7.1 Rivelazioni (pt.1)

Allie

Prima ancora di aprire gli occhi, prima ancora di svegliarmi del tutto, sapevo già di trovarmi in un letto d'ospedale e ne sapevo il motivo.

Ricordavo tutto dell'incidente, ogni dolorosissimo secondo, ed ero sorpresa di essere ancora viva.

Avrei dovuto essere morta, no? Avevo più lamiere che sangue, nel corpo. Il paramedico continuava a dirmi di stare tranquilla, che ce l'avrei fatta, ma sapevo benissimo che non era così: conoscevo la gravità delle mie ferite e mi stavo rapidamente dissanguando. Ma ce l'avevo comunque messa tutta, tenendo duro quando invece avrei solo voluto chiudere gli occhi e lasciarmi andare.

Chi l'avrebbe mai detto che ce l'avrei fatta davvero.

Schiusi lentamente le palpebre, analizzando la stanza. Bianca, asettica, come tutte le altre.

Seduto sulla poltrona e appoggiato con la testa al mio letto, nella posizione più scomoda di questo mondo, c'era Jay, i capelli scuri una zazzera arruffata.

Mi misi lentamente seduta, incerta delle mie condizioni.

Non sapevo di preciso quanto tempo fosse passato e cosa mi fosse successo da quando mi avevano fatto perdere conoscenza, ma avrei dovuto sentirmi quantomeno strana. Invece stavo bene, per non dire benissimo.

Notai distrattamente che il braccio sinistro era ingessato e dovevo avere qualcosa di simile a delle stecche nella gamba destra, perché facevo fatica a muoverla, ma per il resto non notavo nulla di diverso.

Il respiro di mio fratello era profondo mentre gli posavo una mano sul braccio e lo scuotevo dolcemente. «Jay?»

Si riscosse all'istante, gli occhi arrossati e gonfi e delle brutte ombre violacee sotto di essi.

«Che c'è?», biascicò con voce impastata, prima di strabuzzare gli occhi e balzare in piedi per abbracciarmi.

«Non ci credo, ti sei svegliata!», esclamò, prendendomi il viso tra le mani e scrutandomi accuratamente.

Gli sorrisi, cercando di fargli capire che stavo bene. «Così pare. Dove sono gli altri?»

«Sono andati a prendersi un panino, saranno qui tra un attimo. Non ci siamo mai allontanati dalla tua stanza per più di dieci minuti e tu ti svegli proprio quando se ne vanno un secondo. Sei tremenda.» Mi scompigliò delicatamente i capelli, gli occhi addolciti da un affetto infinito.

Deglutii, perché avevo paura della risposta alla domanda che stavo per fare.

«Jay, ho bisogno di sapere... di sapere se Cam ce l'ha fatta», buttai fuori tutto d'un fiato e chiudendo gli occhi.

Ti prego, dì di sì. Ti prego.

«Se l'è cavata con un trauma cranico che ha superato alla grande. L'hanno dimesso settimana scorsa.»

Dio, grazie.

Era vivo. Eravamo tutti vivi. Ce l'avevamo fatta.

«Aspetta, settimana scorsa? Da quanto tempo sono qui?»

La sua espressione si fece seria. «Oggi è il 16 ottobre, sorellina. Sei stata incosciente per quindici giorni. Dopo che Cam è stato dimesso Anna ti ha fatta trasferire al Jamie Grace Hospital, perché non si fidava dei medici Umani. Ti avevano già quasi dichiarata cerebralmente morta una volta, nessuno di noi voleva rischiare si ripetessero errori simili.»

Avevo capito giusto?

«Hai detto che mi hanno quasi dichiarata cerebralmente morta?»

Sul volto gli comparve un piccolo sorriso. «Ti spiegherà tutti i dettagli Charlie, sono sicuro che non veda l'ora di...»

«Allie?»

Jay si fece di lato mentre io alzavo lo sguardo e un secondo dopo l'abbraccio di Cam mi stava stritolando.

«Allie!»

Anche gli altri entrarono nella stanza e Cam si staccò da me, guardandomi come aveva fatto poco prima Jay, e sul suo volto notai gli stessi segno provocati dall'ansia e dalla preoccupazione che avevo visto su quello di mio fratello.

Pensavano tutti di avermi persa.

«Ragazzi, mi dispiace tantissimo», sussurrai, commossa. Erano rimasti in ospedale tutto il giorno per due settimane, facendo dei turni per non lasciarmi mai sola.

Come me, anche loro avevano gli occhi pieni di lacrime. Perfino Seth, che stava abbracciando Lucy, la quale invece piangeva sommessamente.

Seguì una lunga successione di abbracci tra pianti e risate, in cui mi venne raccontato cosa fosse successo a me e a Cam e di come fossimo stati curati.

Cam non si staccò mai dal mio fianco, guardandomi come se ancora non credesse ai propri occhi.

«Tra poco ci faranno smammare», borbottò Amanda, seduta ai piedi del letto «e verranno sicuramente anche quei detective che hanno interrogato Cam. Chissà quando ti permetteranno di tornare a casa.»

Mi voltai verso di lui, guardandolo con aria interrogativa. «Detective?»

«Sì, per ricostruire le dinamiche dell'incidente.»

«Tu ricordi niente?»

Scosse la testa, amareggiato. «È successo tutto troppo velocemente.»

Troppo velocemente per un Umano, ma non abbastanza per un Nephilim.

Qualcuno ci era venuto addosso con il chiaro intento di ucciderci, ma non ci era riuscito.

La domanda era: perché? Perché rischiare la propria vita per eliminare due stupidi ragazzini?

«Avanti, sapete tutti come funziona», disse un giovane medico appena comparso sulla porta «Prima la visito e prima potrete tornare da lei. So che siete ansiosi di passare del tempo con lei, ma devo chiedervi di aspettare.»

Borbottando parole incomprensibili, iniziarono tutti ad allontanarsi da me, lanciandomi qualche occhiata a riprova del fatto che fossi veramente sveglia e che non fosse stato tutto un sogno.

Jay mi strinse delicatamente la mano con un enorme sorriso e Cam mi diede un veloce bacio sulla guancia.

«Torno più tardi», mi sussurrò all'orecchio prima di andarsene «Non ti libererai di me così facilmente.»

Mi sentii arrossire mentre lo guardavo andarsene e cercai di distrarmi concentrandomi sul dottore: era alto e piuttosto magro, con lineamenti delicati e capelli chiari. Nephilim, di sicuro.

«Allora, Allison», esordì sorridendo «Hai creato un bel po' di trambusto quando sei arrivata. Come ti senti?»

«Indolenzita, ma sto bene.»

Cercai di essere il più sbrigativa possibile, ma mi sommerse di domande e controllò varie volte i miei parametri vitali, per verificare che fosse tutto nella norma, tanto che quando mi disse di aver finito era passata più di un'ora. Prima di andarsene, mi disse che il giorno dopo avrei dovuto sottopormi ad esami più accurati.

Non fece nemmeno in tempo ad uscire che entrarono due uomini bassi in divisa che si sedettero accanto al mio letto sorridendo benevoli.

«Ciao, Allison. Avremmo qualche domanda da farti, te la senti di rispondere o preferisci rimandare?», mi chiese quello leggermente più alto con i capelli scuri.

«Cercherò di esservi utile, ma non ricordo nulla.»

Il detective sorrise di nuovo e passò un taccuino al suo collega.

«Non preoccuparti, anche il dettaglio più insignificante può esserci utile per trovare chi vi ha fatto questo. Cominciamo, che dici?»

Venni nuovamente sommersa da domanda a cui non sapevo veramente rispondere. No, non idea del perché ci fosse venuto addosso. No, non avevo visto chi fosse alla guida. No, non l'avevo uscire dall'auto, ero incastrata tra le lamiere.

Quando finalmente se ne andarono, lasciandomi il loro biglietto da visita e raccomandandomi di chiamarli se mi fosse venuto in mente anche un solo particolare, ero esausta e avevo un leggero mal di testa.

Inoltre, un'infermiera mi aveva detto che l'orario delle visite era terminato, quindi la mia conversazione con Cam avrebbe dovuto aspettare.

Ma non quella con Anna.

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