fa avanti con un: "Posso spiegare."
Reprimo il sospiro di sollievo e gli rivolgo un cenno. "Prego, allora."
Bev emette uno sbuffo contrariato.
"So perché siete venuti da me" comincia il medico. "Non mi tiro indietro se c'è da ricucire qualcuno dopo episodi che è meglio che non arrivino a ospedali e orecchie ufficiali. Pensavo fosse un caso, diciamo così, tradizionale. Non sarebbe la prima volta che un riccone del quartiere alto mi chiede aiuto per far sparire i segni di qualche gioco troppo spinto con le prostitute rifugiate. Ma poi ho capito che le tue ferite erano un'altra cosa. Siete stati coinvolti in qualcosa di ben peggiore, tutti e due. Anche io ho dei limiti morali e..."
"Quanto la tiri in lungo per dire che hai annusato il pesce grosso e speri in una ricompensa!" ringhia Bevin.
La rabbia del giovane re si addensa come una nuvola invisibile attorno a lui, ma non esplode. Impiego un attimo a trasformare lo stupore in comprensione.
Ha paura.
Ha paura di se stesso e del potere che gli scoppia nelle vene. E sta facendo di tutto per reprimerlo. Perfino ora, con quest'uomo che voleva denunciarci.
Lascio perdere entrambi e mi metto a frugare nell'ambulatorio. Ieri notte, quando siamo arrivati, sono riuscita a malapena a capire dove mi trovassi. Ora mi rendo conto che, a prima vista, questa si direbbe più una macelleria che una clinica medica, forse anche per il sangue e la polvere portati da me e Bev. C'è puzza di carne infetta.
Magari, però, potrebbe comunque capitarmi sottomano qualcosa di utile.
"Che stai facendo?" mi domandano quasi in coro il re e il medico.
Apro i cassetti di un mobile bianco, uno dopo l'altro. Contengono solo strumenti metallici di cui non riesco a immaginare l'utilizzo e libri. Un sacco di libri. Trattengo l'impulso di accarezzare le copertine coperte di scritte misteriose e passo oltre.
"Hai intenzione di ucciderlo, Daron?" domando, mentre in uno stanzino adiacente trovo finalmente un piccolo armadio contenente degli abiti. Probabilmente dei ricambi di emergenza per le operazioni difficili. Quelle in cui le prostitute rifugiate sanguinano troppo.
Un attimo di silenzio. "No."
"Nemmeno io."
"Ah, grazie" interviene il medico, con una nota isterica.
Non lo calcolo e mi rivolgo di nuovo a Bev. "Allora sarà opportuno andarcene in fretta. Meglio se con qualcosa di più utile del niente che abbiamo. Dei vestiti puliti sarebbero un ottimo punto di partenza."
Il medico sembra sconvolto. "Questa... questa è una rapina?"
"Immagino di sì." Mi hanno chiamata in tanti modi nella vita. Ladra non è di certo quello peggiore. "Tu stai buono e non farci arrabbiare di più, se non vuoi cominciare questa giornata molto male."
Metto le mani su quello che mi serve: una camicia linda. È larga, maschile. Approfondire la ricerca nel guardaroba mi porta a rintracciare anche un paio di calzoni e, seminascosto tra i calzini, un piccolo portagioie di legno. Torno nella stanza principale col mio bottino.
Metto da parte gli spiccioli d'argento che trovo nel portagioie. La catenella con il diamante, invece, la lancio a Bev, che la prende al volo.
"Quello era il pagamento per la prestazione sanitaria!" protesta il medico.
"Adesso è diventato un risarcimento per il tuo tentativo di incastrarci. Facciamo che siamo a posto così" taglio corto.
"Non è corrett..."
Le parole gli restano a metà quando con un gesto impaziente mi strappo di dosso ciò che resta del mio abito.
Il silenzio scende nella clinica, spezzato solo dal fruscio che fanno i miei vecchi stracci sudici mentre li scavalco e li calcio via. Placo i brividi di freddo con la camicia e i calzoni; mi arrangio con qualche nodo strategico e potrei essere comoda anche per correre. Restano solo questi stivaletti di tela troppo leggera, ma per il momento mi dovrò accontentare. Tutto sommato hanno dimostrato una buona resistenza agli eventi dell'arena di Farkas.
Quando finisco di sistemarmi raddrizzo il collo e trovo entrambi gli uomini ancora lì a fissarmi.
Allargo le braccia. "Spero per voi che abbiate visto altre donne nude, prima di stamattina."
Il medico avvampa. Sulla pelle chiara della gente di Ys il fenomeno dell'arrossamento è visibile in modo assurdo. "Certo! Però non così... così..."
Bev gli si rivolta contro con uno scatto tale da farmi credere che abbia cambiato idea sulla questione dell'ucciderlo. "Tieni a bada i tuoi pensieri schifosi."
"Perché, è la tua donna? Da quando in qua gli stregoni stanno con i profughi?"
Mi spingo in mezzo a loro e poso una mano sul petto solido di Bev prima che possa rispondere. "Basta così. Non sono la donna di nessuno. E non mi importa se tu, lui o mezza Ys mi guarda con aria ebete mentre mi cambio, ok? Mi basta fare in fretta ed essere lontana quando le guardie arriveranno. Perché arriveranno le guardie, con o senza denuncia di quest'idiota." Lascio scivolare le dita giù dal suo torace, interrompendo il contatto fisico tra noi e la corrente elettrizzante che, sono sicura, non dovrebbe esserci. "Non è la prima volta che scappi, ma loro ti trovano sempre."
Bev si adombra. "Stavolta è diverso. Ci metteranno di più senza Alec."
Riesce a dirlo con tono neutro. Un'illusione di superficie che chissà cosa nasconde. Sono contenta di non essere dentro la sua testa.
Annuisco. "Vediamo di far fruttare il vantaggio."
Punto dritta verso l'uscita. Ho già afferrato la maniglia, quando qualcuno si schiarisce la gola alle mie spalle.
Il medico. Mi ero quasi dimenticata di lui.
"Io, ehm, diciamo che potrei bruciare la lettera. E, se qualcuno mi chiedesse di stanotte, racconterei l'aneddoto di un certo riccone con la sua prostituta della superficie. Certo, qualche spicciolo renderebbe il racconto più credibile."
Bev irrigidisce tutti i muscoli. È stanco, solo, furioso con se stesso e pronto a mandare in mille pezzi l'illusione di calma superficiale. Probabilmente ha anche qualche voce nella testa che gli suggerisce di farlo. Il demone assetato che ho già visto in azione dorme un sonno leggero sotto la sua pelle.
Sfioro un braccio del re e mi rivolgo all'altro uomo prima che possa farlo lui. "Parla di noi con chi ti pare, stregone. Presto saremo svaniti come ombre."
Senza dare a nessuno il tempo di far precipitare la situazione, apro la porta della clinica.
Il quartiere basso si srotola davanti a me nel suo dedalo di pietra, gremito di edifici accalcati uno sull'altro, porte, finestre, ponticelli e cortili. Esco nella strada e mi unisco alla corrente di streghe e stregoni che l'affolla.
Tutto sembra procedere nella norma. Una donna di mezza età grida per attirare clienti al banco da cui vende crêpes profumate che per un qualche incanto si preparano da sole, in una cascata spumeggiante di farina, olio e cioccolata. Poco oltre un ragazzino della superficie chiede l'elemosina tendendo un cappello, seduto contro un muro con la testa tra le ginocchia sbucciate.
"Dove andiamo?" bofonchia Bevin.
Prima di rispondere faccio tintinnare una delle monete d'argento che ho appena rubato al medico nel cappello del ragazzino. Poi indico la barriera lievemente illuminata sopra di noi. "Non è ovvio?"
"Aspetta. Vuoi andare in superficie?"
"L'hai detto anche tu: qui sono una ricercata. Chiunque indossi un'uniforme è mio nemico e non posso muovere due passi senza guardarmi le spalle. In più, se tu vieni con me, non avrò più nulla da fare a Ys."
Presto finirà, Lionel. La nostra separazione, il dolore che ci soffoca. Sto per venire a prenderti.
"Io non voglio andare in superficie."
"Ti porterò da Renard. È uno strambo, ma non è malaccio. Così potrete chiarirvi tra di voi, io avrò rispettato la mia parte dell'accordo e la vecchia volpe dovrà farlo con la sua. Mi dirà dov'è Lionel e io andrò a prenderlo."
"Non voglio andare in superficie."
"Insieme io e Lionel ci dilegueremo da qualche parte dove non esistono gli schiavi e nemmeno gli stregoni. Un luogo dove tutti gli uomini si rispettano e pensano ai fatti propri e... che cosa hai detto?"
Mi arresto in mezzo alla strada per fronteggiare Bev e per poco un uomo con una lunga barba grigia non mi travolge. Sopporto le sue imprecazioni.
Bev si guarda attorno e ripete: "Non voglio andare in superficie. Non ora, almeno."
"Era il tuo sogno. Ti ricordi? Me ne hai parlato la notte in cui ci siamo incontrati."
"Da allora è cambiato tutto, Chani."
"È cambiato il fatto che le tue catene non esistono più, ora. Niente ti costringe a restare in una città che non ti vuole. Ad affrontare le conseguenze di quello che hai fatto. Per tutte le persone che vedi qui intorno sei colpevole di qualcosa. Sei passato ufficialmente dalla parte dei cattivi. Che è anche la parte della gente libera di fare come vuole."
Il suo sguardo verde si offusca.
L'ho tentato. Lo vedo nell'incertezza che gli fa socchiudere queste sue labbra morbide. Dio, ma quanto erano morbide? E adesso è così vicino che potrei alzarmi sulle punte, appoggiarmi alle sue spalle e assaggiarle di nuovo...
Bev scuote la testa bruna. "Non fuggirò."
Sbatto le palpebre. No, no. Così non va. "Sei libero, capisci? Puoi realizzare i tuoi desideri, vedere il cielo, le montagne e il sole. Quello che hai sempre voluto!"
"Sono stato un pessimo re, ma posso provare a essere migliore. Pagherò per le mie colpe. Dimostrerò a tutti che merito il potere e il trono che ho ereditato."
"Nessuno merita il potere con cui nasce, e chi ce l'ha di solito lo usa male. Pensa a quello che hanno fatto al mondo della superficie."
"Che vuoi dire?"
"Sei solo un bastardo fortunato. Non ricamarci su più del necessario."
L'ho colpito più a fondo di quanto avrei potuto fare con un coltello. Bev abbassa la fronte. "Forse hai ragione, ma Alec credeva in me. Conosceva tutto, ogni mio segreto e più meschino pensiero, e credeva comunque. Io... l'ho già deluso abbastanza. Non scapperò dalla mia città."
I passanti cominciano a rivolgerci occhiate stranite. Il nostro litigio attira l'attenzione, ma non riesco a fermarmi. "Alec è morto" sbotto. "Quello che credeva o non credeva non importa più niente, ormai."
Un attimo di silenzio cala pesante tra noi.
"Sei un mostro" sentenzia Bev, quando ha accusato il colpo.
Alzo le spalle per aiutarmi a simulare un'indifferenza che non provo. "Vedila così, se ti fa stare meglio. Magari ti passa anche quella stupida cotta che ti sei preso."
Perché, mentre parlo, mi sento un mostro davvero? Il nodo che non sapevo mi stringesse lo stomaco si fa sempre più serrato.
"Non mi fa stare meglio" si limita a mormorare lui.
Sto per rispondere un'altra cosa che non penso, quando alle sue spalle colgo un movimento che mi allarma.
Eravamo affamati e in caccia, sulle tracce di quello che doveva essere un branco numeroso. Ero io a seguire la pista e a guidare la battuta sul versante ovest della montagna.
Me ne accorsi appena in tempo. Si preannunciò con un sassolino che ruzzolava giù dal pendio sopra le nostre teste. Feci fermare il gruppo appena in tempo.
Poco dopo la frana trascinava in una rovina fangosa il sentiero davanti ai nostri piedi, in un'apocalisse di massi e polvere.
Il ragazzino della superficie che chiedeva l'elemosina corre via per la strada. Sguscia tra le gambe degli adulti, un topolino sfuggente. Terrorizzato.
Un rumore di passi ritmati sovrasta il chiasso della strada. E io non so scacciare il presentimento che quello che sta arrivando sia la frana, la cascata di fango e pietra pronta a spazzarmi via il sentiero da sotto i piedi.
Subito dopo in lontananza esplodono le grida.
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