9.1 Faccia a faccia
Cam
Erano trascorse più di due settimane da quando Allie se n'era andata da casa di Anna ed ero sull'orlo di un esaurimento nervoso.
Non aveva mai risposto alle mie chiamate, non aveva mai richiamato e non si era mai fatta viva. Completamente sparita nel nulla. Quando componevo il suo numero scattava immediatamente la segreteria telefonica.
Le sue cose erano misteriosamente scomparse dalla sua camera, il che significava che Charlie la stava aiutando a rimanere nascosta o ad andarsene, non lo sapevo. Non avevo la più pallida idea di cosa avesse in mente.
Avrei dovuto essere arrabbiato, ma ero solo deluso. Così deluso che tornavo all'appartamento il meno possibile, ovvero solo per dormire, perché proprio non ce la facevo a vedere gli altri comportarsi come se nulla fosse e Jay e Charlie giocare alla coppietta felice.
Sì, stavano insieme; no, non sapevo come e quando fosse successo. C'erano un sacco di cose che non sapevo ultimamente.
«Ciao, ragazze, cosa vi porto?», chiesi il più allegramente possibile, stampandomi un sorriso in faccia mentre mi fermavo davanti al tavolo di due ragazze bionde.
Continuavo a lavorare allo Sweet Claire, facevo più turni che potevo, perché mi aiutava a distrarmi e perché non potevo passare tutto il mio tempo libero in biblioteca. Perlopiù, mi pagavano.
Una delle due ragazze si voltò verso di me e il sorriso mi morì sulle labbra: Chloe Asher. Mio Dio, quella ragazza era un incubo.
«Ciao, Cam», cinguettò.
Cercai di mantenere neutra la mia voce. «Chloe. Che ci fai qui?» Lo Sweet Claire non era proprio il genere di locale che frequentavano quelle come Chloe.
«Mi era giunta voce che lavoravi qui, sono passata a salutare. Lei è Katy, comunque.» Mi indicò la sua amica che, nonostante il trucco pesante, continuava a non essere nemmeno carina.
«Ciao, Katy. Cosa vi porto?», chiesi in tono distaccato. Stavo lavorando, non avevo tempo per fare conversazione. Soprattutto non con lei.
«Ho chiesto al tuo capo se può darti un quarto d'ora di pausa e ha detto che non c'è problema, che hai quasi finito il turno. Siediti con noi, è da tanto che non ci vediamo», continuò lei, ignorandomi.
Strinsi più forte il blocchetto per le ordinazioni che tenevo tra le mani.
«Non ho bisogno di una pausa. Ve lo chiedo un'ultima volta, poi vi mando un altro cameriere: cosa volete ordinare?»
Chloe aggrottò leggermente le sopracciglia, fingendosi indignata. «Ma come sei scortese. Sai, ora che ci penso, non ho più visto nemmeno Allie, e quando ho fatto un paio di domande in giro mi è stato detto che se n'è andata. È vero?»
Ecco il vero motivo per cui era venuta fin qui. «Direi che non sono affari tuoi.»
«Oh, vuol dire che è così! Chissà perché l'ha fatto... ma almeno stavate insieme o ti ha solo preso in giro per tutto questo tempo?»
Strinsi i denti perché non potevo andare in escandescenza, quel lavoro mi serviva. Dovevo solo tenere duro altri cinque minuti e poi avrei potuto andarmene.
«Era evidente che provassi qualcosa per lei e lei invece si è divertita ad ingannarti. È vergognoso, a parere mio», proseguì, guardandosi le unghie.
Non riuscii più a trattenermi. «Se sei venuta fin qui con il solo intento di vedere se sono di nuovo sul mercato, hai fatto la strada per niente. Non ti volevo prima e non ti voglio ora, è chiaro?»
Mi fissò immobile per un secondo, poi le labbra le si curvarono in un sorrisetto. «Se non fossi assolutamente certa che Allie se n'è andata senza darti nessuna spiegazione, direi che queste sono le esatte parole che ha rivolto a te.»
«Fottiti, Chloe. Sono sicuro sia la cosa che ti riesce meglio.»
Al diavolo. La mi vita era già abbastanza un casino anche senza che quella psicopatica si mettesse in mezzo.
Mi tolsi il grembiule e lo gettai dentro l'armadietto, recuperai le chiavi e il portafoglio e mi diressi dritto a casa. Negli ultimi giorni dopo il lavoro ero sempre andato in biblioteca, ma non era proprio giornata. Si stava facendo buio ed ero dannatamente stanco.
A casa avrebbero dovuto esserci solo Jay e Charlie, quindi mi sarei chiuso in camera mia e li avrei lasciati liberi di amoreggiare in salotto; mi bastava solo potermi stendere un attimo sul mio letto.
Salii pesantemente le scale e infilai la chiave nella serratura, facendo tutto con molta calma in modo da poter dare loro il tempo di rivestirsi, nel caso non fossero stati presentabili.
Ma in soggiorno non c'era nessuno. Che strano.
Stavo appendendo la giacca quando sentii dei bassi mormorii, quasi dei sussurri, provenire dalla cucina.
Erano soli in casa, chi mai avrebbe potuto sentirli?
Camminai il più silenziosamente possibile, cercando di non fare rumore, e mi bloccai sulla porta.
Jay e Charlie non erano soli.
Seduta tra loro, rivolta verso di me, c'era un'altra figura. I capelli scuri erano spettinati e gli occhi erano spenti, tristi; era dimagrita notevolmente e la pelle pallida era tirata sul viso, le ossa sporgenti. Era sempre bellissima, ma era una bellezza malata.
«Allie?», mormorai piano, attirando l'attenzione su di me.
Charlie e Jay balzarono in piedi in un istante e si posero davanti a lei, come a farle da scudo. Come se ormai non l'avessi già vista.
«Che ci fai qui?», mi chiese sgarbatamente Charlotte, fulminandomi con lo sguardo.
«Ci vivo. Lei, invece? Perché è tornata?», ribattei, indicando con un cenno della testa Allie, ancora nascosta dietro di loro.
«È anche casa sua», rispose Jay in tono duro.
Mi limitai ad inarcare le sopracciglia. «Ma davvero?»
«Ragazzi.» Aveva la voce flebile mentre si alzava in piedi e mi si avvicinava, e quasi non la riconobbi. Doveva esserle sicuramente successo qualcosa.
Rimanemmo a guardarci per qualche secondo, immobili, e rilasciai il respiro che non mi ero accorto di stare trattenendo. Ma perché mi faceva ancora quell'effetto?
Interruppe il contatto visivo per posare una mano sul braccio di Charlotte.
«Potete lasciarci soli qualche minuto?», chiese loro con un piccolo sorriso.
Non ne sembrarono molto contenti, ma, con un'ultima occhiata prima a me e poi a lei, se ne andarono in camera di Charlie.
Allie continuò a guardarmi senza aprire bocca e tra di noi calò un silenzio imbarazzante.
«Ti avrò chiamata un milione di volte», dissi infine. Ero curioso di vedere se avrebbe inventato una scusa, ma non era mai stata una che girava intorno al discorso.
«Lo so, ho visto.»
Quei suoi occhi grigi sembravano scavarmi dentro, imperscrutabili e freddi come l'acciaio.
«Come stai?», le chiesi infine, per poi pentirmene subito. Seth aveva ragione, ero patetico. Mi aveva piantato in asso senza dirmi nemmeno ciao, informarmi sulla sua salute avrebbe dovuto essere l'ultimo dei miei pensieri.
Restò impassibile, gli occhi sempre fissi su di me, e si appoggiò al tavolo, incrociando le braccia al petto. «Sto bene.»
Aspettai, ma non ricambiò la domanda. Era evidente che non le importasse, ma ero intenzionato a rendermi ridicolo fino alla fine. «Non hai proprio un bell'aspetto.»
«Ho detto che sto bene.»
Inarcai le sopracciglia, sorpreso da quella sua risposta secca, e alzai le mani in segno di resa. Non sarei rimasto lì a fare il clown e permetterle di prendersi gioco di me per l'ennesima volta.
«Sei tornato prima», commentò quando avevo deciso di andarmene, spostandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Mi venne quasi da ridere. «Avevo capito che mi stavi evitando, ma non pensavo fossi arrivata al punto da imparare i miei orari pur di non incrociarmi.»
«Non volevo affrontare questa conversazione.»
Questo era palese. Per settimane non avevo fatto altro che cercare di mettermi in contatto con lei per avere una spiegazione e ora che stavo per riceverla non volevo fare altro che scappare a gambe levate. Ero un codardo, ma sapevo che la verità poteva fare un male cane.
«Ah, no? E cosa avevi intenzione di fare? Lasciarmi qui come un idiota a chiedermi per quale motivo te ne fossi andata?»
Ci pensò un attimo, poi annuì. «Non ti devo nessuna spiegazione, dopotutto. Non ti devo rendere partecipe di ogni mio spostamento.»
Assurdo. Era completamente uscita di testa.
«Mi prendi in giro, non è vero? Perché è l'unica spiegazione possibile. Eri in coma, Allie! E il giorno dopo sei sparita nel nulla senza dire niente a nessuno. Hai avvisato i tuoi amici, immagino, ma hai pensato che anche noi potessimo essere preoccupati? Che io potessi esserlo? Oppure mi avevi già cancellato dalla tua vita?»
Sbuffò, irritata. «Non essere ridicolo, non c'era nulla di cui preoccuparsi. Se mi fosse successo qualcosa Charlie o Jay te l'avrebbero detto. Avevo semplicemente bisogno di allontanarmi da qui, e l'ho fatto.»
Non ci potevo credere, non riuscivo proprio a credere che stesse pensando quello che le usciva dalla bocca. Non era la mia Allie, quella che avevo davanti. O forse non l'avevo mai conosciuta veramente.
«E a noi? Ci hai almeno pensato?», chiesi, perdendo così anche l'ultimo sprazzo di dignità.
Mi fissò dritto negli occhi, serissima, e sapevo già che sarebbe stata una pugnalata al cuore.
«Non c'era nessun noi, Cam. Ci siamo avvicinati per quanto, un giorno? Qualche bacio, nulla di più. Non stavamo insieme, pensavo lo avessi capito. Non so proprio come tu abbia potuto credere che potessi stare con uno come te.»
Nel silenzio che seguì, riuscii a sentire il mio cuore andare in mille pezzi. Lo sentii creparsi, frantumarsi, cadere a terra ai miei piedi. E mi stupii di come un cuore spezzato potesse ancora battere con così tanta energia.
Non so proprio come tu abbia potuto credere che potessi stare con uno come te.
Avrei voluto risponderle, chiedere che cos'aveva che non andava "uno come me". Avrei voluto dirle che forse era lei a non essere alla mia altezza, ma sarebbe stata una bugia. Non era una questione di essere o meno sullo stesso livello. Semplicemente, non mi riteneva abbastanza.
E non si poteva giocare in due a quel gioco, se l'altro giocatore non seguiva le regole.
«Cosa ci fai ancora qui, allora?», le chiesi, trovando appena la forza di pronunciare le parole.
«Questa è ancora casa mia, ho il diritto di starci.»
Avrei voluto essere crudele, avere pronta una risposta che potesse ferirla quanto lei aveva ferito me, ma ero troppo stanco. Il mio cervello era annebbiato e il mio corpo esausto. Le avevo dato troppo potere su di me e me l'aveva rivolto contro.
«Hai portato via le tue cose e Jay paga l'affitto al posto tuo con i soldi che vi manda vostra madre. Inoltre, stare qui significherebbe stare in mia compagnia, e la cosa ti disgusta a tal punto da non poterci nemmeno pensare. Per quanto mi riguarda, qui non sei la benvenuta.»
Continuò a guardarmi in silenzio per qualche istante, sul volto quell'espressione indecifrabile, vuota, prima di raccogliere la giacca appoggiata allo schienale della sedia e andarsene.
Senza una parola, di nuovo, senza un ripensamento. Forse era meglio così. Forse avrei dovuto essere felice che non fosse più lì.
Non lo ero. Rivolevo la mia Allie, dolce, affettuosa, gentile. Con un umorismo pungente e una parola di conforto per tutti. La Allie con cui avevo appena parlato non la conoscevo e certamente non ero intenzionato a conoscerla.
Non so per quanto tempo restai in cucina, da solo. Avevo la mente annebbiata e un dolore sordo al petto. Non faceva veramente male, era più un senso di oppressione e allo stesso tempo di vuoto. Penso fosse il risultato di un cuore spezzato.
Di Jay e Charlie non c'era traccia e in qualche modo mi trascinai in camera mia, dove mi sdraiai sul letto e fissai il soffitto, immobile.
C'era una piccola crepa, proprio sopra la mia testa. Chissà da quanto tempo era lì e per quanto tempo l'aveva guardata senza vederla veramente.
Uno specchio esatto del mio cuore: crepato dall'interno da anni, ma che avevo sempre visto come integro. Avrei dovuto riconoscerlo e fermarmi, lasciar perdere, prima di ridurre tutto in macerie.
Ma era troppo tardi: ci aveva già pensato Allie a distruggermi.
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