7.1 Rivelazioni (pt.2)



Quando la vidi sulla porta, dimagrita e con i capelli raccolti in uno chignon improvvisato, mi vennero le lacrime agli occhi. Forse ero stata sottoposta ad uno stress eccessivo e quel turbinio di emozioni mi aveva sopraffatta, ma quando mi abbracciò con trasporto scoppiai a piangere come una ragazzina disperata.

Con gli altri dovevo dimostrarmi sempre forte per non farli preoccupare, ma con lei potevo essere la diciottenne che in fondo ero, permettendomi di essere bambina ancora per un po'.

Lei mi strinse forte a sé, accarezzandomi i capelli. «Oh, tesoro, va tutto bene. Va tutto bene, ora. Non piangere.»

Mi staccai da lei, soffiandomi il naso sul fazzoletto che mi aveva passato, e le sorrisi attraverso le lacrime.

«Sono contenta che tu sia venuta a trovarmi», le dissi, cercando di placare i singhiozzi.

«Oh, Allie, non mi sono quasi mai mossa da qui. Mi dispiace solo di non essere riuscita a venire prima, ma proprio oggi c'è stata una riunione del consiglio a cui non potevo mancare.»

«Come hanno fatto i ragazzi senza di te per tutti questi giorni?»

Si strinse nelle spalle con noncuranza. «Ho chiesto agli altri di fare qualche ora di straordinari in più, e ai ragazzi più grandi di prendersi cura dei piccolini. Tutti hanno capito la situazione e si sono dimostrati più che disposti ad aiutare.»

La abbracciai di nuovo, forte, perché aveva abbandonato i suoi doveri per stare al mio fianco, anche se ero incosciente. Aveva messo tutto da parte per me.

«Grazie, per quello che fai e che hai fatto per noi. Non ti sarò mai grata abbastanza», sussurrai, appoggiando la guancia alla sua spalla.

Lei mi diede un buffetto sul braccio e mi prese il viso tra le mani, guardandomi dritta negli occhi. «Non dirlo nemmeno per scherzo, non devi ringraziarmi. Voi tutti siete la mia vita. Alcuni più di altri, se proprio devo essere sincera», aggiunse, facendomi l'occhiolino.

Ma tornò immediatamente seria. «Sai che vorrei stare qui a coccolarti tutto il giorno, ma non c'è più tempo. So anche che sei ancora sottosopra per tutto quello che ti è successo e che dovrei aspettare a dirtelo, ma prima te ne parlo e meglio è. Ora che sei sveglia non sei più al sicuro, e al più presto avviserò anche gli altri.»

Mi si contrasse lo stomaco, angosciata da quello che mi stava per dire. «Perché? Che è successo?»

Si sedette più comoda sul bordo del letto e intrecciò le mani in grembo, senza distogliere gli occhi dai miei.

«La riunione di emergenza a cui ho dovuto partecipare riguardava te. Ci sono stati dei... risvolti. Siamo venuti a conoscenza di alcune cose che ti mettono in grave pericolo.» Fece una pausa, spostando lo sguardo fuori dalla finestra, dove il sole splendeva ancora – per la prima volta in due settimane, mi avevano detto – nonostante fosse prossimo il tramonto.

«L'identikit fornito ai Tecnici da Scott ha dato dei risultati il pomeriggio del tuo incidente. L'uomo che ti ha aggredita si chiama Trenton Winglow.»

Attesi, ma sembrava immersa nei suoi pensieri.

«Questo nome dovrebbe dirmi qualcosa?», chiesi infine, vedendo che non sembrava intenzionata a continuare il discorso.

Riportò la sua attenziona su di me. «A te probabilmente no, ma a me sì. Trent si è diplomato alla Jackson quindici anni fa.»

Spalancai gli occhi per la sorpresa. «Quel pazzo è uno di noi?»

Annuì lentamente. «Il suo protetto è morto otto anni fa e da allora Trent è sparito dai radar. Nessuno lo ha più visto o sentito, si pensava fosse morto. Non ha nemmeno risposto all'appello ufficiale dei Tecnici, così è stato dichiarato disperso e nessuno si è più interessato a lui. E ora sbuca fuori dal nulla per tentare di ucciderti.»

«Lui sa che sono una Nephilim. Perché mi vuole morta?»

Lei scrollò le spalle. «Il motivo ci è sconosciuto, ma abbiamo alcune ipotesi. Ti avevo chiamata, il pomeriggio dell'incidente, per avvisarti di stare in casa al sicuro in mezzo agli altri. Trent era ancora libero, avrebbe potuto farti del male mentre eri con Cam. Crediamo sia stato lui a schiantarsi contro la vostra auto.»

Mi aveva chiamata, aveva cercato di avvisarmi. E io non avevo risposto, perché non volevo rovinare il mio pomeriggio con Cam, e avevamo rischiato di morire entrambi.

«In che senso "credete"? Non sapete ancora chi c'era alla guida?»

Scosse la testa con espressione sconsolata. «Lo schianto avrebbe dovuto essere fatale per lui, ma nell'auto non c'era nemmeno una goccia di sangue. Deve essere riuscito a balzare fuori un attimo prima dell'impatto e fuggire prima dell'arrivo dei soccorsi.»

Mi massaggiai le tempie, perché il mal di testa stava decisamente peggiorando. «Hai detto che Scott l'ha identificato, sappiamo che è stato lui ad aggredirmi. Non è un motivo sufficiente per arrestarlo?»

«Sì e no», rispose, torturandosi le mani «Per arrestare un Nephilim è necessario l'intervento dei Tecnici, ma hanno dato il permesso di arrestarlo solo ieri mattina. Non siamo ancora riusciti a trovarlo da nessuna parte, è scomparso.»

«Mi stai dicendo che quello psicopatico è ancora a piede libero?»

«Non riuscirà nemmeno ad avvicinarsi a te, posso assicurartelo. Ci sono guardie, Nephilim e non, ad ogni entrata dell'ospedale. Sei al sicuro qui.»

Serrai le mani a pugno per non farle vedere quanto tremassero. «E quando uscirò di qui? Dovrò essere scortata ovunque vada?»

«Per quando ti dimetteranno quel pazzo sarà a marcire in una cella. Stiamo setacciando ogni angolo della città per trovarlo. Non devi preoccuparti.»

Presi un respiro profondo, cercando di non pensare alla faccia di Trenton quando mi aveva piantato un coltello nella pancia.

«Hai detto che hai delle teorie sul perché stia tentando di uccidermi. Quali sarebbero?», chiesi, alzando lo sguardo ad incrociare il suo.

«Credo sia meglio rimandare questa conversazione a quando sarai meno provata. Ti ho già dato un sacco di informazioni per oggi, che ne dici se ne riparliamo domani?»

«No, Anna, voglio saperlo adesso. perché sta cercando di uccidermi?»

Teneva gli occhi bassi, per non incrociare i miei, e questo non era da lei. Anna affrontava sempre ogni situazione a testa alta.

«Non ne siamo ancora sicuri, Allie, non giungere a conclusioni affrettate. Hai sempre saputo di essere una dei Nephilim più potenti mai esistiti, sei l'unica in grado di controllare gli elementi.»

«Anche Jay può», mi sentii in dovere di precisare.

«Non come te. I suoi poteri sono limitati, al contrario dei tuoi. Sei stata tu a causare quel piccolo uragano quattro anni fa, ricordi? E mentre eri priva di conoscenza il sole non è mai spuntato, nonostante non ci fossero nuvole visibili, e c'era ghiaccio ovunque. Ghiaccio in ottobre. Non è normale.»

Com'era possibile? Di solito cambiamenti climatici così drastici si verificavano quando provavo forti emozioni o ero particolarmente sconvolta, ma ero in coma. Non ero felice, non ero arrabbiata, non ero niente. Non era mai successo prima.

«Tuo fratello invece non è così forte, non lo è mai stato. Sei tu la più potente dei due e potresti essere pericolosa. Forse sono solo spaventati da te.»

La osservai attentamente, sentendo che c'era qualcosa che non mi stava dicendo. Era vero, ero più forte di Jay, ma non era mai stato un problema. Tutti lo avevano sempre saputo, non avevamo mai cercato di tenerlo nascosto.

«"Sono"? Trenton non sta agendo da solo?» La fitta dietro gli occhi stava diventando quasi insopportabile.

«Come ti ho detto prima, non lo sappiamo ancora con certezza. Sono solo ipotesi, però mi sembra strano che i Tecnici stiano ignorando completamente le nostre richieste d'aiuto. È come se stessero cercando di tenerci all'oscuro da qualcosa.»

«Stai dicendo che dietro tutto questo ci sono gli Antichi?» Non poteva essere. Che senso avrebbe avuto? Il loro compito era tenerci al sicuro e assicurarsi che gli Umani non scoprissero la nostra esistenza, in che modo tutto ciò avrebbe avuto a che fare con me?

Sospirò, portandosi dietro l'orecchio una ciocca sfuggita dallo chignon.

«Pensaci, Allie. Sono vecchi, privi di poteri, inutili. E tu sei giovane, controlli gli elementi, sei tutto ciò che loro non possono più essere.»

«E quindi vogliono uccidermi?»

Non aveva senso. Non aveva il minimo senso.

«Non lo so. Non so se vogliano ucciderti, o renderti inerme per prelevare un campione del tuo sangue per poterlo analizzare.»

«E perché mai? Un sacco di medici hanno visitato me e Jay, non c'è nulla di strano in noi. Perché dovrebbero interessarsi a me proprio ora?»

«Perché quei medici hanno mentito, ecco perché!», esplose, alzandosi in piedi e mettendosi le mani tra i capelli.

Restai interdetta, limitandomi a guardarla camminare avanti e indietro per la stanza. Non l'avevo mai vista così sconvolta.

«Non so se abbiano mai effettivamente trovato qualcosa», spiegò, fermandosi davanti al letto. Aveva gli occhi lucidi, gonfi di lacrime trattenute con maestria «Non l'ho mai voluto sapere. Mi bastava che accettassero i soldi che offrivo per tenere la bocca chiusa su di voi e non ne facessero parola con i Tecnici. Mi bastava questo, perché, se l'avessero fatto, vi avrebbero portati via. Avrebbero fatto esperimenti su di voi, e non avrei potuto sopportarlo. Volevo solo tenervi al sicuro, capisci? Alla Jackson eravate sotto la mia protezione, ma ora... qualcuno deve aver parlato, deve aver detto che in voi c'è un'alterazione genetica che...» Si tappò la bocca con le mani e spalancò gli occhi, rendendosi conto troppo tardi di aver detto qualcosa di troppo.

«Alterazione genetica?» Di che diavolo stava parlando? Ero normale, ero sempre stata normale!

«Io...» Cercò con gli occhi una via di fuga «Ti dirò tutto domani mattina, te lo giuro. Ma ora dovresti proprio riposare.» Agguantò la borsa e corse fuori senza nemmeno darmi il tempo di rispondere.

«Anna! Non puoi andartene così!», urlai alla porta, ma, anche se mi sentì, non tornò indietro.

Mi lasciò lì, sola, con mille domande per la testa. Perché gli Antichi volevano me? Cos'aveva di diverso il mio DNA? Anche Jay era come me?

Avevo passato tutta la vita a convincermi di essere normale, pur essendo così diversa, ma era solo una finzione. Non ero normale. Nessuno sapeva cosa fossi, e qualcuno là fuori voleva uccidermi.

Aspettai Jay per più di un'ora, la stanza che si faceva più buia minuto dopo minuto.

Quando finalmente mi resi conto che non sarebbe venuto, ormai avvolta nell'oscurità, iniziai a piangere.

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